Lucio Gava
pubblicato 7 anni fa in Cinema e serie tv

La sempre attuale dittatura dell’ipocrisia sociale in Germi

La sempre attuale dittatura dell’ipocrisia sociale in Germi

Un cast di tutto rispetto tra cui il ragionier Moschin, delle deliziose Virna Lisi e Moira Orferi, un Franco Fabrizi e un Aldo Puglisi in spolvero, sceneggiato dai giganti Age e Scarpelli e dallo stesso Germi. Ovvero Signore e signori, commedia del 1965 vincitrice di due David di Donatello e tre Nastri d’Argento, ambientata negli anni del boom economico italiano, nella locomotiva trainante tale sviluppo, nella nordestina Treviso, la quale dà triste ragione al consorzio umano fatto di leggi e tradizioni, di poteri temporali e spirituali, di reciproche alleanze e guerre.
Se per vincere tale impetuosa corrente perlopiù sfacciatamente ipocrita e falsamente perbenista bisogna essere benestanti, traditori degli affetti e incapaci di amore vero e quindi di sincerità, i cari Catellan, Gasparini, Benedetti, Soligo in questo trionfano e ben rappresentano i vincenti di allora come di adesso.

Il regista Germi non vuole dar loro tale primato e li denuncia tutti davanti al Tribunale per abuso di una contadinotta minorenne, “bianca come il latte e dura come il marmo” a detta loro, scagionandoli solo perché corrompenti il padre della ragazza per ritirare la denuncia, riconsegnandoli alla collettività più impettiti di prima, in effetti, riconsegnandoli perdenti morali della società e del film.
Non si può dire che l’ingenuo ragionier Osvaldo Bisigato interpretato da Gastone Moschin, trionfi in mezzo alla mediocrità. Egli lotta contro le false tradizioni irretenti, contro l’ipocrisia e contro la vuotezza di quell’esistenza, lotta amando, sognando e concedendosi il potere di innamorarsi.
Ma troppo presto, a nostro avviso, desiste dalla lotta per l’amata Milena Zulian, Virna Lisi. Non solo: il personaggio bonario e ingenuo creato da Germi, che preferisce infilarsi l’ovatta nelle orecchie piuttosto che sentire i rimbrotti della moglie e dei figli e le chiacchiere degli amici, ha troppi pochi mezzi intellettuali per capire la cortina di potere livellante, spalleggiata dall’eterno binomio Stato-Chiesa e dalla quasi invincibile volontà della società provinciale in cui vive, dove ancora il divorzio era mal visto, meglio, il divorzio non era consentito dalla legge, e dove regna la dittatura dell’ipocrisia e del perbenismo di facciata.
Avrebbe dovuto avere spalle più larghe e ferri più lunghi e puntuti, Moschin, compiere decisioni drastiche per uscire non tanto indenne, quanto trionfatore da quella mediocrità borghese. Ma non erano queste le intenzioni di Germi, tanto che lo rende comico, passivo e rassegnato, impedendogli perfino di compiere la suicida parabola di volo sulla principale Piazza dei Signori. Non vince il sistema bugiardo e irretente, perde Bisigato perché rinuncia troppo presto ai propri sogni, sprovvisto di mezzi. D’altronde questo non è un eroe e non devo nemmeno esserlo secondo Germi.

Se i contadini tentano di giocare come fanno i signori e vengono presto puniti e rimessi al loro posto, sembra che per Germi ogni cosa sia come debba essere e tale debba rimanere, il destino sia più forte della volontà e sembra, risorse permettendo, che l’unica soluzione sia quella di accettarlo e fare come fan tutti, se non altro per quieto vivere e per prima godere, scopo principe dell’esistenza della rampante borghesia ivi rappresentata, non troppo distante dalle peculiarità della classe egemonica di ogni era.
Se fino al 1969 l’infedeltà coniugale costituiva un reato, ai sensi degli articoli 559 e 560, ostacolando e di molto la ricerca della verità- sogno-amore del buon Bisigato, è pure vero che le dinamiche ostruttive, ammettiamo pure la maggior libertà di costumi odierna, restano intatte sotto altre forme e tabù, sotto altre spinte alla democrazia di costumi, perlopiù una dittatura delle réclame commerciali, dei gusti di massa e della mediocrità culturale.
Ecco servita e filmata l’Italia borghese.

 

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