Alice Figini
pubblicato 3 anni fa in Recensioni

Le “Notti insonni” di Elizabeth Hardwick

Le “Notti insonni” di Elizabeth Hardwick

Se solo una persona sapesse cosa ricordare o fingere di ricordare.

C’è una sorta di distacco di prospettiva, un ritmo incantatorio nella prosa di Elizabeth Hardwick che ci trascina tra le spirali delle sue Sleepless Nights sotto l’effetto ipnotico di un linguaggio lirico e particolarissimo.

Che Notti insonni (Blackie Edizioni, 2021) fosse un libro strano si era intuito fin dal lancio, pianificato dalla casa editrice milanese con largo anticipo e con dovizia di particolari: si tratta della prima edizione italiana del romanzo, uscito negli Stati Uniti nel 1979, ritenuto l’opera narrativa di maggior rilievo della più influente critica letteraria americana.

Blackie Edizioni per l’occasione omaggia i lettori italiani con un’edizione superlativa in cartonato, rilegata in una deliziosa copertina verde menta sulla quale spiccano in rilievo le due magnetiche parole che compongono il titolo. A fare le presentazioni del caso sono poi poste a corredo le firme di Joan Didion – autrice della prefazione – e della traduttrice Claudia Durastanti, che invece di presentazioni non hanno bisogno.

Sembra un libro stregato, e in un certo senso lo è.

Si inizia a leggere con un’aspettativa precisa: quella di rivivere le memorie di una donna che ripercorre la storia della propria vita «un lavoro di memoria trasformata e persino distorta» – come preannuncia sentenziosamente Hardwick nell’incipit – invece il libro ci sfugge tra le mani come un pesce guizzante, lentamente cambia forma man mano che procediamo nella lettura, e d’un tratto ci si sorprende a domandarsi se è davvero della vita di Elizabeth Hardwick che stiamo leggendo oppure di mille altre vite, di milioni di vite –  compresa la nostra.

«Se volessi della trama guarderei Dallas», aveva commentato scherzosamente – ma non troppo – Hardwick quando le era stata rimproverata un’oscurità d’intenti della prosa. Perché la sua scrittura è per il lettore un rapimento e un mistero, simile a quella fascinazione inspiegabile che si prova talvolta per certe poesie o per le strofe ermetiche di alcune canzoni. Alla fine un sortilegio l’autrice lo compie per davvero, come annuncia fin dalle prime righe del romanzo con quella frase che pare un incantesimo:

Prendi una decisione, e tutto ciò che vuoi dalle cose perdute si manifesterà.

La narrazione di Notti insonni procede con un ritmo mareale, per andirivieni costanti, e in quel mare di parole ci culla e ci calma portando i nostri pensieri a sprofondare in un abisso di significati. Joan Didion nella prefazione definisce Sleepless Nights come «meditazione su una vita» e identifica nella memoria il vero soggetto narrante. In effetti per tutto il corso del libro Elizabeth Hardwick accumula pagine su pagine di descrizioni, frammenti, ricordi senza un ordine né un intento precisi; eppure a ben vedere un filo conduttore c’è, ed è quella continua, recondita ricerca di un senso, l’interrogarsi costante sulle molteplici traiettorie di un destino.

Tramite la tecnica prettamente woolfiana del flusso di coscienza Hardwick compone un personalissimo collage di immagini e ricordi attraversando la propria vita a ritroso come in un sogno in cui i contorni delle cose, le fisionomie delle persone sono sfuggenti e frammentate, spesso procedono a ritmi troppo lenti oppure troppo rapidi fino a sfumare in dissolvenza.

Rivivono così le atmosfere bohémienne della New York di metà Novecento, una città che nella scrittura di Hardwick appare malinconica e viziosa, attraversata da fasci costanti di ombre e di luci. Ci sono i jazz club ingannevoli sulla 52nd e il fast food automatico con i suoi maccheroni acquosi, tappeti e muri macchiati e i negozietti futili di chincaglierie. Ma c’è anche molto altro, una sensazione impalpabile di possibilità che pervade tutte le cose e ammalia le persone come una promessa di riscatto.

New York viene descritta dalle finestre dalla residenza, l’Hotel Schuyler, in cui l’autrice vive «una via stramba, piena di vecchi condomini di taglia modesta costruiti proprio all’inizio del secolo per sistemare gli artisti»; così, mentre lo sguardo di Hardwick affonda come una lente di ingrandimento nelle cose, un’intera folla di persone, cantanti, pittori, intellettuali e donne alla deriva, prende vita. Attraverso l’immersione in questa mischia umana si compone un vero e proprio affresco sociale dell’America del Novecento, un manifesto ideologico che si pone in aperta sfida agli stereotipi razzisti e sessisti che pervadevano la mentalità dell’epoca.

