Alice Figini
pubblicato 3 anni fa in Recensioni

“Nightmare Alley”

L’incubo lucido di William Lindsay Gresham

“Nightmare Alley”

Domande? Tutti ne hanno, pensò Stan, mentre distribuiva buste e cartoncini. Chi non ne ha? Rispondi alle domande della gente e la conquisterai, nel corpo e nell’anima.

Esistono storie che sono un unicum, irripetibili nel loro genere. Nightmare Alley (Sellerio 2021, traduzione di Tommaso Pincio) è una di queste. Un libro maledetto, a suo modo portatore di un’aura inquietante legata in parte alla sua tormentata vicenda editoriale, in parte alla tragica biografia dell’autore che, se letta a posteriori, appare inestricabilmente legata alla trama.

William Lindsay Gresham (1909-1962) non riuscì mai a replicare il successo improvviso ed effimero del primo libro e, dopo una serie di sfortunate vicissitudini, si tolse la vita a soli cinquantatré anni con un’overdose di sonniferi. Morì suicida in una camera dell’Hotel Carter, nei pressi di Times Square, Manhattan. La stessa stanza in cui, appena qualche anno prima, in preda a una febbre creativa si era dedicato anima e corpo alla scrittura di un romanzo dal titolo oscuro, Nightmare Alley.

Il giorno dopo un necrologio del «New York Times» lo commemorava come un «abilissimo giocatore di carte». L’ennesima beffa di un destino che non fu mai misericordioso con quest’uomo tanto geniale quanto sventurato.

C’è molto di William L. Gresham nel protagonista di Nightmare Alley, Stan Carlisle.

Proprio la domanda che curiosamente apre il romanzo: «Come si diventa un mangiabestie?» fu la stessa posta da Gresham a un compagno soldato durante la Guerra civile spagnola.

L’eco della risposta che ne seguì diede origine, tempo dopo, al progetto di un romanzo noir che incarnava le contraddizioni del sogno americano alla vigilia della Grande depressione. L’autore impiegò quasi sei anni a scriverlo, tra tentativi e ripensamenti, finché all’improvviso la storia non prese forma da sé sviluppandosi in una trama labirintica.   

L’immagine del mangiabestie – quest’uomo forte e in salute che sbrana animali vivi davanti a un pubblico plaudente pur di campare – irretisce il lettore fin dall’incipit: è un personaggio orrorifico, grottesco, un orco che pare uscito da un libro di fiabe per bambini con l’unico scopo di inorridire e impressionare. Alla descrizione del mangiabestie si accompagna un indicibile senso di inquietudine che non lascia scampo e avvinghia il lettore dalle prime battute sino alla fine del romanzo. 

Il mangiabestie è una creatura ibrida tra l’umano e il disumano che attrae e disgusta: ci sgomenta pensare che dietro questa figura mostruosa dedita a tale abiezione si celi una mente pensante, un essere umano.

Poco importa che a porre la domanda fatidica sia stato Stan, un giovane brillante, biondo e bello, animato da vivace curiosità e destinato al successo; l’inquietudine evocata da quella visione belluina non ci abbandona. Seguiamo quindi Stan Carlisle alla scoperta del mondo in chiaroscuro dei luna park americani nei primi anni Quaranta, un carnevale itinerante gremito di truffatori, medium e femmes fatales. La luce del palcoscenico e i bagliori dei lustrini fanno da contrappunto ai soldi spicci contati nel retrobottega, ai trucchi con le carte architettati ai danni degli ignoranti e dei creduloni, al maquillage dozzinale tolto a manate nei camerini.

Nel mondo dorato della fiera delle illusioni non è la magia a fare da padrona; questo è chiaro da subito.

Ogni capitolo viene emblematicamente introdotto da una carta dei tarocchi. La successione segue un’escalation sinistra destinata a culminare nell’ultima carta del mazzo che non lascia presagire nulla di buono: «l’Appeso».

Dominano squallore e furbizia all’interno dello spettacolo itinerante della «Compagnia Ackerman-Zorbaugh e i suoi mostri», ma Stan Carlisle ogni sera calca questo palcoscenico spaventoso con una determinazione ancor più terrificante. È giovane, è ambizioso – sa per certo che non lavorerà nei baracconi per tutta la vita, una carriera più luminosa lo attende.

Con abilità Gresham ci mostra il dietro le quinte; il lato oscuro del palco, quello nascosto allo sguardo del pubblico, che tuttavia rivela la vita vera. Troviamo quindi l’indovina Zeena – nella realtà una donna brillante che si guadagna da vivere predicendo il futuro alla gente, incastrata in un matrimonio infelice.

Poi c’è Molly, la stella dello spettacolo, la ragazza della sedia elettrica invulnerabile alle scariche dell’elettroshock: in verità una povera giovane traumatizzata che non sa nulla dell’amore e cerca la propria strada nel mondo. Tra queste due donne così diverse – eppure entrambe determinanti per la sua crescita personale – si muove il personaggio di Stan, il cui lato oscuro ci viene svelato a poco a poco con lunghi flashback che rievocano un’infanzia tutt’altro che serena.

