Culturificio
pubblicato 3 anni fa in Recensioni

“Piranesi” di Susanna Clarke

“Piranesi” di Susanna Clarke

E Tu. Chi sei Tu? Chi è colui per il quale sto scrivendo? Sei un viaggiatore che è scampato alle Maree e ha attraversato Pavimenti Frantumati e Scale Diroccate per raggiungere questi Saloni? Oppure sei qualcuno che abiterà nei miei stessi Saloni quando io sarò già morto da molto tempo?.

Lo chiamano Piranesi, ma lui sa che non è il suo vero nome. Il suo mondo, l’unico punto di riferimento e la misura di tutte le cose è una Casa che si sviluppa in una serie infinita di saloni arredati da statue e sconfina con il mare e con il cielo. Piranesi non è solo nella Casa: insieme alla fauna e alla flora e agli scheletri di questo bizzarro ecosistema c’è l’Altro, un uomo che si incontra spesso con Piranesi, a volte lo aiuta, ma sembra metterlo costantemente alla prova.

La vita di Piranesi scorre tranquilla in un tempo sospeso e scandito dagli avvenimenti interni alla Casa, in un’amnesia che somiglia più a uno stato di grazia, fino a quando non arrivano sempre più spifferi dal mondo esterno, di un altro mondo possibile, e l’equilibrio si rompe.

Piranesi, l’ultimo romanzo di Susanna Clarke (Fazi Editore, 2021) da un certo punto di vista è all’opposto rispetto alla prima e più celebre opera dell’autrice, Jonathan Strange e il signor Norrell (Longanesi, 2005): dopo un fantasy storico dalla mole imponente, l’autrice propone un romanzo di speculazione distillato ai minimi termini, capace di contenere un microcosmo potenzialmente infinito in meno di 250 pagine.

È impossibile collocare Piranesi in una classificazione di genere precisa: sulla carta si direbbe un fantasy con spiccati elementi giallistici, presenti soprattutto nella seconda metà, ma si scorgono nello stile di scrittura e nei motivi della narrazione le tracce di un conte philosophique del terzo millennio, oltre che una componente di crescita e formazione che ben giustificano l’inserimento all’interno della collana di Fazi pensata per giovani lettori, LainYA.

Uno dei temi principali del romanzo è la ricerca della conoscenza: nella prima metà del romanzo, il protagonista e l’Altro incarnano infatti due modi diversi di rapportarsi con il mondo. Piranesi studia meticolosamente la Casa, ma la tratta come un oggetto di devozione: classifica e categorizza gli elementi che contiene, dà loro un nome da indicarsi necessariamente con la lettera maiuscola, conta le stanze e prevede le alte maree.

Se Piranesi incarna lo stato di natura, un tipo di conoscenza in simbiosi con il mondo reminiscente delle culture più antiche, l’Altro rappresenta il pensiero moderno, la ricerca spasmodica di una Grande e Segreta Conoscenza che ha come fine il dominio degli elementi. Gli oggetti che di tanto in tanto l’Altro dona a Piranesi– carta e penna, scarpe, supplementi vitaminici – provengono da questo mondo; Piranesi stesso è di continuo messo alla prova con domande su termini che non hanno un corrispondente nella casa, come nomi di luoghi e infrastrutture moderne.

La seconda metà del romanzo può essere letta come un rovesciamento del mito platonico della caverna, un ritorno alla realtà che è paradossalmente più straniante del tempo trascorso tra le mura della Casa, un torbido intreccio di società segrete, studiosi spregiudicati, rivalità e alleanze che non ha niente a che vedere con la gentilezza innata di Piranesi, la quieta grandezza delle statue e la confortante regolarità dei fenomeni naturali. Questo romanzo è solo apparentemente svincolato dall’attualità: una volta afferrata questa sua sfaccettatura è difficile non fare parallelismi con il colonialismo e l’imperialismo culturale, oltre a una più palese vena ambientalista.

Laurence Arne-Sayles ha cominciato con l’idea che gli Antichi si rapportavano al mondo in un modo diverso, che ne facevano esperienza come se fosse qualcosa che interagiva con loro. (…) Quando guardavano le stelle, le costellazioni non erano semplicemente degli schemi che gli consentivano di dare un’organizzazione a quello che vedevano, erano veicoli di significato, un infinito flusso di informazioni. Il mondo parlava agli Antichi continuamente.

Susanna Clarke costruisce una cascata di rivelazioni – la natura dell’Altro e degli scheletri che a loro volta avevano abitato quelle stanze, persino l’origine stessa della Casa – non per rompere il palinsesto narrativo costruito dall’inizio, ma per confermarlo.

Nei quaderni scritti da Piranesi riecheggiano le categorie estetiche del bello e del sublime: il suo desiderio di comprensione riconosce e valorizza il senso del limite, lasciando invece spazio all’immaginazione e all’esperienza di una bellezza pura e incontaminata. Piranesi nutre una fiducia cieca nei confronti della Casa, non perché la conosce fino a fondo ma perché la percepisce come infinitamente grande, capace di dare sussistenza a ciascuno dei suoi figli e perciò degna di massimo rispetto.

Piranesi è un romanzo breve, ma contiene moltitudini: le sue pagine sono costellate di riferimenti ad altre opere stratificati su più livelli di lettura e comprensione, in linea con la fonte inesauribile di materiale che è il canone del romanzo postmoderno. Susanna Clarke, tra l’allegoria platonica e un breve accenno all’albatros di Coleridge, rende l’omaggio più sentito proprio a uno dei maestri del postmoderno e alla sua creazione più celebre: Jorge Luis Borges e la Biblioteca di Babele.

L’universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d’un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, orlati di basse ringhiere. (Jorge Luis Borges, La biblioteca di Babele)

«In tutti questi luoghi, mi sono fermato sulla Soglia e ho guardato avanti. Non ho mai visto alcuna indicazione che suggerisse che il Mondo stesse arrivando a un Confine, ma soltanto il regolare susseguirsi di Saloni e Corridoi a Perdita d’Occhio». (Susanna Clarke, Piranesi)

Nell’era dell’informazione fluida, stratificata e potenzialmente infinita, Piranesi invita il lettore a trovare gli strumenti per non perdersi nel labirinto, senza tuttavia arrivare alla presunzione di poterlo dominare. Proprio come Borges, Susanna Clarke è dotata di un gusto bibliografico di catalogazione: i quaderni di Piranesi contengono grandi quantità di elenchi puntati, annotazioni, peculiari sistemi di datazione e classificazione, all’interno dei quali la Casa è sempre il punto di riferimento costante.

Il finale del romanzo, con il suo andamento affrettato rispetto all’ampio respiro dei capitoli precedenti, è una sintesi imperfetta eppure ricca di significato. Il protagonista rinuncia simbolicamente al nome di Piranesi in attesa di trovare una nuova forma di autodeterminazione. La sua identità è frammentata dagli avvenimenti ma non corrotta, anzi ancora più irremovibile nella sua ricerca di bellezza, gentilezza e compassione nei confronti del mondo, qualunque esso sia.

di Francesca Fenaroli