Zaira Carraro
pubblicato 6 anni fa in Arte

Gauguin e gli Impressionisti. Capolavori della collezione Ordrupgaard

29 settembre 2018 - 27 gennaio 2019

Gauguin e gli Impressionisti. Capolavori della collezione Ordrupgaard

Non era possibile per il Culturificio mancare all’anteprima per la stampa dell’attesa mostra Gauguin e gli Impressionisti. Capolavori della collezione Ordrupgaard presentata lo scorso venerdì a Padova nella cornice storica di Palazzo Zabarella. La mostra, organizzata dalla Fondazione Bano in collaborazione con il Comune di Padova e il Museo danese Ordrupgaard, rimarrà sicuramente tra quelle occasioni uniche per il capoluogo veneto e, perché no, per il nostro paese, visto che proprio Padova è stata scelta per l’Italia, assieme ad altre poche sedi europee ed internazionali, quale luogo per ospitare la collezione danese itinerante negli ultimi due anni per il completo rinnovamento del Museo di Copenaghen. Prima di Padova, la collezione di arte francese è passata per il Musée Jacquemart-André di Parigi e la National Gallery of Canada, per far tappa poi in Svizzera e a Praga prima di rientrare definitivamente in patria.

La storia della collezione Ordrupgaard è indissolubilmente legata al nome del suo originario proprietario Wilhelm Hansen (1868-1936) che proprio cent’anni fa, il 14 settembre 1918, aprì per la prima volta le porte della sua casa con l’intenzione di offrire al pubblico la sua unica collezione di pittura francese e danese a cavallo tra XIX e XX secolo. Wilhelm Hansen è ricordato nel suo paese, oltre che per essere stato audace uomo d’affari e Consigliere di Stato, per aver fondato nel 1896 la Dansk Folkeforsikringsanstalt, letteralmente il primo Istituto di assicurazioni per il ceto medio danese. Già appassionato di pittura locale, fin dai tempi della scuola coltiva un interesse critico nei confronti dell’arte anche grazie alla conoscenza, divenuta poi amicizia, con il pittore suo coetaneo Peter Hansen, famoso come componente del gruppo dei Funen painters, dal nome dell’isola di Fiona, seconda isola per grandezza della Danimarca, nella quale questi artisti soggiornavano e operavano. Il carattere propositivo di Hansen con la sua carica di idealismo lo spinge a promuovere lo studio e la diffusione della Volapük, lingua artificiale che avrebbe dovuto diventare veicolo di comunicazione sovranazionale. Mentre insegna alla Volapük Society di Copenaghen incontra la studentessa Henny Nathalie Soelberg Jensen che diventerà sua moglie nel 1891.

L’incontro con la pittura francese risale invece al 1893 anno del suo primo viaggio di lavoro a Parigi, dove nel tempo libero frequenta i Salon, le Esposizioni universali, le gallerie e i musei e si intrattiene con i mercanti d’arte. Solo nel 1916, dopo molte e regolari visite nella capitale francese e grazie anche ad una situazione economica più favorevole dovuta alla guerra, Hansen comincia ad acquistare pezzi pregevoli sostenuto nei risvolti pratici da Émile Duval-Flery, condirettore dell’Istituto di assicurazioni e da Théodore Duret, famoso critico d’arte dell’epoca, ormai ottantenne ma un tempo intimo di Manet e avveduto sostenitore degli impressionisti. La fitta corrispondenza con la moglie prova quanto gli acquisti fossero ragionati e perseguissero il progetto di una collezione di pittori francesi inizialmente da Corot a Cézanne. Il 1916 è anche l’anno dell’acquisto del terreno a Ordrupgaard, a nord di Copenaghen, con l’intento iniziale di edificarvi una residenza estiva; presto però i coniugi Hansen decideranno di lasciare l’appartamento a Copenaghen per farne la loro residenza permanente dove contenere anche la galleria d’arte che si era velocemente ingrandita.

Al termine della prima guerra mondiale, in coincidenza con il naturale boom economico, Wihlem Hansen fonda con un piccolo gruppo di collezionisti e mercanti d’arte un consorzio che aveva lo scopo di facilitare l’acquisto all’asta di intere collezioni di arte francese e il loro trasferimento in Danimarca. In questo modo, già nella primavera del 1918 Hansen possedeva una collezione unica sia per l’altissima qualità delle opere sia per la coerenza nelle scelte che si rifà indiscutibilmente al gusto soggettivo del suo artefice. Proprietario di un numero così cospicuo di capolavori, Hansen in accordo con la moglie Henny decide di aprire al pubblico un giorno alla settimana la cosiddetta “galleria francese” all’interno della loro sontuosa residenza.
Purtroppo nel 1922 il tracollo della Landmandsbanken, all’epoca la maggiore banca privata del paese, costrinse Hansen che aveva chiesto dei prestiti per fondare il Consorzio, a vendere buona parte della sua collezione per sopperire ai debiti accumulati. Inizialmente aveva anche proposto l’intera collezione allo stato danese per una somma molto inferiore alla valutazione ma lo Stato aveva rifiutato l’offerta incrinando oltretutto anche i rapporti del filantropo con le istituzioni. La maggior parte dei dipinti venne acquistata quindi da collezionisti stranieri: Oskar Reinhart di Winterthurt acquista dalla Svizzera diciannove quadri mentre altre tele finiscono soprattutto negli Stati Uniti e in Giappone attraverso il collezionista Kojiro Matsukata. Parte di queste ultime si trovano oggi al National Museum of Wester Art a Tokyo.

