Federica Ceccarelli
pubblicato 2 mesi fa in Recensioni

La vita attorno a un tavolo: “Cena per sei” di Lu Min

La vita attorno a un tavolo: “Cena per sei” di Lu Min

Fissava il tavolo da pranzo vuoto e le fessure imbevute di unto mentre nelle orecchie le riecheggiava una sinfonia molto familiare: il suono stridente della spatola nel wok e il picchiettio delle bacchette nelle ciotole. Era come se tutti i piatti cucinati in passato fossero riapparsi a uno a uno sulla tavola, in una specie di rievocazione storica: vuota al termine della cena, la tavola tornava colma e loro divoravano tutto di nuovo… Era rimasta seduta più o meno per la durata di un pasto, poi si era alzata ed era andata davanti alla finestra da cui Bogang amava godersi il panorama.

Un ragazzino obeso e un po’ imbranato (Bai), una sorella maggiore sveglia e studiosa (Lan), una madre vedova e annichilita (Su Qin). Un giovane operaio in una vetreria (Chenggong), una ragazzina premurosa ma poco perspicace (Zhenzhen) e il loro padre, vedovo e alcolizzato (Bogang, o “zio” Ding). Questi sono i personaggi di Cena per sei di Lu Min (tradotto da Natalia F. Riva, sotto la cura di Silvia Pozzi), tra le ultime uscite di Orientalia, casa editrice romana specializzata nelle letterature dell’Estremo Oriente.

Come si intuisce dal titolo, il testo prende avvio dal pasto allestito da Bogang per annunciare ai figli suoi e di Su Qin la loro relazione. Cena che viene minuziosamente descritta da Bai, insaziabile nell’assaporare una dopo l’altra le innumerevoli pietanze presenti. Bai è il primo personaggio presentato dall’autrice, ed è il classico ragazzo sovrappeso, verso cui ci si trova a provare un mix di compassione e fastidio. La sua intera esistenza è condizionata da quel corpo fuori misura, che lo relega di fatto a essere uno spettatore e un narratore di vicende e relazioni altrui, mai un attore in prima persona. Come per lui, attorno a ciascun personaggio seduto a tavola si snoda una storia; i racconti dei sei protagonisti si intersecano e danno vita a una rappresentazione simultaneamente individuale e corale.

Se infatti dalle loro esperienze emerge una profonda solitudine, se non un senso esplicito di abbandono, è anche vero che esse affondano le radici in un terreno comune: quello della Cina industriale, di un’anonima città di provincia (l’autrice proviene da Nanjing), fatta di cementificazione serrata e capannoni polverosi. Una realtà che attanaglia i propri abitanti, li opprime e nel contempo li stimola a cercare fortuna altrove. È il caso di Lan, che incarna le aspirazioni dei giovani cinesi che si buttano a capofitto nello studio, convinti che lo sforzo intellettuale possa emanciparli e portarli altrove, in città più salubri e floride, alla ricerca di un miglioramento delle proprie condizioni sociali.

Al contrario per altri la zona industriale è una gabbia che si impone con terribile ineluttabilità. È questo che succede al talentuoso e perspicace Chenggong; il suo nome in cinese significa “successo”, ma le sue doti e la sua intelligenza non bastano a tirarlo fuori dal suo paese natale. Con grande delusione del padre, Chenggong si rassegna alla vita da operaio. In un’anti-parabola in cui non esiste scampo dalle proprie origini, la vetreria in cui lavora diviene il perimetro della sua vita.

Forse era colpa di suo padre e del nome sbagliato che gli aveva dato: Chenggong, ‘successo’. “Chenggong, Chenggong, Chenggong”, glielo sussurravano o urlavano in faccia, costantemente, facendogli venire il voltastomaco. Qualcuno sarà pur destinato a fallire nella vita, no? Perché non lui?.

La narrazione di Lu Min si sofferma di volta in volta su un personaggio diverso, per illuminarne gli aspetti positivi e negativi e raccontarne l’evoluzione e la complessità. Così facendo, suscita in chi legge un senso di repulsione ed empatia, a metà tra il disprezzo e la pietà. Nella zona industriale non ci sono eroi, non c’è nessuno che possa farcela davvero. Le buone intenzioni, la volontà di migliorare la propria condizione, lo slancio verso una vita più agiata e confortevole restano chimere; la realtà è fatta di corpi brutti, speranze disattese e tentativi vani. È così che a Bogang, dopo aver tentato tutto per aiutare il figlio Chenggong senza riuscirci, non resta che abbandonarsi sempre più ai caldi e accoglienti fumi dell’alcol.

Partendo dall’affaire tra i due vedovi Su Qin e Ding Bogang e le relazioni tra i loro quattro figli adolescenti, Lu Min elabora una rappresentazione mordace e disillusa della realtà moderna cinese. Le vicende individuali e familiari narrate dall’autrice popolano il libro di colpi di scena; le vite dei sei protagonisti continuano a intrecciarsi e separarsi in modi imprevedibili, seguendo sviluppi che somigliano molto alla vita reale. Come la vita reale, toccano tematiche universali: violenza, amore, gelosia, sesso, identità di genere, dipendenza, delusione, gravidanza, tradimento, rabbia, vergogna, invidia, incomunicabilità, segreti, disperazione… e altre numerose declinazioni dell’animo umano che danno a questo romanzo un taglio da saga familiare quasi “alla russa”, con un nucleo fortemente cinese fatto di un umorismo tagliente e di una narrazione cruda, talvolta ruvida e pungente.

Volendo dare un giudizio forse sommario, forse avventato, forse banale… Cena per sei è un libro molto bello, una delle pubblicazioni dal cinese più interessanti degli ultimi anni. La voce autoriale di Lu Min si distingue per incisività narrativa e per profondità di analisi. La sua prosa scandaglia vicende personali estremamente drammatiche con grande eleganza. Ed è anche una bella occasione per iniziare a leggere qualcosa di diverso dai soliti grandi nomi della letteratura cinese contemporanea… A onor del vero, Lu Min (nata nel 1973) ha numerose pubblicazioni all’attivo ed è una scrittrice piuttosto nota in patria, dove ha anche vinto alcuni importanti riconoscimenti letterari.

Non ce ne vogliano i mostri sacri della narrativa del Dragone, ma questo romanzo di Lu Min ci è piaciuto davvero tanto.

Le visite in città avevano alimentato il risentimento che Lan provava per le proprie origini: un odio così viscerale da farle digrignare i denti. La zona industriale, il fratellino obeso, la mamma con la sua tresca, il patrigno con la rosacea, il fratellastro e la sorellastra, tutte quelle conversazioni scialbe… Che diavolo! Le sembrava di essere avvolta nel filo spinato, doveva ribellarsi, si sentiva sul piede di guerra. Se solo fosse riuscita a perforare la bolla di disperazione in cui si trovava!