Galleria di Alessandro VII
uno dei tesori del Quirinale
Per poter comprendere l’ecletticità, lo stupore che attanaglia lo spettatore al cospetto della celeberrima galleria di Alessandro VII, all’interno del Quirinale, bisogna attraversare circa trecento anni di storia che videro il palazzo sorto sul colle dell’antica sede del culto di Quirino, come grande partecipatore del processo artistico della Roma papale.
Nasce come vigna della famiglia Carafa, affittata come residenza estiva per i papi che, a loro spese, ne modificano nel corso degli anni l’intero assetto architettonico, presentandosi, in tal modo, come palazzo attraversato da secoli di modifiche e continue ricostruzioni. Diviene nel corso dell’Ottocento dimora napoleonica nonostante manchi l’opportunità di alloggiare al suo interno, lasciando spazio a Pio VII che, liberato dall’esilio francese, prende nuovamente possesso della residenza. Terminata la parentesi d’oltralpe, il Quirinale diviene reggia dei Savoia, i quali fanno giungere all’interno della dimora, opere provenienti dagli stati preunitari, in particolar modo dalle collezioni parmensi. Con il referendum del 2 giugno, si chiude il capitolo monarchico aprendo la strada all’era repubblicana che farà del Quirinale la sede della Presidenza della Repubblica.
Capolavoro che racchiude in sé l’atmosfera dei salotti barocchi e la ricerca dell’antico, tipico del neoclassicismo, riemerge, dopo accurati restauri, la decorazione pittorica della galleria voluta da Alessandro VII Chigi in Quirinale. Volto a glorificare il suo pontificato e i nuovi volti dell’arte, il neo eletto papa affida a Pietro da Cortona e alla sua équipe di pittori la decorazione della galleria che constava di circa 68 metri di lunghezza. Non abbiamo la possibilità di ammirare l’opera al suo stato originario poiché in età napoleonica questa viene divisa in tre ambienti, volti a ospitare gli appartamenti dell’imperatrice Maria Luisa, la quale non soggiornerà mai all’interno della residenza. Le modifiche apportate riguardano la costruzione di due tramezzi sui quali ritroviamo pitture ottocentesche di scarso valore stilistico, in netto contrasto con il ciclo decorativo cortonesco che prendeva avvio dalla raffigurazione del Mola sul lato breve per poi proseguire con scene legate all’Antico e al Nuovo Testamento, culminanti con l’affresco ad opera di Carlo Maratta. Nella parte al di sotto del ciclo biblico ritroviamo coppie di colonne su sfondo boschivo, intervallate da figure di offerenti posti ai lati di un elemento centrale che può essere individuato come un ara o un braciere sacrificale. Così doveva apparire agli occhi di un visitatore fino all’arrivo a Roma delle truppe napoleoniche. Dettati dall’esigenza imminente di creare degli alloggi per l’imperatrice Maria Luigia, l’architetto di corte Raffaele Stern ricava da quest’unico ambiente tre sale diverse che prendono il nome di Sala degli Ambasciatori, Sala Gialla e Sala di Augusto. Inoltre vengono tamponate le tredici finestre e le pareti ricoperte con tele di tema classico ed eroico realizzate da personalità di notevole spessore come Ingres, e le pareti inferiori ricoperte da parato di color giallo. Attualmente si possono notare le coppie di colonne troncate, ciò è dovuto alla decorazione a fondo oro apportata dai francesi. In seguito al ritorno all’interno della residenza del papa Pio VII, questi muta il simbolo francese dell’aquila apportato sulle decorazioni oro, in teste di cherubino, in modo da eliminare qualsiasi rimando all’occupazione francese.
Ora è possibile notare le varie decorazioni sovrapposte, in modo da permettere allo spettatore di inserirsi nel corso della storia del palazzo. Ciò deve porsi da monito per i futuri interventi di restauro; lasciare una testimonianza, anche se sgradita come quella napoleonica, può solamente giovare sia per la comprensione dei gusti di quell’epoca, sia per il suo valore storico ed artistico. L’antico non elimina il nuovo, e quest’ultimo aiuto a comprende il processo evolutivo.
Articolo a cura di Chiara Tondolo