La prosa di Gresham non segue un ritmo lineare, alterna la narrazione onnisciente al flusso di coscienza, sovrappone diversi punti di vista: trascina in lettore in un labirinto, gli fa vivere il proprio sogno lucido e allucinatorio mostrandogli un mondo diverso da quanto ha visto finora. Noi lettori, dal resto, ci lasciamo condurre volentieri da una scrittura descrittiva e immaginifica che rende tutto possibile e architetta una scenografia affascinante ricca di personaggi irresistibili. Per tutta la prima parte del libro della trama ci importa poco o nulla, siamo troppo ammaliati dalla scoperta e desiderosi di approfondire questo universo stregato; ma ecco che d’improvviso accade un fatto sconcertante e del tutto imprevisto che getta nuova luce sull’intera storia. Ciò che al principio avevamo scambiato per semplice ambizione giovanile assume contorni più inquietanti.

Dopo l’evento incriminato, Stan si appropria dei trucchi e delle tecniche di lettura mentale di Zeena fino a farne un’arte manipolatoria sopraffina: perfeziona quelli che sono dei banali numeri da illusionista traendone degli esercizi di spiritualismo in grado di stregare le menti più accorte.

Le persone muoiono dalla voglia che qualcuno gli predica il futuro e tu li rincuori. Che diamine, dai loro qualcosa da desiderare e in cui sperare. È quel che fanno i predicatori la domenica.

Tra essere un’indovina e un predicatore, la differenza è poca, per come la vedo io. Tutti sperano il meglio e temono il peggio, di solito la vita volge al peggio ma questo non ci impedisce di sperare.

L’arte della magia ridotta ai minimi termini non si discosta poi molto dalla pura credenza religiosa. Entrambe sono dotate della medesima qualità astratta, dello stesso potenziale di dominio sui sentimenti umani e, infine, della stessa presa sugli estremi della vita e della morte.

Non è meglio dare alla gente qualcosa in cui sperare? Che fanno i predicatori la domenica? Dispensano una promessa, nient’altro. Noi offriamo più che una promessa. Offriamo una dimostrazione!

Si assiste così alla metamorfosi di Stan nel Reverendo Carlisle o “Il Grande Stanton”, mentre il lettore si mantiene sempre a un passo dall’orrore incombente poiché in fondo sa, intuisce, che questo finto illusionista non è abbastanza forte da reggere il peso dei suoi stessi trucchi.

L’inquietudine intessuta da Gresham pagina dopo pagina di fatto ha ben poco a che spartire con il terrore vero e proprio: non accade nulla di davvero spaventoso, è piuttosto l’aspetto psicologico a provocare turbamento. Non è certamente un caso che il personaggio principale, dalla seconda metà del romanzo in poi, sia rappresentato dalla figura ambigua e conturbante di una psicologa, la dottoressa Lilith Ritter.

Nella sua narrazione labirintica Gresham analizza l’oscurità che tocca da vicino ognuno di noi e lo fa con un’attenzione così precisa e rigorosa da renderla tangibile, riesce davvero a farcela toccare. Tramite la letteratura mette in scena il teatro dell’assurdo che in fondo riflette le logiche, talvolta spietate, della vita: Stan appare come Meursault, Lo straniero di Camus, impegnato in una vana ricerca dell’assoluto al di fuori di sé, ma non destinato a trovarlo. Jean-Paul Sartre definì Meursault «Uno dei terribili innocenti. Sono lo scandalo della società perché non accettano le regole del gioco»: potremmo dire lo stesso di Stan Carlisle?

Nightmare Alley è una storia sinistra, tragica e disperatamente umana. Un’indagine psicologica dei turbamenti e dei malesseri della mente, e forse della società intera.

A ben vedere il punto focale della narrazione è costituito soprattutto dalla vita di un uomo: il noir fa leva sui demoni della solitudine, l’angoscia della morte, gli spettri del fallimento che ogni singolarità si porta dietro. L’evoluzione del giovane Stan Carlisle assume a posteriori i contorni di una parabola cupa. Il bene e il male, del resto, è raro che stiano unilateralmente da una sola parte; nel corso dell’esistenza i ruoli spesso si ribaltano e si passa da vittima a carnefice, e viceversa: non esistono divisioni nette, divisioni chiare e manichee tra giusto e ingiusto, buono e cattivo, o se non altro non sono ascrivibili alla complessità della vita.

Se con L’Étranger Camus ci insegnò che «lo Straniero siamo noi» è anche vero che la rivelazione finale di Gresham in Nightmare Alley è data proprio dalla figura del geek.

Il famigerato «mangiabestie», che ci ha trasmesso quel timore innominabile nelle prime righe, è in fondo l’anima segreta che si nasconde in ogni essere umano, lo specchio oscuro in cui riflettersi. E solo una volta compiuto questo gesto possiamo toccare con mano la nostra inquietudine, riconoscerla finalmente e darle un nome.

Nel dicembre 2021 Nightmare Alley tornerà sul grande schermo con un cast stellare, diretto da Guillermo del Toro, premio Oscar per La forma dell’acqua (2017).

Voci accertate lo danno già in competizione per la Palma d’Oro al Festival di Cannes e protagonista assoluto della prossima stagione cinematografica. Il regista si è detto entusiasta del libro e, a proposito del suo nuovo adattamento, ha dichiarato: «È la prima possibilità che ho avuto di fare un film noir con un retroscena di tipo sociale».

Oggi, grazie alla fortunata edizione Sellerio, Nightmare Alley appare per la prima volta in lingua italiana e figura tra i titoli più venduti nelle librerie. Chissà cosa direbbe William L. Gresham di questo ennesimo rivolgimento del destino che – a oltre settant’anni di distanza – riporta in auge il suo capolavoro.

Poco prima di morire aveva affermato: «A volte ho l’impressione che se davvero ho un talento non è di natura letteraria».