“Neroconfetto”, l’incubo lucido di Giulia Sara Miori
L’aereo si stacca dal suolo, stiamo per decollare, sento il rumore dei motori e so che tra poco la paura mi farà diventare un animale, non sarò più una donna di trent’anni ma un animale selvatico, un animale pronto a scappare, ma dove?.
Di cosa è fatta la paura? L’immaginario comune, fiabesco, ci induce ad associarla a fantasmi, orchi, streghe; mentre la tradizione orrorifica ci riporta a sangue, urla, maledizioni e possessioni. Ma non sono questi gli elementi che compongono la paura nel suo stato più puro. Com’è possibile che una porta che cigola in determinate occasioni riesca a inquietarci, mentre il più delle volte passa inosservata? La paura è, innanzitutto, uno stato mentale; una condizione, quindi, che viene creata da determinate cause e circostanze.
Lo sa bene Giulia Sara Miori, l’autrice di Neroconfetto (Racconti Edizioni, 2021), che nel suo libro d’esordio manipola la paura con abilità stregonesca, la scompone in minimi termini e poi la ricompone in ventuno racconti perfetti stilisticamente, e intrinsecamente inquietanti. Nel mondo editoriale quello di Miori era un esordio atteso – i racconti dell’autrice erano già il fiore all’occhiello di diverse riviste letterarie, e da tempo si confidava in un’opera che la portasse sugli scaffali delle librerie.
Neroconfetto non ha deluso le aspettative e, nonostante la bravura fosse ormai nota, il libro è stato una sorprendente rivelazione.
La raccolta prende origine da un racconto, Camilla, arrivato finalista al concorso letterario 8×8 Si sente la voce di Oblique Studio. È stato proprio Camilla a folgorare Emanuele Giammarco, editore di Racconti edizioni, che ha quindi proposto all’autrice la pubblicazione di un’intera raccolta. Giulia Sara Miori rivela di aver radunato sei racconti già scritti in precedenza e di aver in seguito composto la parte restante, inanellando una storia dopo l’altra, nelle lunghe e incerte giornate di lockdown totale. Neroconfetto è un libro nato, in parte, anche grazie alla chiusura causata dal Covid, e in qualche modo le è debitore, perché un esordio così oscuro, perturbante, poteva nascere solo da una situazione surreale come quella che stiamo vivendo.
Il titolo suggella il libro in modo magistrale, come un nastro rosso che infiocchetta un pacco magnifico. Neroconfetto perché, come afferma l’autrice, ogni racconto deve essere letto d’un fiato così come si divorano le caramelle. E i confetti, del resto, sono i dolci delle grandi occasioni; perfetti per celebrare un evento irripetibile come la pubblicazione del primo romanzo. Tuttavia in apertura c’è quel “nero” che risuona come un avvertimento: ciascuno di questi racconti-confetti è irresistibile, si divora in un sol boccone – ma, attenzione lascerà in bocca un retrogusto amaro, come se fosse avvelenato. La ninnananna posta in esergo, poi, fa il resto: culla il lettore con una melodia oscura che lo conduce lentamente nel sonno, facendogli vivere un incubo lucido e profondo.
Ma, procediamo con ordine. Per dare un senso all’intera raccolta dobbiamo partire da quel primo racconto, Camilla.
Prima di tutto invidiavo la sua pelle fresca, tanto che l’avrei staccata a morsi. Ma non potevo mica girarmi e mordere la guancia di Camilla, e allora mi mettevo a disegnare mele pere ciliege sul diario, ma intanto non facevo altro che pensare a quella pelle che sembrava finta, sembrava la pelle di un frutto maturo, chissà se l’avessi sbucciata, se avessi sbucciato Camilla come un mandarino.
In Camilla l’inquietudine si declina sottoforma di ossessione, nel sentimento morboso che la protagonista nutre nei confronti della compagna di scuola, una ragazza di nome Camilla. Il racconto procede con un ritmo serrato, in una prosa ricca di virtuosismi e allitterazioni che di certo è l’impronta stilistica di Miori. Una storia d’amore omosessuale che ci spinge sull’orlo del baratro dell’abbandono, rasenta la soglia delle relazioni impossibili. E l’autrice è abilissima a proiettarci nel flusso di pensieri della protagonista innamorata/ossessionata da Camilla, un’adolescente che lascia il fidanzato per inseguire la sua nuova fiamma. Una follia amorosa atipica e simbiotica che infine si scontra con lo scoglio possente di una società eteronormativa.
Già questo primo racconto da cui trae origine l’intera raccolta di Neroconfetto dà la misura della cifra stilistica di Giulia Sara Miori. La voce dell’autrice è riconoscibilissima e unica, si insinua nei pensieri con un ritmo martellante e impone di continuare la lettura a ogni costo. Il più delle volte il lettore è spaesato, le ambientazioni e i personaggi sono volutamente poco definiti, tanto che lui stesso fatica a capire dove lo porterà il racconto, mentre parola dopo parola si fa strada in lui un senso di apprensione da cui è difficile sfuggire.
Le ventuno storie che compongono la raccolta sono collegate da un sottile fil rouge, che dapprincipio non è semplice identificare. Attraverso i suoi racconti simil-gotici Giulia Sara Miori si propone di indagare le paure e le inquietudini del mondo contemporaneo. L’autrice si serve della paura, nella sua forma più sottile di turbamento, come forma di analisi sociale.
