Susanna Ralaima
pubblicato 5 anni fa in Letteratura \ Recensioni

Nuvole di fango

di Inge Schilperoord

Nuvole di fango

Inge Schilperoord è una psicologa forense olandese che ha saputo trasformare in letteratura la sua esperienza lavorativa: dopo aver passato diversi mesi a contatto con una persona accusata di crimini contro un minore ha infatti iniziato a scrivere per liberarsi dal peso di tutto quello che aveva ascoltato e rivissuto. Ideato inizialmente come un racconto, Nuvole di fango esce nel 2015 e vince il Bronze Book Owl come miglior esordio dell’anno; in Italia è stato pubblicato da Fazi editore nel 2017.

Il trentenne Jonathan esce dal carcere dopo un periodo di reclusione per mancanza di prove, e torna a vivere dalla madre, in un villaggio costiero dei Paesi Bassi prossimo alla demolizione. Il suo crimine, che viene rivelato solo a metà della lettura, è stato quello di molestare una bambina, con la quale credeva assurdamente di aver intrecciato un rapporto di comprensione e amore.

Disgustato dal suo stesso passato dopo il percorso con lo psicologo della prigione (che gli ha dato alcuni esercizi da fare per controllarsi e gli ha consigliato riunioni da seguire) e terrorizzato dal suo futuro, più volte Jonathan prova a ripetersi come un mantra che l’importante è ora, che è diventato una persona diversa, che deve stare attento e ricominciare semplicemente la sua vita.
Persona schiva e solitaria, tornato alla sua vecchia vita non ha alcuna relazione con i coetanei, e programma le sue giornate dividendosi tra la nuova prigione, rappresentata dalla casa, il lavoro di sempre e i brevi momenti dedicati alle sue grandi passioni: la pesca e gli animali.

Nel frattempo pensò a tutti quegli indescrivibili pomeriggi silenziosi trascorsi lì da solo, a quanto era felice. Non avrebbe saputo spiegarle che laggiù tutto era fermo, eppure si muoveva. Che non esisteva il tempo. Né passato, né futuro. Che le cose capitavano secondo le loro leggi. Quando andava lì, non doveva fare altro che inspirare ed espirare, sedersi e guardare. Nessuno che volesse niente da lui.

A minare il suo fragile percorso di recupero interviene però la presenza della sua nuova vicina, Elke, una bambina molto curiosa e intelligente che, sola, arriva a pretendere di continuo la sua compagnia.
Il titolo del libro si spiega alla luce di un epiteto tipico olandese della tinca: questo pesce d’acqua dolce tende a seppellirsi sul fondale melmoso, sollevando nello spostarsi proprio una “nuvola di fango”. Nella tinca ferita che Jonathan trova un giorno durante una battuta di pesca, e che insieme ad Elke prova a curare, è facile rivedere la difficile condizione del protagonista e presagire la sua sorte.

La situazione provvisoria del domicilio, l’instabilità di Jonathan e della sua libertà, il caldo torrido e colloso, che come una cappa incombe su tutta la narrazione, danno al lettore un senso di oppressione continuo. Ad aumentare questo soffocamento concorre il rapporto con la madre, capace di esprimere la gioia per il ritorno del figlio solamente con frasi vuote e ripetitive (“Che bello riaverti qui, ragazzo”) e di incastrarlo in serate fatte di quiz televisivi e cene imbarazzanti senza veri argomenti.
Molto efficace per ricreare questo senso di claustrofobia risulta anche l’uso delle descrizioni dell’ambiente, che dal generale tendono a restringersi sempre verso il particolare in maniera quasi ossessiva:

Si guardò intorno nella stanza: il letto, la sedia, il tavolino, l’acquario. Sul comodino c’erano un portapenne con due biro, una matita e una gomma, una lampada, una sveglia da viaggio col quadrante luminoso e una scatola di fazzoletti. Niente sui muri.

L’affetto materno per il figlio è asfissiante, l’ambiente nel quale i personaggi si muovono è asfissiante, i pensieri del protagonista sono asfissianti, e l’autrice riesce a rappresentare in modo concreto la battaglia interna di Jonathan affrontando il suo continuo oscillare tra desiderio, istinti, pensiero razionale e autocontrollo grazie a una prosa spezzata di continuo dal punto fermo. Le frasi brevi ricreano infatti la precarietà dell’equilibrio del protagonista, sempre sul filo di una ricaduta, e il lettore rimane in tensione durante il corso di tutta la breve lettura, sempre pronto ad aspettarsi il peggio. Inge Schilperoord dimostra di avere uno stile già maturo e consapevole nel raccontare la vicenda da un punto di vista clinico, senza censure né giudizi, creando un testo disturbante, molto intenso e a tratti doloroso.

La catastrofe, nel senso etimologico del termine, arriva con una crudezza capace di spiazzare, lasciando il lettore, per citare la frase di Camus che l’autrice riporta in esergo, di fronte alla “domanda dell’uomo e il silenzio irragionevole del mondo”.

 

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