Dio o la Natura: il panteismo tra filosofia e religione
Il panteismo è una visione del mondo secondo cui c’è identificazione tra la Natura e Dio, il quale ha connaturati di tipo immanentistico. In filosofia ci sono state tendenze di tipo panteistico, soprattutto presso i primi filosofi, non a caso denominati “filosofi della Natura” o “ilozoisti” per la visione di un tutto vivente, dinamico. Per quanto riguarda la storia della filosofia antica si riconosce l’atteggiamento panteista nella dottrina eraclitea: nel famoso Frammento 67 si legge che «la divinità è giorno-notte, inverno-estate, guerra-pace, sazietà-fame. Ed essa muta come il Fuoco».
Eraclito infatti identifica il Tutto, l’archè con il fuoco generatore: in esso c’è dinamicità, movimento, potenza, tale che le fiamme non sono mai uguali a se stesse, ma nella totalità il fuoco mostra la sua identità ed univocità. È l’Uno e il Tutto allo stesso tempo: ecco la grande intuizione della filosofia eraclitea. Se vogliamo rappresentarci la dottrina di Eraclito sul tema del panteismo l’immagine più significativa è l’Uroboro, il serpente che si morde la coda. Esso è il simbolo dell’eternità, del Tutto che ritorna all’origine, della ciclicità del divenire: Eraclito crede infatti all’eterna ripetitività del cosmo (apocatastasi), che accorda alla sua visione teologica del Dio immanente al mondo. In accorso alla sua teoria filosofica del Fuoco generatore, Eraclito associa una interessante visione escatologica, consistente in una conflagrazione universale ad opera del fuoco (εκπύρωσις): tutto viene rigenerato e rivitalizzato attraverso questo grandioso atto di palingenesi. Tutto ciò è ben ripreso dalla filosofia stoica, alla quale dobbiamo un termine cardine che verrà riutilizzato molto nei secoli successivi: Λόγος. Esso è una forza, una dynamis che pervade il cosmo e dalla cui azione scaturiscono sia il lato positivo, attivo sia quello negativo e passivo (corporeità) che viene trasformato dall’azione del divino. Ecco allora che il panteismo stoico presenta una visione di un Dio che è parte della realtà nel senso che pensando la realtà le dà forma e la costituisce. Di particolare importanza è qui il concetto stoico di sympatheia, cioè del “sentire insieme” da parte degli essere viventi che animano il cosmo: ciò permette alla Totalità di essere qualcosa di sempre combinato, dinamico, interscambiabile. Nello stoicismo il panteismo prende le forme di un vero e proprio orientamento di vita all’interno del quale si configura anche la visione del Logos-Provvidenza, il quale orienta il tutto verso un fine prestabilito. Altro grande rappresentante dell’orientamento panteista in filosofia è Giordano Bruno, la cui teoria è chiamata “monismo panteistico”: tutta la sua opera sembra infatti riecheggiare la credenza che l’essere è “l’originale ed universale sustanza del tutto” . L’essere è in Bruno la sostanza (stoichèion) e l’origine (origo, archè) di ogni cosa. Quest’essere è Dio, da cui tutto deriva e tutto ritorna; egli non è trascendente la materia ma è l’attore, l’agente che plasma e dà forma alla realtà. Non c’è più quindi il dualismo tra divino e non divino, sacro e materiale. Dio non è quindi fuori dall’universo ma è esso stesso l’universo e l’intera realtà. In Bruno l’ontologia di Dio coincide, e deve coincidere, con l’ontologia della realtà creata. La rivoluzione panteistica in filosofia venne operata dal grande Baruch Spinoza, uno dei cardini del razionalismo, insieme a Cartesio e Leibniz. La sua definizione di Dio è divenuta celebre: «Dio, ovvero la Sostanza che consta di infiniti attributi, ognuno dei quali esprime un’essenza eterna ed infinita, esiste necessariamente» . In Dio, per Spinoza, essenza ed esistenza coincidono, così da farne ciò di cui non possiamo dubitare mai. Dio può essere pensato se non come esistente: egli esiste in sé e racchiude tutto al suo interno. Tutto esiste in Dio e per Dio: egli non è il trascendente, l’immutabile, l’indescrivibile, ma è il Tutto, la Sostanza che racchiude in se la realtà. L’uomo amando se stesso partecipa dell’amore che Dio ha verso se stesso, in una unione che fa si che il Creatore e la creatura si equivalgano. Questo è quanto la tradizione filosofica ha da offrici riguardo all’atteggiamento panteistico, ma la riflessione viene arricchita grazie alle posizioni che al riguardo hanno offerto le diverse fedi religiose, primo fra tutti l’induismo. I testi vedici, considerati sacri dagli hindu, contengono tutto ciò che la sapienza orientale ha potuto offrire alla riflessione sul panteismo: Brahman è l’Infinito, l’Immutabile, l’Eterno, la realtà che racchiude in se la totalità degli esseri. Tale sorgente primordiale si manifesta in milioni di modi, soprattutto in una triplice forma costituita da Brahma, il creatore, Shiva, il distruttore, e Vishnu, il conservatore. Al centro della dottrina induista fondamentale importanza rivestono le avatara, ovvero le incarnazioni delle divinità in forme umane per scopi salvifici. A fare da riquadro a questa visione panteistica c’è la dottrina della liberazione dell’anima (Atman) dall’eterna legge delle rinascite (Samsara): l’Atman, il soffio vitale, l’anima è il sé supremo, unico che deve ricongiungersi al Brahman. Liberarsi dalla legge delle rinascite è infatti il culmine e il sommo bene dell’uomo, la sua felicità. Molti passi delle Upanishad mostrano bene questa particolare visione della realtà e del divino che caratterizza l’induismo dalle altre fedi religiose, in particolare dai monoteismi del Mediterraneo: “Tutto in questo Universo in realtà è Brahman; da lui esso procede; all’interno di egli è dissolto; in lui respira, così lasciate che ognuno lo adori tranquillamente”. “Tutto l’Universo è Brahman, da Brahman a una zolla di terra. Brahman è la causa efficiente e materiale del mondo. Egli è il vasaio da cui si forma il vaso; egli è la creta con il quale è fabbricato. Tutto proviene da lui, senza perdita o diminuzione della fonte, come la luce irradiata dal sole. Ogni cosa è unita a lui come le bolle che esplodono si uniscono all’aria e come i fiumi sfociano negli oceani. Tutto proviene e ritorna a lui come la tela di un ragno è fabbricata e ritratta dal ragno stesso.”. Sono presenti spunti panteistici anche in dottrine che appartengono ai nuovi movimenti religiosi o restaurazionistici, come il complesso mondo delle pratiche “New Age”, dove si arriva deve infatti divenire Uno col Tutto scoprendo il divino che risiede nella realtà circostante), oppure le realtà appartenenti al neopaganesimo. Potremmo spingerci ad affermare che la visione panteistica è connaturata all’uomo fin dalle origini; è come se in tale formula fosse racchiusa tutta l’essenza di uno dei più grandi desideri umani: essere dèi e poter accedere al divino attraverso la contingenza che ci è propria.