Giovanna Nappi
pubblicato 2 anni fa in Recensioni

“Medusa” di Martine Dejardins

“Medusa” di Martine Dejardins

Ma la vergogna di mostrare i miei Terrori ha trattenuto la mia mano, si capisce. Nel mio intimo non avevo ancora accettato di essere una mostruosità.

Il mostruoso femminile trova, nel mito, il suo terreno fertile: gorgoni, sirene, arpie hanno popolato l’immaginario collettivo antico e moderno di figure spaventose e temibili. Tra le immagini (di caravaggiana memoria) più immediate, quella di Medusa è probabilmente una fra le più diffuse nella cultura pop: la vicenda che la vede protagonista e vittima per mano di Perseo ha trovato, dal cinema ai videogames, rappresentazioni che ancora oggi riecheggiano (indimenticabile è, per esempio, quella in Scontro tra titani, film del 1981).

La scrittrice canadese Martine Dejardins raccoglie questo lascito e decide di rielaborare il mito greco con il romanzo omonimo, Medusa, in Italia pubblicato da Alter Ego, traduzione di Ornella Tajani.

Un «racconto integrale della [mia] abiezione» in cui «nessuna lacrima verrà versata»: a parlare è Medusa, protagonista e narratrice; una giovane ragazza, cui l’appellativo viene attribuito dalle sue sorelle che, disgustate dal suo aspetto repellente, la maltrattano ed escludono. Non da meno sono i suoi genitori, che si vergognano di aver messo al mondo un simile abominio e, per questo, vogliono sbarazzarsene. Medusa vive e cresce in cattività, simile a un animale. Come ogni mostro – il cosiddetto freak – deve essere relegata in spazi fisici angusti, claustrofobici, punitivi, affinché ogni elemento esterno sia la fedele rappresentazione dello status che riveste.

Ciò che di spaventoso questa ragazza possiede risiede, come da tradizione, nello sguardo, a tal punto terribile da non poter essere neppure nominato con il suo nome: nell’intero romanzo Medusa si riferirà a sé stessa con una lunga serie di espressioni mortificanti e al contempo descrittive. I suoi occhi sono Anomalie, Respingenze, Orrori; sono Mostruosità, Infermità, Atrocità, Imperfezioni, Degradazioni, Indegnità, Immondezze, Orripilanze; sono Aborti, Devastazioni e molto altro ancora, capaci di maledire chiunque abbia la sfortuna o la scelleratezza di incrociarli. Cosa siano davvero non lo sa neppure lei, perché non ci sono specchi in cui possa riflettersi.

Se per definirli servono altre parole, per conoscerne il potere è necessario qualcos’altro, la reazione di chi la guarda: Medusa scoprirà soltanto così che le sue Disgrazie sanno pietrificare, ma non sono programmate per piangere.

La spiegazione della mia aridità oculare è piuttosto d’ordine fisiologico: soffro infatti di un’atrofia congenita delle ghiandole lacrimali, che producono giusto quel tanto di liquido sufficiente a inumidirmi le congiuntive, non abbastanza, però, perché si formino le lacrime.

La ragazza, che ha ormai dimenticato il proprio nome, cammina ricurva su sé stessa, il volto coperto dai capelli: la deformazione degli occhi è totalizzante al punto da diventare posturale, animalesca. Nonostante sia già nascosta e isolata dal resto della famiglia, viene stabilito che Medusa non merita neanche di vivere sotto lo stesso tetto: suo padre decide di condurla in un posto dove le persone come lei possono vivere in compagnia dei propri simili, una specie di “paradiso” per diversi nel quale le inutili vite degli esclusi possono proseguire senza intaccare quella degli altri. È l’Athenæum, una sorta di collegio, diroccato sulle rive di un lago popolato da meduse, dall’aria spettrale, dove una direttrice severa e sadica si prende cura delle sue ospiti grazie al prezioso contributo e sostegno dei Benefattori, uomini facoltosi che periodicamente cercano tra quelle mura sollievo e divertimento.

Gli elementi disseminati da Dejardins sono pronti perché tutto abbia inizio: proprio nel momento in cui Medusa varca la soglia dell’istituto la sua storia sarà pronta a esplodere. In questa Sodoma e Gomorra dalle atmosfere gotiche, neppure circondata da altre reiette potrà mimetizzarsi; troppo pericoloso il suo sguardo, troppo astuta e ammaliante perché riesca a passare inosservata.

A fronte di nuove prevaricazioni che non tardano ad arrivare, l’autrice introduce l’elemento violento senza mai parlare direttamente di violenza: a chi comanda non è dato, in queste pagine, esprimersi attraverso l’abuso sessuale o le percosse. Al contrario, l’elemento violento è qui sostituito con quello ludico: non ci sono stupri o strangolamenti, ma giochi. Uomini-bambini che trascorrono i momenti di svago con le compagne di gioco-ragazze deformi e storpie.

In questo rimando continuo tra significati e significanti, la mercificazione e la mortificazione della carne sono sempre presenti, ma in modalità inedite: è la fiera dell’eterno complesso edipico che si manifesta, attraverso il gioco, in tutte le sue varianti patologiche. È una nuova forma di puritanesimo che si ostina a mantenere le apparenze e che Medusa osa sfidare per il sol fatto di esistere.

Nelle vicende che la vedranno protagonista e mutata in tutto, fuorché nello sguardo, si intravedono sempre movimenti di affrancamento della donna attraverso la metafora di ispirazione mitologica. La deformazione viene introdotta, all’inizio, come strumento di potere impugnato dal carnefice (di volta in volta diverso, la famiglia, l’istitutrice, i benefattori) per sottomettere. Solo in un secondo momento diventerà per la protagonista arma di difesa, di rivalsa e di vendetta da usare non tanto contro la singola persona ma contro ciò che più di tutto gli altri temono: il mostro peggiore è la paura, che aumenta con l’occultamento, l’ipocrisia, la sopraffazione.

Dejardins mette in piedi una novella disturbante, gotica e vendicativa che ha molto da insegnare. Dall’ispirazione religiosa che riscrive il concetto di punizione divina e di vergogna ai movimenti femministi di rivendicazione della libertà del corpo e dello spirito, passando attraverso i continui rimandi alla tradizione classica e gotica, dà alla luce un romanzo di grande potenza che, per certi versi, potrebbe essere accostato all’immaginario delle ancelle di Margaret Atwood.

Medusa è una scoperta a cui non si può rinunciare.