Gianmarco Canestrari
pubblicato 5 anni fa in Recensioni

E la morte bussò…

"Bisesto" di Andrea Vismara

E la morte bussò…

Sento che la monotonia e la morte sono più o meno la stessa cosa

Così si esprimeva la grande scrittrice dell’Ottocento inglese Charlotte Brontë. La monotonia, in quanto ripetitività uniforme, è così avvicinata all’evento più drammatico della storia umana: la morte. Essere privati del cambiamento, dell’alternativa, della tensione creatrice, equivale sostanzialmente a non vivere, quindi a morire. Il monotono è chiuso e vincolato ai ritmi stressanti, omologanti e conformisti della routine quotidiana; non vede alternative: tutto si ferma lì, non ci sono vie d’uscita, ma solo strade già tracciate che si percorrono incessantemente ogni giorno nella stessa maniera e con lo stesso spirito. È questa l’idea della e sulla vita che si era fatto anche il protagonista di Bisesto di Andrea Vismara (Edizioni Spartaco, 2018), il bassista de La Carcasse Dansant Kidda (nome d’arte di Flavio Tosetto), finché a bussare alle porte della sua vita fu la Morte in persona.

Sotto le mentite spoglie di una bella ragazza si nasconde la spaventosa figura della donna con la falce, la quale svela al nostro protagonista di un fatale errore che lo vede tra i prescelti per passare a miglior vita. Flavio dovrà, per eludere l’incombente destino, risolvere indizi ed oscuri enigmi posti nei vari cimiteri di alcune delle maggiori città italiane: Venezia, Roma, Milano, Firenze, Genova. Tutto ciò sfidando il misterioso antagonista che gli sta alle calcagna, in una incessante corsa contro il tempo per guadagnarsi la sopravvivenza. Infatti il termine ultimo imposto dalla Morte ricade in un arco di tempo che racchiude in sé la beffarda duplicità sia di tempo dello scherzo, dello stravolgimento delle regole, di inversione dei ruoli, sia di tempo-limite da sfruttare al meglio se non si vuole soccombere: il Carnevale. La Morte tesse i fili delle vite dei due antagonisti, giocando con le loro esistenze misere e tenendo con una mano le fatidiche forbici le cui lame toccheranno le vicende di colui che sarà oggetto del suo temibile e terribile giudizio. In questo viaggio al limite dell’immaginario, accompagnato da animali quanto meno strani, Flavio incontrerà diversi defunti noti e famosi della storia che cercheranno di istruirlo sul da farsi sulla scorta di criptici e indecifrabili indizi. Storia di rincorse, di affanni, di visioni, di misteri: siamo di fronte ad un vero e proprio capolavoro che sottolinea la nostra fragilità e debolezza di fronte agli eventi che la vita ci mette davanti. Non sempre riusciamo a capire cosa la vita ci stia chiedendo, cosa dovremmo fare, dove andare; ci troviamo spesso di fronte a varie alternative che ci interrogano, ci inquietano, ci destabilizzano. Sicuramente sarebbe più complesso se questo intricato processo fosse messo in atto dalla Morte in persona, che nulla risparmia e nulla teme. Non ha paura di stendere la sua falce potente e spietata su tutti coloro che incrociano le sue vie, o anche su coloro che cercano di sfidarla pensando di potercela fare con le sole armi della retorica o della persuasione. La partita della vita a cui chiama la Morte coloro che sono scritti sul suo libro non può che essere vissuta, giocata: bisogna mettere in campo ogni possibilità e ogni mezzo per poter vincere la sfida lanciataci, soprattutto se il premio in palio è la vita stessa. Tutto dipende da noi: se sapremo giocarci bene o male le carte a disposizione, ne deriverà il destino a cui siamo chiamati. Qual è allora l’ingrediente segreto che permette di vincere la partita? L’amore.

Soltanto se amiamo, se diffondiamo amore intorno a noi, se ci circondiamo di persone che contraccambiano i nostri sentimenti, se non ci scoraggiamo di fronte alle difficoltà, allora sì che possiamo vincere nei momenti più duri e tristi della nostra vita, perfino nell’incontro con la morte. Il sale della vita è l’amore e nulla è più forte di questo. È una grande scommessa amare, soprattutto in situazioni dove la realtà sembra non avere senso, dove crediamo non ci sia più scampo o soluzione alcuna, dove sembra dominino solo odio, paura e violenza. Con ciò, certo, non si vuole dire che non si debba più avere paura della morte, o che dopo essersi convinti di ciò la realtà della morte non ci tocchi più, tutt’altro: l’esperienza della morte fa parte di noi, della nostra esistenza, della nostra natura, che è mortifera e caduca. Rifiutare la morte significa rifiutare chi si è, non comprendere a fondo la nostra natura con i suoi limiti, le sue battute d’arresto ma anche con le sue straordinarie bellezze. Quello che invece rimane è un che di diverso e travolgente nella sua profondità: la morte, seppur nella sua triste realtà, può essere sconfitta, battuta. La partita della vita la possiamo vincere anche noi, a patto che ci giochiamo la carta vincente: l’amore.

Forse la Morte, da sempre bistrattata e temuta, eretta a spauracchio dalle chiese più oscurantiste e bigotte, è in realtà una creatura fragile e delicata, più buona di quanto ci abbiano sempre voluto far credere. È dura e inevitabile, certo, ma io penso che se qualcuno, financo la Morte, è capace di amare, amare veramente, non può avere un animo malvagio. (…) Ho deciso di scendere a compromessi, di lasciar andare molte cose di ciò che ero ma di tenermi uno scrigno dei ricordi belli e spero che lei possa accettarlo, credo che lo farà, proprio nel nome dell’amore.

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