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pubblicato 4 anni fa in Recensioni

Il segreto di Ippocrate

Il segreto di Ippocrate

È tempo di epidemie, di isolamenti forzati, di riflessioni. Le fragilità umane, apparentemente archiviate dalla tecnologia, obnubilate dal consumismo, alleviate dal progresso scientifico, ritornano a emergere nei limiti fisici, nelle statistiche di morbilità e mortalità, ma anche nelle paure incontrollate, negli atteggiamenti irrazionali, nei crolli emotivi.

Ma ciò che viviamo è ben lontano dall’esser nuovo, e richiama piuttosto alla memoria i ben noti «corsi e ricorsi storici» di vichiana memoria, benché la nostra società non somigli a nessuno dei tre «stadi» proposti e sia in particolare ben lontana da quello più evoluto, di una società dominata dalla ragione e resa pacifica dall’uguaglianza tra gli uomini.

In questo clima ansioso, surreale, in cui alcuni minimizzano e altri vedono l’apocalisse, una parola di equilibrio può venire, come sempre accade, guardandosi alle spalle, e cercando il riflesso delle nostre piccole umane vicende nello specchio immane e benevolo dell’antichità. Troviamo allora malanni incoercibili e pestilenze fin dai versi di Omero, nelle cronache di Tucidide, nel Decameron di Boccaccio, fino alla secentesca pestilenza manzoniana. Senza elencare le epatiti, le sindromi da immunodeficienza acquisita, le numerose zoonosi che la natura ci ha posto sulla scacchiera in questi ultimi decenni.

Lo stato d’animo e le difficoltà di Homo sapiens di fronte a queste calamità non sono cambiate poi molto: se la ricerca in ambito medico ha spostato sempre più lontano dal singolo individuo il fronte di affanno microbiologico, d’altro lato le mutazioni nei ceppi batterici e virali hanno ingrossano via via le schiere nemiche.

Non è dunque difficile per tutti noi, in questa condizione di timore e incertezza che stiamo vivendo, immaginare lo stato d’animo di Ippocrate – padre della medicina occidentale e autore del giuramento – di fronte alla peste di Atene, ampiamente descritta da Tucidide in La guerra del Peloponneso e risolta, stando alla tradizione, dallo stesso Ippocrate con l’aiuto di qualche altro medico della scuola di Crotone.

Di questo, tra le altre cose, parla Il segreto di Ippocrate di Isabella Bignozzi, (La Lepre edizioni, 2020) biografia romanzata che improvvidamente si trova – forse suo malgrado – a sostenere la prova di narrare le vicende di vita e la battaglia contro il male nero del più grande medico dell’antichità, proprio in questi tempi cupi.

Il testo è poco più che una favola, afferma l’autrice nelle note, ma vi si rileva una certa accuratezza nella ricostruzione storica: se l’infanzia del grande medico è narrata con una fantasia libera che rasenta l’ingenuità, le fasi successive della sua vita, gli incontri con i sapienti dell’epoca – guaritori, filosofi, retori, ginnasiarchi – alcuni episodi come l’incendio delle tavole al tempio, la sua avversione per i sofisti, i suoi viaggi, persino alcuni interventi medici e chirurgici sono tratti narrativi ben documentati, di cui si trova traccia nelle antiche biografie a nostra disposizione (in Sorano di Efeso, nella Suda, nei testi di Giovanni Tzetzes, filologo bizantino del XII secolo d.C.) e ancor prima in autori come Eratostene, Ferecide, Apollodoro, Ario di Tarso, Sorano di Kos, Istomaco e Andreas; ma molti riferimenti sono presenti anche nei suoi scritti personali, raccolti con devozione da uno studioso francese nel primo ottocento (Émile Littré: Hippocrate. Oeuvres Completes, J.-B. Baillière, 1839) e letti apparentemente con simile devozione dall’autrice.

