Gli antichi Greci e il culto della Luce
Efesto, Helios & Co.
Tra i tanti aspetti che affascinano della cultura greca arcaica ce ne è uno che coinvolge mito, riti, cultura e religiosità e che fa da sfondo a tutta la concezione di vita dei greci: la riflessione sulla Luce. Sono molte le figure mitologiche e cultuali che rappresentano e incarnano quelle che sono le visioni più alte e interessanti che la cultura greca ci ha tramandato sull’elemento, nel suo duplice aspetto positivo e negativo, della Luce. Il lato più affascinante e più “ordinario” è quello incarnato da Efesto, divinità del fuoco, delle fucine e della metallurgia. La sua figura era così importante proprio perché grazie alla sua azione e al suo lavoro nelle fucine dell’Etna, la Luce diveniva elemento quotidiano, usuale, familiare, più vicina alla sensibilità di tutti. Grazie ad Efesto la Luce si mostrava così sia come positività, che irradia la vita e la perfeziona, la ingloba, sia come segno di paura, di terrore, tale da incutere riverenza e rispetto nei suoi confronti (si credeva infatti che i ciclopi, aiutanti del dio, con i colpi delle loro incudini e il loro ansimare facevano brontolare i vulcani della zona). La fama dell’azione benefica/malefica del dio Efesto era così diffusa che si ritenevano opera del dio i magnifici oggetti che ornavano gli dèi, le splendide armi che nei miti accompagnavano e difendevano gli eroi, gli edifici costruiti sull’Olimpo e perfino il carro che portava Helios. La Luce lavorata e prodotta dall’opera di Efesto è la Luce che dà vita ma che allo stesso tempo distrugge e intimorisce. È quella Luce che veniva celebrata e invocata nella figura del dio Apollo, considerato dalla tradizione greca dio del Sole rigenerante e rischiarante, che ricopre gli uomini con la sua potenza e la sua forza. È lo stesso Apollo a trascinare il carro solare che sfreccia nel cielo limpido della vita eterea: egli è il dio che trasporta la Luce nel suo viaggio cosmico, colui che la dona per far rischiarare la vita buia e tenebrosa che cala sui mortali. Si pensi che anche presso gli etruschi il dio Aplu (corrispettivo dell’Apollo greco) era associato all’elemento della Luce e del rischiaramento: era infatti il dio dei tuoni che squarciano il cielo terso. Apollo è, non a caso, chiamato dagli stesi Greci “Febo”, ovvero splendente, lucente, raggiante, radioso, come a sottolineare la sua appartenenza e identificazione al mondo della Luce e del rischiaramento onnicomprensivo legato ai raggi solari. Curiosi sono anche molti degli epiteti legati al nome del dio Apollo, due dei quali sono però emblematici: Alexikakos’ o Apotropaeos, indicanti entrambi la capacità del dio di tenere lontano il male, le tenebre, l’oscurità nemica della Luce; e Coelispex, sottolineante il suo continuo “scrutare i cieli” per portarvi la Luce dove domina solo oscurità e male.
« Zeus padre, signore dell’Ida, grande e glorioso,
Sole che tutti vedi e tutto ascolti,
fiumi e terra, e voi che sotto terra
punite da morti coloro che giurano il falso,
siate testimoni, e custodite i patti. »Omero, Iliade, III, 276-280, Traduzione di Guido Paduano, Milano, Mondadori, 2007, p.91.
È proprio nell’Iliade che troviamo il più antico riferimento al dio Helios, invocato dai Greci come il dio dell’Astro solare, del Sole rischiarante che tutto vede e tutto scruta. Helios è per la civiltà greca soprattutto il dio “portato sull’auriga celeste” (guidata da Apollo come abbiamo prima ricordato) con la quale attraversa il mondo intero, da oriente ad occidente, portando a compimento i giorni e rischiarandoli con la sua Luce benefica e vitale. Tutto il mito costruito intorno al dio Helios è intriso dell’elemento luminoso: a partire dalla sua figura, identificata con la Luce stessa, fino ad arrivare all’auriga celeste che è trainata da quattro cavalli (Eòo, Etone, Flegone e Piroide) che soffiano fuoco dalle narici. Helios si mostra così come una complessa personalità che nessun uomo sa comprendere fino in fondo: infatti in quanto dio dell’Astro solare è fonte di vita e luce a cui gli esseri umani non possono fare a meno; ma allo stesso tempo è una divinità assente e lontana dal piccolo mondo abitato dai mortali; è il dio vicino-lontano a cui gli uomini sono debitori per la loro stessa esistenza e per la vittoria quotidiana sul male e sulle tenebre. Tale aspetto, ovvero di un dio che sconfigge il male e lo domina per far trionfare il bene e la Luce, era talmente affascinante che ben presto si fece promotore di nuovi culti, destinati ad avere echi anche in altre tradizioni, come quello del Deus Sol Invictus, legato alle celebrazioni della “nascita del Sole” molto diffusi in oriente e che proprio in Grecia ebbero uno dei centri propulsori più efficaci e prolifici. I Greci infatti sono stati uno dei popoli più grandi per aver messo le basi ad una vera e propria “metafisica della Luce”, ovvero una rapida e pullulante speculazione intorno ai principi costitutivi della Luce che si mostrava nei suoi molteplici aspetti: la Luce come madre e dispensatrice di vita e salute, come vincitrice del male e delle tenebre che avvolgevano la vita degli uomini, come fonte rischiarante dell’essere stesso del cosmo e dell’universo. Ma anche qui c’è, come abbiamo ben visto, la controparte che è legata all’elemento luminoso: la Luce ha anche, per la speculazione greca, il lato negativo, terrifico e oscuro tale da provocare timore e riverenza nei suoi confronti. Ciò accade soprattutto quando l’ordine del mondo è venuto meno o quando la volontà degli uomini è talmente corrotta da aver eclissato i benefici rilasciati dall’azione rischiarante del Sole. Ma il lato “negativo” che abbiamo sottolineato, non deve certo portare a pensare a una contraddizione in termini nella grande speculazione teorica sulla Luce operata dalla civiltà greca: la Luce è sempre e comunque “benefica”, educatrice, guida esperta per la vita, monito per il comportamento quotidiano, punto cardine verso cui orientare la vita, anche quando mostra quel volto terrifico e pauroso tale da sconvolgere l’intera esistenza umana. Tutta la dinamica esistenziale dell’uomo greco è orientata alla Luce e al rischiaramento da portare nel quotidiano: dai piccoli sforzi che si vivono ogni giorno, alla sfera matrimoniale, alle questioni che interrogavano la città, ai misteri che avvolgevano la sfera del sacro. Per arrivare poi alla stessa ontologia dell’essere umano, che rappresenta il culmine di tutta la riflessione greca sulla Luce e che ci trascina nel fascino della straordinaria e meravigliosa conclusione a cui possiamo pervenire seguendo le loro orme: l’uomo è Luce, tutti noi siamo Luce, la nostra stessa vita è Luce e ogni nostro passo deve condurci a quel rischiaramento che dà senso e forma all’intera esistenza. È il mito che diventa realtà e la realtà che si trascende in narrazione mitica.
1 Omero, Iliade, III, 276-280, Traduzione di Guido Paduano, Milano, Mondadori, 2007, p.91.