La finestra di notte: Hopper e Hitchcock
tra solitudine e voyeurismo
Questo percorso riguarda il tema della finestra notturna, con particolare riferimento ad aspetti come il voyeurismo e la solitudine dell’individuo: ho inserito dapprima il confronto tra alcuni quadri di finestra di Hopper degli anni ’20 e ’30 e il film La finestra sul cortile di Hitchcock, e poi il contributo di due artiste dei nostri giorni (Caroline Walker e Gail Albert Halaban), in una declinazione contemporanea delle stesse tematiche.
«Questa sembra perfetta: i capelli, gli occhi, il modo in cui scivola davanti ai vetri ignara che qualcuno la stia guardando […] Adora questa parte: la parte in cui le ragazze non sanno chi è lui, ma lui sa perfettamente chi sono loro».
Jonathan Santlofer, Finestre di notte (Da Ombre. Racconti ispirati ai dipinti di Edward Hopper)
Night windows è forse il quadro più voyeuristico di Edward Hopper. L’idea proviene dall’incisione omonima di John Sloan del 1910: in quest’ultima sono visibili dall’esterno due finestre, all’interno delle quali due sagome di donne svolgono faccende quotidiane. Il quadro di Hopper suggerisce un’atmosfera più intima, aumenta a tre il numero delle finestre, che seguono l’andamento curvilineo dell’edificio, e attribuisce un abito succinto all’unica donna china di spalle. Si presuppone che il pittore stia osservando l’edificio illuminato e la donna sola da una casa di fronte, a giudicare dalla particolare inquadratura.
Nel processo di avvicinamento del regista Alfred Hitchcock al pittore Edward Hopper, House at Dusk rappresenta un modello importante per la realizzazione del film La finestra sul cortile del 1954. Pur non essendo ambientata in piena notte ma al crepuscolo, la scena raffigurata evidenzia il forte contrasto tra la luminosità degli interni e il buio del bosco, accentuandone l’atmosfera cupa. Ciò che lega maggiormente il dipinto al film in questione è la scelta dell’inquadratura simultanea di più finestre, che in Hopper si sofferma su quelle dell’ultimo piano, e in Hitchcock sull’intero edificio spiato dal paralitico Jeff.
Qui Miss Cuore Solitario sembra davvero incarnare la protagonista di Automat. Ci sono notevoli differenze, su tutte il diverso punto di vista secondo il quale è vista la finestra di notte (nella prima dall’interno di un bar, nella seconda dall’esterno verso la camera di Miss Cuore Solitario). Ma le due scene sono così vicine per l’ossessione voyeuristica, rispettivamente di artista e regista, di spiare l’isolamento delle due donne, assorte nei loro pensieri di solitudine, tali da costruire vere e proprie storie mentali. In particolare in Hopper i personaggi non sono espliciti nelle loro riflessioni, ma enigmatici e impenetrabili, per questo attirano fortemente l’attenzione dell’osservatore.
Hopper dichiarò di aver avuto l’idea di Room in New York mentre camminava di notte per le strade cittadine vicino al quartiere di Washington Square. Dalla finestra spalancata di un appartamento Hopper conduce il nostro sguardo dentro l’intimità di una vita di coppia. La luce interna e l’ombra sotto il davanzale della finestra ci fanno intuire l’ambientazione serale. Qui la finestra non è una semplice apertura verso l’interno della casa, che consenta allo spettatore di cogliere ogni singolo dettaglio della scena ed entrare a far parte fisicamente del dipinto. È anche una porta di accesso all’anima dei protagonisti: l’uomo è particolarmente preso dalla lettura del giornale, la donna nella noia e ordinarietà di una scena domestica preme alcuni tasti di un pianoforte senza troppa convinzione, forse solo per passare il tempo. L’artista spia non solo i movimenti all’interno della stanza, ma anche la psicologia delle figure. È la stessa operazione compiuta da Jeff nella finestra sul cortile, nei confronti del compositore. Affiancato in questa scena dal regista stesso in veste di maggiordomo, anche il musicista suona senza rivolgere lo sguardo al pianoforte, preso da tutt’altri pensieri.
Una delle ultime serie della pittrice scozzese Caroline Walker (in mostra a Milano nel 2017), dal titolo Night scenes, è costituita da 10 tele dipinte ad olio, ambientate in diverse location (dalla California alla Repubblica Ceca) durante la notte, poiché l’artista è interessata ad esplorare i molteplici effetti che offrono le infinite variazioni di luce elettrica della notte. Protagoniste figure femminili intimamente sole al riparo delle pareti domestiche o en plein air (nel giardino o in una piscina), il più delle volte spiate attraverso una finestra. Un atteggiamento voyeuristico dell’artista, proprio come Hopper e Hitchcock, perché i personaggi rappresentati non sanno di essere spiati. È ciò che accade anche nella lunga fase di preparazione delle tele, simile a quella di un set cinematografico: come in un film Walker allestisce scenari fatti di modelle, servizi fotografici, oggetti di scena, illuminazione, così da individuare l’atmosfera ideale per ambientare i suoi quadri. Lei concepisce questi ultimi come fermi immagine, momenti sospesi e isolati all’interno di una narrazione.
Spiare le vite degli altri di notte attraverso le finestre è un’attrazione che continua ad affascinare chiunque. La fotografa statunitense Gail Albert Halaban amava fin da piccola guardare fuori dalla finestra della sua casa a Manhattan. Il suo progetto del 2015 Out my window nasce dalla forte volontà di comprendere e combattere allo stesso tempo la solitudine delle metropoli, in cui pur essendo vicini di casa si è radicalmente distanti. Il suo non è semplice voyeurismo poiché, pur agendo in silenzio e a una debita distanza dalla persona fotografata, ha messo al corrente del progetto le persone coinvolte cercandole tramite elenco telefonico. Il successo del progetto ha consentito alla Halaban di spedire la sua macchina fotografica in tutto il mondo, non limitandosi dunque alle sole riprese a Manhattan, ma potendole gestire tranquillamente da casa sua con la collaborazione dei residenti. «La finestra è un confine fragile tra il familiare e lo sconosciuto, tra il rumore della città e il tempo quieto della vita privata»: così Gail Albert Halaban, che è “entrata” silenziosamente di sera nelle case abitate da comuni individui, con interni illuminati cinematograficamente.
In chiusura una poesia di Giovanni Pascoli (Mezzanotte), dalla raccolta Myricae.
Otto… nove… anche un tocco; e lenta scorre
l’ora; ed un altro… un altro. Uggiola un cane.Un chiù singhiozza da non so qual torre.
È mezzanotte. Un doppio suon di pesta
s’ode, che passa. C’è per vie lontane
un rotolio di carri che s’arresta
di colpo. Tutto è chiuso, senza forme,
senza colori, senza vita. Brilla,
sola nel mezzo alla città che dorme,
una finestra, come una pupilla.