Gli affreschi del Palazzo Pubblico di Siena
L’attualità del linguaggio di Ambrogio Lorenzetti
Nel lontano -ma neanche troppo- 1337 fu commissionato ad Ambrogio Lorenzetti il ciclo di affreschi “Allegorie ed effetti del Buono e del Cattivo Governo in città e nel contado” dal comune di Siena, in una sala del Palazzo Pubblico. La cosa più sorprendente di questo immenso lavoro del Lorenzetti è l’attualità con cui possiamo leggere ed interpretare questa enorme allegoria. Ci troviamo nel Basso Medioevo, un periodo che sentiamo lontano, un periodo “buio” come si suol dire. E invece sembra che il loro significato sia rimasto immutato nel tempo, sembra che questi affreschi siano caratterizzati da una mancanza spazio-temporale in quanto il loro messaggio, per quanto vada sempre contestualizzato all’epoca in cui furono eseguiti, ci appartiene oggi più che mai.
Ambrogio ha sfruttato la disposizione della stanza dipingendo sulla parete breve la rappresentazione allegorica del Buon Governo che in questo modo è completamente inondata dalla luce che proviene dall’altra parete breve di fronte, tutta occupata da una grande finestra. Sull’altra parete breve invece, quella che il visitatore vede immediatamente entrando, si vede la rappresentazione del Mal Governo e dei suoi effetti su Siena. Questo atroce spettacolo, in cui violenza e morte regnano sovrane, fa immediatamente meditare lo spettatore sulle gravi conseguenze di una condotta politica errata e spinge il medesimo spettatore a volgersi subito verso la parte positiva del ciclo, che viene suggerito come l’unica soluzione possibile.
Sulla parete del “male”, l’abilità del Lorenzetti è stata quella di rendere a colpo d’occhio un’immediata visione di una situazione impolitica. Al centro, sul podio, sta Tirannia dall’aspetto demoniaco, che ha i tratti con cui nell’Apocalisse viene descritta Babilonia: presenta infatti una ricca capigliatura femminea, il mantello con oro e pietre preziose, la coppa d’oro piena di veleno e ai suoi piedi un caprone, tradizionale simbolo di lussuria. Ai suoi piedi è la vinta Iustitia con i piatti della bilancia spezzati. Si dispongono poi a un livello inferiore i vizi : Crudelitas, un’ orrida vecchia che sta per strozzare un bambino indifeso, Proditio ( il tradimento), Fraus ( la frode) con ali di pipistrello e piedi d’uccello. Segue poi Furor, un mostro metà uomo e metà bestia che ricorda il Minotauro dantesco. Sopra Tirannia si librano Avaritia, vecchia e con ali di pipistrello che tiene stretto un torchio dal quale fuoriescono monete, Superbia con la spada sguainata e infine Vanagloria, una donna intenta a specchiarsi, un vizio che accompagna la tirannide e la sua ideologia.
Seguono gli “Effetti del Mal Governo”: la città chiusa da mura merlate, a sottolineare la necessità di una difesa, case incendiate o distrutte, strade piene di rovine, l’esercito che uccide e commette soprusi. Nessuno lavora più, anche la campagna è desolata e gli alberi senza frutto.
Ci volgiamo allora verso l’altra parete sperando di vedere qualcosa di positivo e ci illumina la rappresentazione allegorica del Buon Governo. In alto nel cielo si libra Sapientia, che tiene il libro delle Sacre Scritture e una bilancia che Giustitia tiene in equilibrio. Completamente nuova è la rappresentazione della Concordia, sotto a Giustitia, da cui riceve le corde della bilancia. Infatti Concordia invece che da concors ( “con lo stesso cuore”),che sarebbe la corretta etimologia, viene ora fatta derivare da “cum chorda”, un’interpretazione che è già in Quintiliano. Quasi al centro l’imponente figura di un vecchio, il Comune di Siena, in aspetto di giudice e abbigliato con i colori senesi del bianco e nero. Ai sui piedi i due gemelli Senio e Ascanio e la lupa, a segnare le origini romane della città. Sopra il vecchio vediamo le tre virtù teologali, Fede, Speranza e Carità. Sulla stessa pedana del Comune vediamo le virtù cardinali: Fortezza, Prudenza, Giustizia e Temperanza. In più Lorenzetti aggiunge Magnanimità e Pace. Quest’ultima, discostata dalle altre, a sottolineare la sua importanza, è rappresentata semi sdraiata su un cumolo di armi, vestita di bianco e incoronata dall’ulivo.
Lieta e piena di luce si mostra la città di Siena, il lavoro è gioioso e senza fatica, una fanciulla sta per sposarsi, un sarto sta cucendo, un mercante è concentrato nei suoi conti, dei nobili signori sono a cavallo. Verso la campagna vediamo due contadine che arrivano con delle provviste, un cieco che chiede la carità a dei signori a cavallo. I campi sono coltivati, scorrono ruscelli e torrenti, si intravede il porto. Le mura della città non servono più a difendere Siena, ma sfoggiano come capolavori architettonici che abilmente Lorenzetti ci mostra di scorcio e con una veduta a volo d’uccello.
Questo ciclo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti è tra i più antichi e innovativi di questo genere. Il suo merito è quello di aver saputo tradurre concetti astratti in immagini chiare e comprensibili, pur se allegoriche, vive testimonianze del suo tempo e un po’ anche del nostro.