Superata la crisi finanziaria, Hansen ricomincia a mettere insieme la sua collezione, da una parte tentando di ri-acquisire alcune delle opere precedentemente vendute e dall’altra con l’acquisto di nuovi capolavori. In circa due anni, tra 1924 e 1925, la collezione può dirsi conclusa per la seconda volta sebbene le acquisizioni proseguiranno fino al 1931, anno dell’ultimo acquisto, la Ballerina che si allaccia la scarpetta di Edgar Degas. Morto nel 1936, Wilhelm Hansen non vede realizzato il suo sogno: spetterà alla moglie Henny lasciare in eredità l’intera collezione e la residenza allo Stato danese all’unica condizione che questa rimanesse fruibile al pubblico. A soli due anni dalla sua morte, Ordrupgaard viene aperta come museo d’arte statale. È il 1953.

Diciamolo subito: la collezione Ordrupgaard non è una collezione di arte impressionista a meno che non si voglia definire “impressionista” tutta l’arte della seconda metà del XIX secolo e l’inizio del XX secolo in Francia. Probabilmente anche il titolo della mostra, che presenta sessanta delle cento cinquantasei opere acquistate da Hansen, risulta fuorviante. Indubbio che il filantropo danese condividesse con i suoi coetanei francesi la predilezione per tutti quegli autori che, sebbene la critica ufficiale avesse all’epoca stroncato, hanno goduto di una grandissima popolarità tra il grande pubblico: Sisley, Pissarro, Renoir, Monet e Degas tra i più ortodossi, se così si può dire. È altrettanto indubbio però che numericamente le scelte di Hansen si sono orientate verso due artisti che ricoprirono nella scene artistica della seconda metà dell’Ottocento il ruolo di personaggi indipendenti: Camille Corot e Paul Gauguin. Il primo ha influenzato le generazioni successive muovendosi dalla tradizione del paesaggio classico alla pittura en plein air mentre il secondo ha reciso di netto tutto ciò che era la visione della realtà e le modalità stesse di rappresentare la realtà.

Le scelte di Wihlem Hansen sono state tanto personali quanto critiche che la collezione si presenta quale un compendio di soli capolavori di oltre mezzo secolo di arte francese. Le sezioni in cui la mostra è sviluppata palesano bene questa caratteristica: partendo dalla pittura di tema storico-letterario di Jean-Auguste Dominique Ingres, Eugène Delacroix Thomas Couture e Honoré Daumier, dal naturalismo di Gustave Courbet si attraversa la foresta di Fontainebleau per incontrare Daubigny, Duprè e Sisley alla Scuola di Barbizon. Nasce l’impressione con Monet e Boudin, di fatto precursore dell’Impressionismo, ovvero quella pittura che vuole fermare sulla tela in modo quasi fotografico l’attimo esatto di un determinato evento atmosferico, paesaggio o marina. Impressionismo è pure la scelta di ritrarre momenti quotidiani della vita moderna nelle metropoliti nascenti: Pissarro, Degas e Cézanne dipingono nudi femminili, ballerine, scorci di città, interni di case o locali borghesi. Uno tra tutti è lo studio (1875-76) di Pierre-Auguste Renoir per Le Moulin de la Galette.
L’ultima parte del percorso ospita quelle opere che dall’Impressionismo hanno gettato un ponte alle tendenze d’avanguardia. Il Cesto di pere di Édouard Manet (1882) non è più solo una natura morta ma anticipa quel nuovo senso per il colore che sarà prerogativa dell’arte postimpressionista. Tanto la Natura morta (1901) di Odilon Redon apre al simbolismo quanto i Fiori e frutta (1909) di Henri Matisse si collocano sulla strada imboccata dai pittori fauves.

Due opere tra tutte queste perle meritano, a mio avviso, di soffermarsi per motivi differenti un minuto in più: Il mare di Jules Duprè, esempio perfetto di come la natura sia il soggetto sufficiente ad un artista e Alberi blu (1888) dipinto da Paul Gauguin mentre viveva col collega Vincent Van Gogh nella casa gialla ad Arles. Ogni visitatore troverà all’interno di questa mostra le opere davanti le quali soffermarsi qualche attimo in più.

D’altronde, come riporta una sincera citazione di Gustave Courbet, “il bello come la verità, è legato al tempo in cui si vive e all’individuo che è in grado di percepirlo“, e nulla è più vero se pensiamo a Wihlem Hansen.

 

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