Caterina Marchesini
pubblicato 5 anni fa in Altro

Il mondo come io lo vedo

di Albert Einstein

Il mondo come io lo vedo

Indagare sul senso o sullo scopo della propria esistenza, o della creazione in generale, mi è sempre parso assurdo da un punto di vista obiettivo. Eppure tutti hanno certi ideali che determinano la direzione dei loro sforzi e dei loro giudizi. In questo senso non ho mai considerato l’agiatezza e la felicità come fini a se stessi. […] Gli ideali che hanno illuminato il mio cammino, e che via via mi hanno dato coraggio per affrontare la vita con gioia, sono stati la verità, la bontà e la bellezza.

Così scrive Albert Einstein, il celebre scienziato, padre della Teoria della Relatività, Premio Nobel per la Fisica nel 1921, uno dei più grandi pensatori del XX secolo. Un fisico la cui fama divenne tale che il suo nome, nella memoria collettiva, è sinonimo di vasta intelligenza, nonché di genio. Anche se egli era solito dire: «non ho particolari talenti, sono solo appassionatamente curioso».

Scienziato ma non solo, dunque; anche grande filosofo, come dimostrano le sue parole ne Il mondo come io lo vedo, la sua prima raccolta di lettere e articoli non scientifici, pubblicata in Germania nel 1934 e subito tradotta in inglese. L’antologia si divide in quattro parti dove il fisico, con spirito critico e ironia, esprime il proprio parere intervenendo su temi importanti: politica e pacifismo; la catastrofe tedesca causata dall’ascesa al potere di Hitler; l’ebraismo e il sionismo; la propria “visione del mondo”. È interessante soffermarsi su quest’ultimo aspetto che poi costituisce la prima parte della raccolta; qui Einstein, partendo dalla domanda su quale sia il senso della vita, si racconta, mostrandoci “il mondo come lui lo vede”. Ci dice che la nostra situazione, la nostra nel senso di noi esseri mortali, è straordinaria, perché ci troviamo al mondo per un breve soggiorno, non sappiamo quale sia lo scopo, se esista o meno, sebbene talvolta pensiamo di percepirlo. Egli risponde:

L’uomo che considera la propria vita e quella delle creature consimili priva di senso non è semplicemente sventurato, ma quasi inidoneo alla vita.

Ci svela come ogni giorno egli ricordi a se stesso che la sua vita, interiore ed esteriore, dipende dal lavoro di altri uomini, viventi o morti, e che lui deve impegnarsi per dare nella stessa misura in cui ha ricevuto e continua a ricevere. E’ fortemente attratto inoltre dalla vita semplice perché ritiene che vivere semplicemente faccia bene a tutti, sia fisicamente che mentalmente; infatti dice che successo pubblico, lusso e proprietà gli sono sempre parsi spregevoli. Ci confida come il suo ardente e sentito senso della giustizia e della responsabilità sociale è stato costantemente in contrasto con la sua pronunciata libertà dalla necessità di un contatto diretto con gli altri esseri umani della comunità, rispetto ai quali ha mantenuto sempre un ostinato senso del distacco che, con il trascorrere degli anni, si è trasformato in bisogno di solitudine. Questo perché cosciente dei limiti della possibilità di una reciproca solidarietà e comunicazione tra consimili; con i suoi pro e i contro, infatti scrive:

Senza dubbio una persona del genere perde qualcosa in genialità e spensieratezza; d’altro canto è ampiamente indipendente nelle sue opinioni, abitudini e giudizi rispetto agli altri ed evita la tentazione di fondare il proprio equilibrio su basi così incerte.

Non crede però nella libertà in senso filosofico, perché ognuno agisce non solo sotto gli stimoli esterni, ma anche in base a necessità interne. Invero, fonte di ispirazione per lui, sin dalla fanciullezza, è stata la celebre affermazione di Schopenhauer secondo la quale “un uomo può fare come vuole, ma non può volere come vuole”.

Il suo ideale politico è la democrazia, dove ogni uomo venga rispettato come individuo e nessuno sia idolatrato. E ripensa a quello che è accaduto a lui:

È un’ironia del destino che io stesso sia stato fatto oggetto di eccessiva ammirazione e rispetto dai miei consimili senza alcun pregio o difetto da parte mia. La causa di ciò potrebbe essere il desiderio, irraggiungibile per molti, di capire quel paio di idee che le mie deboli forze hanno raggiunto attraverso incessanti fatiche. Sono assolutamente consapevole che per il successo di qualsiasi impresa complessa sia necessario che uno sia colui che pensa, che diriga e che in generale porti la responsabilità. Ma coloro che vengono guidati non devono essere obbligati, devono poter scegliere la propria guida.

Ed infatti, secondo lui, un sistema autocratico di coercizione degenera ben presto, perché la forza attrae uomini di bassa moralità; ciò che gli sembra veramente valido nello scenario della vita umana non è lo Stato, bensì l’individuo che, con la sua personalità sensibile e creativa, crea quello che è sublime e nobile, nella mente e nei sentimenti. Detesta e condanna inoltre la violenza senza senso, l’eroismo comandato, la guerra:

La guerra mi pare qualcosa di meschino e spregevole: preferirei essere fatto a pezzi che partecipare a una faccenda così abominevole.

Tuttavia, malgrado ciò, dice di avere un’alta opinione degli uomini al punto da credere che questa “faccenda” della guerra sarebbe scomparsa già da tempo se il sano senso dei popoli non fosse stato sistematicamente corrotto da interessi politici e commerciali.

Intrigante poi è il rapporto di Einstein con il mistero.

La cosa più lontana dalla nostra esperienza è ciò che è misterioso. E’ l’emozione fondamentale accanto alla culla della vera arte e della vera scienza. Chi non lo conosce e non è più in grado di meravigliarsi, e non prova più stupore è come morto, una candela spenta da un soffio.

Il mistero ritorna anche nell’idea che egli ha della religione. Ci dice difatti che fu l’esperienza del mistero che generò la religione: sapere dell’esistenza di un qualcosa che non possiamo arrivare a conoscere, a comprendere, e accessibile alla nostra ragione solamente nella forma più elementare, costituisce la vera attitudine religiosa. In questo senso egli si definisce un uomo profondamente religioso. E belle e significative sono le parole con le quali chiude questa parte introduttiva alla sua visione mondo:

A me basta il mistero dell’eternità della vita e la vaga idea della meravigliosa struttura della realtà, insieme allo sforzo individuale per comprendere un frammento, anche il più piccino, della ragione che si manifesta nella natura.

Per Einstein il valore di un essere umano è determinato, in primo luogo, dalla misura e dal senso in cui ha raggiunto la liberazione dal sé; infine, riguardo al rapporto tra bene e male, ci riferisce che, come principio, è giusto che quelli che maggiormente abbiano contribuito alla elevazione dell’uomo e della vita umana siano anche i più amati; ma, se si andasse a ricercare chi sono, continua a dire, si troverebbero evidenti difficoltà perché spesso non è molto chiaro se abbiano fatto più bene che male, sia nel caso di capi politici che religiosi. Egli crede molto fermamente che si possa rendere il migliore servizio alla gente dando loro un qualche lavoro edificante da fare, e così indirettamente edificandola; questo riguarda tanto gli artisti quanto gli scienziati. Sostiene infatti che ad arricchire la natura dell’uomo e ad elevarlo sono lo stimolo a comprendere e il lavoro intellettuale, creativo o ricettivo.

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