Benché Ippocrate non sia stato il primo medico della storia, (sappiamo di una grande tradizione in Egitto e nelle scuole greche di Cirene, Rodi, Cnido e Kos), tuttavia sappiamo anche che presso le Case della vita egizie e gli Asklepieion greci la medicina aveva ancora una forte valenza di arte sacra, ed era molto sentito l’influsso divino. Il malato che cercava un qualche sollievo nei templi veniva sottoposto ad alcuni riti preliminari, che con il pretesto religioso lo obbligavano a digiuni prolungati, purificazioni, abluzioni e unzioni. Una volta preparato, egli passava la notte nel tempio, e assisteva alla cosiddetta «incubazione», nella quale il dio gli appariva in sogno e prescriveva i rimedi necessari.

Ippocrate si distacca da questa visione sacerdotale e si avvale dei primi albori una nuova scienza basata sulle speculazioni dei filosofi, che iniziano a riflettere sulla natura; a osservare gli elementi primordiali dell’universo come l’acqua, l’aria, il fuoco, spiegando con essi la composizione dei corpi; a fare congetture sugli esseri viventi, sulle malattie degli uomini. La più importante scuola medico-filosofica di quel periodo è quella della Magna Grecia, con Alcmeone e Democede di Crotone, Empedocle e Acrone di Agrigento tra i suoi maggiori rappresentanti, alcuni dei quali nel romanzo incontreranno Ippocrate dandogli numerosi illuminanti insegnamenti.

Il segreto di Ippocrate è un romanzo di formazione il cui merito principale è di dare voce a un personaggio cui mai nessuno, nella letteratura precedente, ha concesso vicende e pensieri; un testo che ci permette di spiare – seppure in modo indiretto – tra le carte e gli appunti del più grande medico dell’antichità: il Corpus Hippocraticum, una raccolta di insegnamenti che, dopo essere stati tramandati oralmente per secoli, furono poi riordinati e trascritti da discepoli, cultori e redattori in epoca ellenistica e romana imperiale, e infine tramandati di volume in volume dagli amanuensi nei secoli bui del medioevo, fino a giungere intatti alla modernità. Sorprende in questi scritti il livello di maturità speculativa dell’autore, evidente soprattutto nelle opere più sicuramente sue, tra le quali i filologi annoverano Le epidemie, il Prognostico, Gli Aforismi, sul Regime delle malattie acute; sulle Arie, le Acque ed i Luoghi; sulle Articolazioni; sugli Strumenti della riduzione; sulle Ferite della testa. Pregevoli in particolare gli appunti strutturati come diari, in cui Ippocrate appuntava ogni particolare dei suoi «casi clinici», descrivendone i sintomi, le ipotesi diagnostiche, le prime cure, l’evoluzione del male, la prognosi ragionata, l’esito delle terapie.

Questo romanzo segue dunque Ippocrate nella sua formazione, e tra rigore storico e qualche licenza narrativa, ne traccia un percorso ricco e sofferto, che rende ragione delle innumerevoli conoscenze che lo studioso trasfuse nelle sue opere e delle innovazioni che apportò all’arte medica del tempo.

Non mancano tuttavia le licenze narrative, tra cui la principale è l’ultimo viaggio di Ippocrate in medio-oriente, ormai in tarda età, al seguito di Ciro; questo episodio trae ispirazione dall’Anabasi di Senofonte e dalla spedizione dei Diecimila, ma è pura fantasia dell’autrice, e benché ella stessa affermi che «nulla prova né vieta» per la vicinanza nel tempo e nello spazio delle vicende, resta il fatto che questo episodio non è riportato in nessun documento storico e diviene dunque il più intemperante elemento romanzesco e il più immediato «Segreto» che Ippocrate ci rivela in questo libro; in sostanza, la più grande concessione che il lettore dovrà fare alla voce narrante.

