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pubblicato 6 anni fa in Altro

La pedagogia può vincere la disinformazione

La pedagogia può vincere la disinformazione

Il prezzo pagato dalla società odierna è la disinformazione. Nell’epoca definita della postverità, solo l’educazione, l’istruzione ‒ la pedagogia ‒ farà la differenza, trasmettendo un metodo di selezione delle informazioni. Stephen Hawking diceva:

Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza, ma l’illusione della conoscenza,

prima di lui ad affermarlo era Socrate.

Internet non è un inganno in sé, piuttosto è il regno in cui si mettono a confronto davanti alla stessa platea e sullo stesso canale l’esperto e colui che segue la scia delle emozioni. E il comportamento umano si sa è irrazionale; infatti l’economista Herbert Simon affermò che quando noi decidiamo lo facciamo in modo soddisfacente e mai ottimale.

L’eccesso di informazioni che viaggiano alla velocità della luce senza essere elaborate dall’utente, in continua contraddizione sulla piattaforma digitale, amplificano il fenomeno delle fake news e della disinformazione poggiando su una base priva di competenze approfondite e specifiche. Davanti a due dichiarazioni opposte dello stesso concetto, l’utente così come il telespettatore, prende posizione senza però aver appreso nulla. Siamo in guerra, una vera e propria guerra delle nozioni e chi controlla l’informazione avrà in mano il potere globale, governando sul primo Stato, quello con il maggior numero di popolazione, la Rete.

 Umberto Eco dichiarava durante la cerimonia di laurea honoris causa:

I social media hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli… […] … I giornali dovrebbero dedicare almeno due pagine all’analisi critica dei siti, così come i professori dovrebbero insegnare ai ragazzi a utilizzare i siti per fare i temi. Saper copiare è una virtù ma bisogna paragonare le informazioni per capire se sono attendibili o meno.

Il giro delle informazioni è più veloce della notizia e la coscienza critica per stabilire se davvero la notizia è genuina o è stata travisata, decontestualizzata, o trasformata non si costruisce nello stesso sistema. Una soluzione potrebbe essere l’intelligence che consente di raccogliere, analizzare e utilizzare le informazioni, mettendo ordine, dando un senso compiuto. Come dimostrano alcuni studi, la società contemporanea è quella più predisposta all’apprendimento ma anche quella più facilmente manipolabile, perché priva di memoria, di cultura. Alexis de Tocqueville scriveva che «la democrazia è il potere di un popolo informato», ma oggi il popolo non sembra possedere le informazioni necessarie ad una maggiore consapevolezza per esprimersi sul Web e puntare il dito. Si mette così in discussione la stessa democrazia.

Nell’informazione i fenomeni vanno contestualizzati, c’è poi un limite spazio-temporale da considerare, il ritocco digitale e le fake: il tema dell’immigrazione può essere analizzato indossando l’habitus degli occidentali, degli italiani, ma per gli antichi romani i barbari erano i germani, i galli, quello che per il bruco è la fine di tutto per il resto del mondo si chiama farfalla. I fatti hanno molteplici interpretazioni, perché molteplici sono i punti di vista dati da diversi fattori genetici, percorsi individuali, esperienze culturali: tra un bambino e un anziano in pericolo l’Occidente salverebbe il bambino, l’Oriente l’anziano in quanto depositario di saggezza. «L’interpretazione del mondo avviene in base alle idee che noi ci portiamo dentro». I fenomeni vanno poi inquadrati nel tempo, «ogni storia è storia contemporanea perché a leggerla sono i contemporanei», questo era il pensiero di Benedetto Croce. La società della disinformazione ha radici lontane, inizia con la cultura della società di massa durante la Rivoluzione industriale, passando poi per la società dello spettacolo in cui il dualismo non è più tra essere e avere ma tra essere e apparire, e per la società dell’informazione delle università e i centri d’istruzione. Il giornalismo 2.0 va inquadrato all’interno del concetto filosofico di postverità che inaugura una nuova Era del pensiero che implica, attraverso l’onnipervasività dei mezzi di comunicazione elettronici, qualcosa di nuovo: tutto quello che viene postato su un social è vero solo per il fatto di essere stato condiviso. Ognuno si è fatto “produttore di verità” a suon di post sui social network. Oggi non basta essere meri spettatori come con il mainstream, si vuole essere protagonisti, creando documenti da scambiare per far vedere che si è presenti. La postverità è quel fenomeno per cui la verità è diventata opinabile, poiché tutti la possono esprimere, affidandone la fondatezza sul consenso o sui like ricevuti. Il rischio per l’informazione è che tutto diventi opinabile, che la verità sia figlia solo della persuasività, o del seguito di chi, quella verità, la afferma. Tutti hanno ragione e nessuno ha ragione. Information dominans, l’occupazione americana e la guerra in Iraq scoppia per una fake news, perché i servizi segreti britannici lanciarono la notizia che Saddam disponeva di armi nucleari. Questa bufala ha cambiato la storia del mondo. Quando anche l’immagine si presta a tale fenomeno s’incorre in episodi aberranti come è accaduto per la vicenda dei tre bambini annegati in mare a largo della Libia fatti passare per bambolotti. Tuttavia, chi ha gridato al falso e al complotto, diffondendo la notizia ha contribuito invece a diffondere la fake autentica. A ciò si somma che «il 70% degli italiani non sa comprendere una frase nella nostra lingua», ha scritto il linguista Tullio De Mauro nel suo libro del 2010 “La cultura degli italiani”, mentre i dati Ocse certificano che il 26,9% degli italiani sono dei veri analfabeti funzionali nonostante il titolo di studio, gli stessi che votano ogni anno. Ma a questo punto un dato in assoluto significa tutto e niente.

Il nostro tempo non è un cambiamento sociale, ma una “frattura epocale”, una metamorfosi, che si può vincere solo reinventando il processo educativo ‒ basandosi sull’intelligence, studiando la genetica e le neuroscienze, approfondendo la conoscenza dell’intelligenza artificiale ‒ che però ha tempi più lunghi rispetto a quelli della comunicazione e della politica.

Articolo a cura di Gilda Pucci

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