Femminicidi, suicidi, atti bullismo riempiono ogni giorno le pagine delle nostre cronache: nell’indagarne le cause, Miori sceglie spesso di prendere le veci dell’aguzzino, del colpevole, dell’omicida. Ecco che quindi che in Notturno, un racconto che risente dei capolavori di Edgar Allan Poe, troviamo un uomo perseguitato dalla moglie morta in un incendio; mentre in Alice la storia di una studentessa di liceo bullizzata dai compagni, raccontata proprio dalla reginetta della scuola; e ancora, in Candeggina, una madre che aiuta la figlioletta a superare il trauma di un presunto abuso. Ma nulla è come sembra. Miori riesce a cogliere l’inquietudine presente nel nostro quotidiano e a tradurla tramite una visuale abilmente distorta.
Ci invita a esplorare l’oscuro che è dentro di noi, i sentimenti repressi che custodiamo nell’inconscio, che poi sono alla base delle nostre nevrosi. Neroconfetto è un invito a vivere un incubo lucido dove niente è come appare, ma che alla fine svela le cose nella loro essenza più vera – in un ribaltamento di prospettiva audace ed estraniante.
Tra gli ingredienti di cui l’autrice si serve per dare vita alle sue favole nere troviamo amicizie tossiche, amori malati, fobie e ossessioni. In Neroconfetto viene data voce al lato più oscuro della psiche: alle gelosie, alle invidie, al risentimento che spesso si nasconde sotto lo zerbino della mente, chiuso a chiave come in una cassaforte. Miori fa leva proprio su quel forziere oscuro sigillato a doppia mandata nella testa di ciascuno di noi; attraverso la scrittura apre il proibito, scoperchia il vaso di Pandora dello spirito.
Al centro della scena si trovano spesso protagoniste femminili in conflitto con il proprio corpo: donne scialbe o donne troppo belle, donne che vorrebbero dimagrire o donne fantasma. Il più delle volte si tratta di donne sole che ricercano nello sguardo altrui conferma di sé o una forma di assoluzione. Tutte inseguono il falso ideale della bellezza e della perfezione. Nelle fiabe oscure di Neroconfetto è sempre il male a trionfare, come in un’atroce metafora della vita. Persino gli oggetti magici che – seguendo alla lettera il prototipo narrativo della fiaba – vengono in aiuto delle protagoniste (nei racconti La giacca e Gli occhiali) sono in realtà arnesi stregati che gettano una luce oscura di maleficio, in un perfetto parallelismo con quanto accade ne Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde.
C’è chi ha rimproverato a Giulia Sara Miori la disomogeneità di questa raccolta, facendo notare come spesso i racconti appaiano tra loro sconnessi, senza un tema di fondo comune. In realtà, a mio parere, è proprio questa disomogeneità tematica il punto di forza di Neroconfetto. Il lettore così non ha mai l’impressione di leggere la stessa storia, ma viene ogni volta calato in un contesto differente ricco di nuove sfumature. Ed è esattamente questo senso di estraniamento, unito alla diversità stilistica e tematica, che cattura tenendo l’attenzione del lettore sempre agganciata al racconto che segue.
Credo, poi, che l’autrice non ricercasse una coerenza tematica. Attraverso le pagine di Neroconfetto disegna una mappa mentale, un percorso di crescita. Si capisce dal modo in cui si susseguono i luoghi delle varie storie: Milano, Trento, Utrecht; come se l’autrice volesse tenere traccia dei punti cruciali della propria vita.
Nei racconti ambientati a Trento, ovattati dall’incanto gelido della neve, l’infanzia ci appare congelata in una specie di Paradiso Perduto dove regnano ricordi e fantasmi. Poi c’è Milano, la città delle relazioni, delle amicizie tradite e degli amori infelici, in cui è particolarmente chiara la visione dell’altro come alterità e minaccia; non a caso spesso questi racconti si chiudono con una specie di vendetta.
Infine, l’Olanda, la terra dove avviene la ricerca di sé e il confronto più spietato con la propria immagine allo specchio. I racconti ambientati a Utrecht, come il bellissimo Il colloquio, sono claustrofobici e paralizzanti, ci trascinano nelle viscere del nostro “Io” costringendoci a fare i conti con la bipartizione speculare tra aspettative e realtà. Forse proprio in questi racconti dal taglio più psicologico Giulia Sara Miori si mostra particolarmente abile. Sono storie che spesso si concludono con un’incognita o una domanda, senza offrire nessuna soluzione, ma solo un finale aperto che acuisce la nostra inquietudine.
La bravura della Miori scrittrice, l’abilità del suo intessere storie, risiede proprio nell’innata capacità di generare turbamento; una dote che va al di là del talento narrativo (reso tra l’altro benissimo in racconti come Lucille, Insetti, Capelli che fanno dell’estro stilistico il loro perno fondante) e si conferma come una delle più interessanti nel panorama italiano contemporaneo.
Giulia Sara Miori con Neroconfetto restituisce ai lettori il potere simbolico delle storie, che è esattamente ciò che incanta ognuno di noi fin da quando, bambino, si affaccia con curiosità a una fiaba, sperando di trovarci un orco, una strega o forse il riflesso più audace della paura che vorrebbe sconfiggere.
E quindi ritorna la domanda di fondo: di cosa è fatta la paura?
La verità è che, spesso, la paura è una sensazione che cerchiamo per vedere più a fondo dentro noi stessi, il riflesso di quel thànatos che risiede tra le pulsioni primordiali dell’uomo e non cessa mai di attirarci con le sue tenebrose lusinghe. Lo dimostra la festa più spaventosa dell’anno che, con il suo consueto appuntamento a fine ottobre, esercita un oscuro fascino sulle persone di ogni genere ed età.