Ben aderente invece alla documentazione storica del Corpus sono i riferimenti alle tecniche mediche e chirurgiche del tempo: particolarmente apprezzabile la parte di ortopedia, riguardo la riduzione delle fratture o la risoluzione delle lussazioni articolari – cui nel libro è dato spazio in alcuni episodi – che appare, nei principi fondamentali, ancora attuale. Non nelle tecniche, chiaramente, che hanno subito attraverso i secoli un’esponenziale evoluzione, ma piuttosto nell’approccio e nei principi di cura.

Nel romanzo si fa spesso riferimento anche alle conoscenze botaniche ed erboristiche di Ippocrate, perché il medico si troverà a usare e prescrivere infusi e decotti di cui l’autrice fa ampia descrizione, anch’essi tratti dagli appunti del Corpus; a tal proposito vale la pena ricordare che alcuni dei principi attivi della medicina ufficiale di oggi altro non sono che elaborazioni di estratti vegetali usati fin dall’antichità, e tramandati attraverso i secoli mediante ricette galeniche che sono stati poi testate, ottimizzate e studiate con metodo scientifico fino a confutarne o dimostrarne definitivamente la validità.

Ippocrate fu anche allievo di pedòtribi e ginnasiarchi (quelli che oggi definiremmo preparatori atletici) come Erodico di Selimbria e Icco di Taranto, e imparò a completare le proprie terapie mediche e chirurgiche con il regime dietetico e l’attività fisica, facendo di questi ultimi principi anche gli elementi chiave di ogni buona prevenzione, e avvicinandosi così al sentire della medicina moderna.

Ma quello che più sorprende sono gli scritti etici di Ippocrate, in cui egli dà disposizioni di comportamento. Nel romanzo le sue parole vengono a volte riportate testualmente:

Quando voi dovete visitate il malato … sappiate prima di entrare cosa si deve fare; poiché molti casi necessitano non di ragionamento, ma di un intervento caritatevole […] Entrando, ricordatevi la maniera di sedersi, la riservatezza, l’abbigliamento, l’austerità, la brevità del linguaggio, il sangue freddo che non si confonde, la diligenza verso il malato, la cura, la risposta alle obiezioni, il mantenimento della calma nelle confusioni che sopraggiungono….

Tali scritti etici e di comportamento toccano la punta più elevata nel Giuramento, con cui il libro si chiude e sul quale ogni medico ancora oggi fa la sua dichiarazione d’intenti per la vita a inizio professione: un testo profondo, intriso di un rispetto per la persona e di un amore per la vita che somiglia ai migliori afflati etici e principi deontologici dell’epoca moderna.

Ippocrate in questo libro appare uno studioso implacabile, ma anche un figlio affettuoso, un umanista pieno d’ideali. Da alcuni tratti delle sue opere in effetti sembra emergere un profilo caratteriale di tal genere, anche se si può rimproverare all’autrice di avergli attribuito una sensibilità molto moderna, con qualche intemperanza poetica. Ma è ben documentata in realtà l’avversione che Ippocrate avesse per la furbizia, la sua refrattarietà agli insegnamenti dei sofisti, alle superstizioni e ai rituali che inquinassero il rigore scientifico e la morale integrità.

Il romanzo dunque ci restituisce un Ippocrate studioso implacabile, tormentato dalla sua stessa purezza, non disposto a barattare in alcun modo la propria ingenuità. La documentazione storica in parte avalla questo profilo romantico. Eppure fu Ippocrate, proprio con le sue insufficienze e ingenuità, a risolvere – come la storia ci ha tramandato (così Sorano, Plinio il vecchio, Galeno) – la peste di Atene, la spaventosa epidemia in cui persino Pericle trovò la morte.

Ingenuità, studio implacabile, abnegazione. In questo momento particolare della storia umana, forse di evocare la presenza di questo personaggio c’era un po’ bisogno. Forse persino di questo piccolo romanzo, da tenere nello scaffale anche solo come un amuleto.

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