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pubblicato 4 anni fa in Interviste

Le circostanze non sono imperdonabili: tutto sull’opera prima del nuovo collettivo anonimo

Le circostanze non sono imperdonabili: tutto sull’opera prima del nuovo collettivo anonimo

Antonio Francesco Perozzi ha posto qualche domanda a un rappresentante del collettivo Gli Imperdonabili.


Come nascono Gli Imperdonabili?

L’idea di fondare una compagine letteraria è stata di Giulio Milani e Veronica Tommasini. Grazie a loro, i primi imperdonabili pionieri si sono ritrovati in un hotel di Roma e insieme hanno deciso i primi passi. L’esigenza nasce dal fatto che la letteratura italiana contemporanea, quella dei salottini e dei premi, è in uno stallo autocelebrativo da lungo tempo e non sembra porsi minimamente il problema di rispettare l’intelligenza del lettore: non è questa una maniera sterile di riempire le pagine? Crediamo di sì. Dunque, semplicemente, individuate queste ombre abbiamo instillato i nostri temi all’interno dei punti morti dell’ambiente letterario; contro quel modo di scrivere e in contrapposizione alla limitatezza della produzione odierna, abbiamo stilato un nostro Decalogo Letterario.

“Le circostanze non sono favorevoli” è la vostra prima opera. È nata attraverso un lungo contest di selezione di racconti: è evidente che anche il modo di reclutamento degli autori vuole essere innovativo e provocatorio…

Abbiamo voluto che la vera protagonista del contest fosse l’opera, che veniva valutata nella sua forza intrinseca rispetto al Decalogo Letterario. Questo perché gli autori hanno inviato il proprio racconto in forma del tutto anonima: non c’è stato spazio per il corporativismo o per il favoretto. All’interno di un gruppo privato ci siamo scannati senza indugi: è stato divertente. Quando crei uno strumento, per testarne l’efficacia ne proponi l’utilizzo a un numero ampio di persone. Di solito si partecipa ai contest per nutrire il proprio ego; quando arriva un buon risultato, si finisce col mettere la competizione al proprio servizio, sbandierando il trofeo. Nell’“Anonima Racconti”, invece, i vincitori, come gli altri autori selezionati, sono rimasti anonimi, lasciando al centro solo i loro racconti.

Perché l’anonimato?

I salotti letterari si trasformano spesso in alcove in cui ci si coccola a vicenda. Difficile immaginare un autore affermato criticare un racconto anonimo, per poi scoprire che è del tale «amico della domenica», o del compare della compagnia di giro… Per gli Imperdonabili questi calcoli non hanno senso, non esistono compari né favori, l’autore deve scomparire nell’opera. L’anonimato ha consentito al contest di svolgersi in maniera schietta e aperta. Potevi commentare un racconto senza avere timore di evidenziarne i punti deboli. 

Ora che il contest è finito, l’anonimato consente di procedere ancora in questa direzione: mettere l’opera al centro dell’attenzione. Come hanno detto personaggi più prestigiosi: di un autore conta l’opera (quando conta). Siamo invece abituati a pensare al libro, alla pubblicazione come alla personalizzazione di un fatto artistico. Personalità, appunto, che fanno comparsate televisive o scrivono articoli sui giornali, mentre le opere scivolano spesso nella sciatteria. 

Stiamo parlando di un anonimato reale, non del ricorso allo pseudonimo, che finisce con il dare ulteriore vigore all’autore. La letteratura italiana non ha bisogno di supereroi mascherati, ha bisogno di nuove opere di valore e, possibilmente, di un linguaggio differente.

I racconti rispettano un preciso Decalogo stilistico, contro l’«ambiguofobia», l’affabulazione e la «paragonite». Sono questi i “nemici” della scrittura italiana contemporanea? E l’autore che rispetta il Decalogo non rischia così di ingabbiare la propria creatività?

Partiamo dalla seconda domanda. Basta leggere “Le circostanze non sono favorevoli” per rendersi conto di come il nostro Decalogo non sia una gabbia. È in realtà un’opportunità: seguire queste dieci regole comporta uno sforzo creativo, formale e sostanziale, che dà un taglio differente a tutti gli scritti imperdonabili. Il risultato è che ogni autore, interpretando a suo modo il Decalogo, ha prodotto il “suono nuovo” che andavamo cercando. Il Decalogo nasce infatti contro le regole di una certa tradizione, allo scopo di tradirla in modo creativo.

Quanto all’affabulazione, siamo convinti che il pensiero dell’autore, quando è vivido all’interno del testo, non interessa a nessuno. È ancora una volta una maniera, da parte di chi scrive, di esercitare il proprio ego, di agire una pedagogia come se avesse davanti un pubblico di bambini o di adulti mai cresciuti. L’uso dei paragoni, dei simbolismi… ecco, tutto questo “atteggiamento favolistico” finisce per mortificare il processo creativo, rendendo i libri grigi e noiosamente simili l’uno all’altro. Questa è la produzione media letteraria italiana. Il Decalogo nasce soprattutto per sottrarsi da questo piano.