C’è il ragazzo omosessuale J. con cui la giovane Elizabeth condivide la stanza in quello che definisce una sorta di marriage blanc; poi c’è Louise, una ragazza che trascorre le proprie giornate in «una noia limpida e blu» attendendo i rapimenti della vita notturna e, infine, ad illuminare la lunga sequenza di volti anonimi appare lei, la stella, la diva, la divina Billie Holiday.

Il ritratto di Billie Holiday è uno degli schizzi più audaci e conturbanti tracciati in Notti insonni: Hardwick descrive la cantante a tutto tondo nella sua vitalità e nella sua cupezza «era sbrilluccicante, cupa e solitaria». Il talento è una belva che la possiede e la annienta, dalla quale la donna viene progressivamente divorata come quelle creature leggendarie che, in virtù della loro eccezionalità, sono portate a scontrarsi con le forze maligne.

«Il suo lavoro gradualmente aveva acquisito una qualità distruttiva, come succede spesso con gli immensamente dotati, condannati a ripetere i loro picchi di ispirazione all’infinito».

È stata una vita lunga o breve? Si domanda l’autrice alla fine, ma come a tante altre domande che costellano Sleepless Nights nemmeno a questa c’è risposta; o forse la risposta c’è e l’ha già fornita lei, Elizabeth, nascondendola tra le righe della sua prosa enigmatica e palpitante.

Il filo conduttore del monologo insonne è in fondo da riportare unicamente a lei, la voce narrante: Elizabeth Hardwick, una ragazza del Kentucky che dopo la laurea in letteratura abbandona il profondo sud degli Stati Uniti per trasferirsi a New York e specializzarsi alla Columbia University. Questo, però, è soltanto l’inizio della storia: quella giovane donna intraprendente ne farà di strada ­­ – studierà, si innamorerà, viaggerà molto, e soprattutto scriverà – sino a diventare la più importante critica letteraria americana. Quella giovane donna sarà la fondatrice dell’acclamata New York Review of Books, scriverà saggi letterari immortali come Seduction and Betrayal (1974), e sposerà il celebre poeta Robert Lowell in un matrimonio che, tuttavia, si rivelerà un po’ troppo affollato e terminerà dopo ventotto anni di convivenza distruttiva.

Dopo una lunga e acclamata carriera morirà a Manhattan all’età di novantun anni, una domenica sera di dicembre, accudita dalla figlia Harriet.   

Ecco la biografia di Elizabeth Hardwick (1916-2007)sintetizzata secondo il corretto ordine cronologico, una vita riportata alla precisione inconfutabile di date, fatti e avvenimenti; ma per conoscere l’anima di Elizabeth Hardwick occorre leggere Notti insonni, smarrirsi nell’intricata mente geniale di una donna anti-conformista, curiosa, empatica e leale. Conoscere le persone che hanno incrociato – per un fuggevole istante o per la consuetudine data dal tempo – il suo cammino; visitare i posti in cui ha vissuto, dall’Olanda a Honolulu; soffermarsi per un attimo con lei ad osservare la luce radente che si posa su una foglia dopo un temporale estivo.

«Tutto mi è arrivato, e tutto mi è stato tolto, perché mi sono sempre spostata da un posto all’altro».

Cosa si deposita sul fondo della clessidra quando il tempo ha cessato di scorrere?

Ricordi e fantasmi, che nella prosa di Hardwick assumono la stessa sembianza onirica e fluttuante dell’immortalità. La memoria è un luogo gremito, in cui spesso si nasconde persino ciò che si era creduto di dimenticare, si deposita sul fondo come una visione.

Memorie, lettere, saggi si mescolano con vite spezzate troppo presto oppure sfociate nella follia, cuori infranti, bugie, tradimenti e malattie. La sensazione di aver colto il senso di un istante; ritrovare un volto noto d’improvviso e poi perderlo mentre la metropolitana si inoltra nel buio dei cunicoli; opinioni e sentenze che parevano eterne e poi il tempo ha capovolto.

Notti insonni racconta una vita fatta di attimi solo in apparenza insignificanti, con l’incanto cadenzato di una prosa che molto spesso sconfina nella poesia. 

E forse è solo ora che al lettore è lecito domandarsi: è stata una vita lunga o breve?

Ma avrà voglia di ricominciare il libro daccapo per trovarvi la risposta che ancora non ha inteso.