Culturificio
pubblicato 6 anni fa in Letteratura \ Recensioni

Le bianche braccia della Signora Sorgedhal

Un viaggio a ritroso nel tempo

Le bianche braccia della Signora Sorgedhal

Le bianche braccia della Signora Sorgedahl, di Lars Gustafsson, è senza alcun dubbio uno dei libri più strani che io abbia mai letto, un compagno silenzioso che mi ha accompagnato negli ultimi giorni di agosto, mentre l’estate moriva. Lars Gustafsson, classe 1936, non delude, e si riconferma nel suo modo di narrare un perfetto scrittore nordico: le descrizioni delle scuole, dei piccoli villaggi di campagna svedesi, dei corsi d’acqua, delle grandinate non sono descrizioni di scuole qualunque, villaggi qualunque, fiumi qualunque. Mai. Mi si dirà: in un romanzo mai nessuna casa è una casa qualunque, una famiglia qualunque, un giorno qualunque. Non c’è niente di qualunque. È vero, ma la percezione che si ha della realtà nei libri dei nordici, nel libro di Lars Gustafsson, subisce un mutamento radicale, una trasformazione intrinseca immanente. La realtà di chi narra è posta talmente in primo piano, tratteggiata a colpi di uno scalpello così preciso, che il lettore arriva a credere che non sia mai esistito altro, che anche la sua vita sia fatta di quello, che anche lui un giorno, scendendo in bicicletta lungo la via che porta alla spiaggia, potrebbe imbattersi nella rumorosa, numerosa, colorata famiglia del Fonditore, e da lì nello sguardo accigliato, virginale, dai contorni indecifrabili della dura Ingela, figlia del Fonditore.

C’è un’unica realtà, una sola, al di fuori della quale tutto il resto perde importanza, non perché non ne abbia, semplicemente perché non esiste.

È la realtà chiusa – ma aperta, poiché unica – di un ragazzo che ci narra di un’estate afosa, fatta di porte che si spalancano e cani fantasma che si aggirano nel buio; è la realtà lontana di un professore di Oxford, che mentre ricorda racconta, e mentre racconta inventa i suoni di un’estate persi nello stridore d’organo della parrocchia arrugginito e dimenticato da anni, improvvisamente rimesso a nuovo da un’esile fanciulla apparsa all’improvviso. Una realtà multiforme in continua evoluzione che trova la sua eco lontana, la sua culla primordiale, nella voce della madre e nelle sue storie, assolutamente inventate, assolutamente vere. Il professore si ritrova a salire lentamente fra i suoi ricordi, senza dimenticare odori, sguardi, sapori pungenti, antiche sensazioni; il professore sale le scale dei ricordi, mentre in un incubo dai contorni escheriani si ritrova a scendere, a cadere: un precipitare che è morbido, attutito dal tempo che è trascorso e che leviga gli spigoli degli anni incoscienti. Siamo nel 1954, il narratore ha appena 17 anni, Västerås– capoluogo della contea di Västmanland – si apre a noi, sommersa dalla neve. I racconti iniziano a svolgersi sotto le dita dello scrittore, le strade del paese si allargano a mano che la sua voce ci introduce in esse, forgiate dalla sua memoria e impresse sulla carta. Non sempre il narratore è in grado di seguire una linea precisa e coerente: distratto dai ricordi, non tenta di frenarli, si lascia bensì condurre da essi in un saliscendi. Non esige niente da loro, né da se stesso: si abbandona, ci abbandona alla memoria.

Si configura così un libro che è un viaggio, una lunga strada – lunga come una vita – fatta di insenature, una strada che porta verso un’unica fine possibile, già messa in chiaro fin dall’inizio -fin dal titolo- fatta di percorsi alternativi e al contempo equivalenti.

Le bianche braccia della Signora Sorgedahl sono e non sono un qualcosa di reale, un obiettivo a cui tendere, una scadenza, il risultato scontato di un’addizione semplice.

Ogni racconto nel racconto, ogni ricordo, ogni fantasia assumono un’importanza radicale nella narrazione, come l’ultima curva prima dell’arrivo, quella in cui si teme che la corsa possa prendere una direzione improvvisa. E non lo fa. Lars Gustafsson -il ragazzo che narra?- procede senza sosta, costruisce in preda ad una frenesia di baccante argini per il fuoco che stenta ad esplodere, per la scintilla che c’è e brucia silenziosa in un pallore improvviso, in un movimento di capelli rossi. Lars Gustafsson -il professore che ricorda?- intreccia ai fili della memoria gli studi di una filosofia che sembra dire tutto e mai niente, che lancia il sasso e ritira la mano, lasciando solo un vago senso di vuoto, di una brutale perdita, di un qualcosa che se n’è andato e non potrà tornare.
Ma tutto questo è esistito davvero?
Il ragazzo che narra, il professore che ricorda non lo sa: la realtà è solo momentanea. Tutto è vero nel frangente in cui si ammette che sia possibile; che tutto, nella vastità dell’universo, è possibile. Che in qualche parte del mondo esista il cane nero del pastore Dufvenberg; che su qualche morbido cuscino riposino placide le bianche braccia della Signora Sorgedahl. La signora Sorgedahl è forse la morte quanto forse può essere la vita. Ma non ha importanza. Siamo le monete rare con una sola faccia del re vichingo di Borges -chi ce lo dice? parla il professore? il ragazzo? Lars Gustafsson?- voltati su un tavolo scompariamo, siamo però impossibili da voltare, poiché abbiamo una sola faccia.

Adesso hai capito perché siamo immortali. Niente potrà mai portarci fuori di qui. Capisci? Niente. Assolutamente niente. Questo è l’unico mondo che abbiamo e qui rimaniamo per sempre.

Lars Gustafsson, Le bianche braccia della Signora Sorgedahl, Milano, Iperborea, 2012.

 

Link e suggerimenti utili (forse):
Nel 2003, il regista svedese Jimmy Karlsson ha realizzato il film A Breach in the Wall (titolo originale: Sprickorna i muren) traendo ispirazione dal romanzo Yllet di Lars Gustafsson. Il romanzo è del 1973 e non è stato ancora tradotto in italiano. Il film racconta di un insegnante di nome Lars che improvvisamente ritrova la motivazione quando scopre che uno dei suoi allievi è un vero e proprio genio della matematica.
Blog personale dell’autore, in svedese ahimè: http://larsgustafssonblog.blogspot.it/
La Maison en Petits Cubes (trad. La casa dei piccoli cubi): un breve cortometraggio datato 2008 e diretto da Kunio Katō, regista di origini giapponesi specializzato in animazione. Un uomo anziano perde la propria pipa, e per cercarla si ritroverà a scavare nei ricordi, scendendo sempre più a fondo. Vi ricorda qualcuno?
Link al video: https://www.youtube.com/watch?v=bQ7v76gUcjU&t=8s

1  Västerås, in Svezia, è anche la città di nascita dello stesso Lars Gustafsson (1936-2016).

 


Articolo a cura di Chiara Muzzicato