“Diario dalla fine del mondo” di Natal’ja Ključarёva
Il giorno piango, la notte affilo la lama feroce della luna
Julija Nemirovskaja
Non avrei mai pensato che nella mia storia personale ci sarebbe stato il giorno dell’inizio di una guerra.
Diario dalla fine del mondo (pubblicato nella collana petuШki dell’Università di Torino curata da Mario Caramitti e Massimo Maurizio che qui cura la traduzione) è un diario scritto sia in versi che in prosa dal 24 febbraio 2022 alla fine dell’anno in cui Natal’ja Ključarёva ci riporta ai primi terribili mesi del conflitto fra vergogna, paura e disperazione.
Uno dei temi centrali, presente anche in altri testi di cui abbiamo parlato come Voci russe contro la guerra e Proteggi le mie parole, è il ruolo della parola. Tornano in mente i versi di Salvatore Quasimodo «E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore».
E come può Natal’ja Ključarёva cantare con il piede della tua stessa patria sopra il cuore? La letteratura russa si trova davanti a un nuovo difficile compito: tentare di ricucire il legame fra coscienza e parola. E di parole, forse, bisognerà inventarne delle altre perché il mondo così come è ora è scollato dalla realtà. Ogni parola, ogni gesto, ogni pensiero d’ora in poi avrà un “prima” e un “dopo”. Ci si può riappropriare della lingua russa, di una lingua che ora gronda odio e sangue? Ključarёva ci prova in un tentativo che non passa solamente dalla lingua ma anche dall’artificio, dalla prosa e dalla poesia, ma anche dal teatro, come scopriamo nel racconto dei laboratori a cui partecipa. La parola diventa allora uno scudo per parare i colpi della realtà, che però non sempre riesce a proteggere. Le parole che l’hanno tirata fuori dal baratro ieri, oggi forse non funzioneranno. Ključarёva racconta che, sebbene la Seconda guerra mondiale non l’abbia toccata, il tedesco le incuteva terrore. Allora per smettere di trasalire al suono di quella lingua ha iniziato a leggere Heinrich Böll. E forse è questa la strategia che dovremmo adottare. Che senso ha censurare Dostoevskij? Perché, invece, non leggere quei russi che nella vergogna di quell’atto scellerato in quel maledetto fine febbraio stanno annegando? Perché non aggrapparsi a quelle я, a quelle ю, a quelle ё per cambiare prospettiva, per far sì che il suono di queste lettere che ora hanno un sottofondo di mitraglia si trasformi da nemico a compagno di dissidenza?
La parola, la scrittura diventano ancore di salvezza non solo per quell’ordinaria quotidianità improvvisamente sconvolta dalla detonazione della guerra ma anche per la mente che si rifiuta di accettare che tutto questo stia accadendo realmente. Dalla data del 24 febbraio, infatti, la vita di Ključarёva viaggia su due binari: in uno c’è la guerra, nell’altro il quotidiano. In uno c’è “l’operazione speciale”, nell’altro il vivere che continua in una scena da teatro dell’assurdo:
Oltre i vetri c’è l’apocalisse e qui è come se la vita di sempre continuasse.
Gli uomini per strada diventano dei morti viventi. Da fuori, nella seconda realtà, un uomo che cammina è solo una persona normale. Nella prima realtà, al contrario, quello stesso uomo è un soldato con la divisa zuppa di fango. Ma che cosa fare?
Se te ne vai sei un traditore, se resti sei complice. Se parli sei un delinquente, se taci sei complice. Se discuti fai aumentare l’odio, se non discuti sei complice.
Parlare, protestare, significa non solo rischiare quindici anni di galera ma anche, più semplicemente, tagliare i ponti con i componenti della propria famiglia. Non è raro, infatti, che figli abbiano smesso di parlare con i genitori, o i mariti con le mogli, a causa delle differenti visioni riguardo il conflitto. La stessa Ključarёva che all’inizio riteneva che la sua amica Liza avesse esagerato nel togliere il saluto a chi era favorevole alla guerra, si vede costretta a tornare sui suoi passi e a recidere il filo che la legava a un conoscente dopo aver letto un suo commento in cui dava del traditore a chi si opponeva alla guerra. Ed ecco che un legame che dura da più di vent’anni va in pezzi in un secondo, come un’esplosione. Nessun dubbio, nessuna esitazione: l’amico di una vita semplicemente smette di esistere. Anche chi si oppone al governo non è esente da questi meccanismi. Racconta Ključarёva che una sua amica russa, colpevole di non aver rinnegato la sua patria, ha visto un collega e caro amico ucraino interrompere ogni tipo di rapporto con lei.
Mi sono immaginata quali potrebbero essere i nuovi gesti di protesta. Gente ferma per strada che piange tutta insieme. In silenzio e senza guardarsi.
Avranno il coraggio di sanzionare persino le lacrime? L’assurdità della polizia e della giustizia si è però già spinta in quella direzione. Ključarёva infatti riporta un fatto realmente accaduto che farebbe impallidire qualsiasi Ionesco: una ragazza è stata arrestata per aver scritto sulla neve la frase “No alla guerra”. Nel verbale era riportata la delirante accusa: la ragazza è stata accusata di aver gettato discredito sull’esercito della Federazione Russa rovinando la coltre di neve. Non risulta dunque difficile da comprendere la totale e profonda mancanza di speranza che attanaglia la scrittrice. Con quali “armi” si può lottare per fronteggiare una tale follia?
Il senso di vergogna che non ha mai più lasciato Ključarёva la schiaffeggia ogni volta che cerca di svagarsi. Che diritto ha di distrarsi quando là fuori la patria si è trasformata in una macchina di morte? L’istinto di conservazione, però, le concede delle tregue per non impazzire e allora si meraviglia di essere riuscita a non pensare alla guerra per qualche minuto, si meraviglia di non sentirsi soffocare, si meraviglia di essere tornata a respirare dopo la lunga apnea dei primi mesi. Gli scrittori e le scrittrici non devono farsi travolgere, non devono impazzire, devono invece lottare e farsi testimoni della storia, altrimenti ci sarà qualcun altro che la racconterà.
Amo molto la Russia, la Russia non è lo stato, è la sua gente. La gente che vedo con i miei occhi attorno a me è meravigliosa. La gente orribile dei notiziari, la gente che manda degli innocenti a uccidere innocenti, non l’ho mai vista con i miei occhi. Loro non sono la Russia, io sono la Russia.