Il Decalogo, poi, si apre con questo avviso: «Una delle ragioni fondamentali degli Imperdonabili è il tentativo di individuare una strategia per salvare la civiltà del libro, o almeno, di quel tipo di libri «che lavorano al mistero del mondo». Da cosa è minacciata la civiltà del libro? Cosa possono fare in concreto autore, editore e lettore per salvarla?

La civiltà del libro è minacciata dall’ingerenza di un certo tipo di autori, dal loro voler essere filosofi, diaristi, “-ologi” di qualsiasi cosa. Autori ed editori devono pensare ai libri come a un qualcosa che abbia una vita propria e che a questa vita debba contribuire il lettore, costruendo con la propria mente la parte di storia che lo scrittore non ha ancora fagocitato. In questo senso, infatti, “Le circostanze non sono favorevoli” è un’opera complessa che investe più di un’arte: scrittura, recitazione, ma anche musica e arte visiva. Non più un “feticcio”, come possiamo intendere il libro oggi, non più un traguardo, visto che spesso e volentieri un libro oggi non ha necessità prima che dignità di stampa, ma il prodotto libero e liberatorio, facilmente fruibile, ri-ascoltabile: possiamo definirlo come racconto-canzone, anche se sarebbe comunque riduttivo. 

Ancora nel Decalogo si parla di «scomparsa dell’autore» – un principio che pare riesumare addirittura il naturalismo francese – ma anche di «superamento dell’ideologia della verosimiglianza». Come vengono conciliati questi due concetti (apparentemente) contrapposti?

L’opera è la rappresentazione di una realtà autoconsistente, dunque l’autore non deve interferire con essa. Dovrebbe scrivere tenendo presente il suo punto di vista, ma senza palesare le sue idee. Ricompare nella misura in cui controlla il suo dettato. Quando decide di porsi ai margini dell’opera e naviga insieme al lettore, senza avere la pretesa di insegnare qualcosa o di trasferire un nudo messaggio. Lo scrittore non è un oracolo e il libro non è un telefono. Quanto al superamento della verosimiglianza prendiamo spunto dall’insegnamento di Walter Siti: “Il realismo è l’impossibile”. Ciò che determina la realtà di una rappresentazione non è infatti il suo grado di somiglianza alla vita, ma la sporcatura, il difetto, il dettaglio, il particolare eccedente, lo scarto, spesso celato nell’ordinario o travisato dalle persone nell’immediatezza della realtà. 

La vostra prima opera comprende un ebook, ma non è solo un’antologia di racconti. Su YouTube è disponibile anche una serie di video che, invece di rappresentarle, dota le storie di ulteriore carica eversiva, tramite il linguaggio filmico e quello musicale. Forse la multimedialità è il destino della letteratura?

Quale sia il destino della letteratura non ci è dato di sapere. Quello che possiamo fare come collettivo di autori è prendere atto di una situazione stagnante, peggiorata dalle “circostanze”. Molti fra noi sono convinti che l’imago abbia iniziato a vanificare la phonè; è più probabile che l’immagine abbia incorporato alcune funzioni primarie della parola scritta. Se guardiamo ai “meme”, essi funzionano per accumulazione. L’immagine da sola è molto efficace, ma se combinata alla scrittura allora può diventare potente, eversiva. Noi ci siamo spinti oltre. Quando abbiamo pensato a “Le circostanze non sono favorevoli” l’abbiamo visto come un disco, una letteratura ri-ascoltabile. Questo perché alcuni dei racconti mostrano curvature di significati diversi ogni volta che li leggi.

Attori, scrittori e musicisti che hanno realizzato lo stesso video non si sono mai incontrati. In che modo questo può essere un valore aggiunto per la riuscita dell’opera?

Organizzare un’opera alla quale partecipano oltre trenta figure diverse non è mai facile. Non si può parlare di un valore aggiunto, infatti, ma di condizioni di operatività dettate dal lockdown totale e dalla mancanza di altri mezzi o condizioni. Nel settore artistico e musicale, tuttavia, questo aspetto della post-produzione non è nuovo, anzi.

È chiaro che i temi non-rassicuranti, il Decalogo, l’anonimato, l’“uscita dal testo” vogliono essere anche un j’accuse contro la configurazione del sistema letterario italiano odierno…

L’accusa che Gli Imperdonabili hanno mosso è sacrosanta. L’immaginario è un territorio seminato da un solo preciso strato sociale. La classe privilegiata oggi è quella che detiene il bene più prezioso: il tempo. Grazie al Decalogo, molti “outsider” avranno a disposizione uno strumento efficace per produrre opere di valore impiegando meno tempo. 

Si pensa già a progetti futuri?

A febbraio avremo la “Anonima Poeti”. Vorremmo produrre qualcosa di innovativo anche sul fronte della poesia. Oltre a questa iniziativa, abbiamo in cantiere un’altra operazione molto complessa, ma non possiamo ancora rivelare niente a riguardo: sarà sorprendente.