Culturificio
pubblicato 3 anni fa in Recensioni

Quando un romanzo si trasforma in un frattale dipinto con le parole

"Lampadari a gocce" di Savina Dolores Massa

Quando un romanzo si trasforma in un frattale dipinto con le parole

Il mercantile Casta Diva è ormeggiato nel porto di Gibilterra per delle riparazioni. È una bestia ferita che ha bisogno di cure, così come ne ha bisogno il suo equipaggio. Nel suo ventre, uomini molto diversi tra loro trovano rifugio da un mondo che hanno deciso di rifuggire, dal quale sono attratti pur sentendosene scacciati; fuggono da un passato che non riescono ad affrontare. In particolare Notturno, pittore di bui e di silenzi, affabulatore di storie tristi.

Si è imbarcato per diluire il ricordo di una donna nel mare, diluirlo fino a farlo svanire dalla sua testa. Ma non ci riesce, come non ci riescono tutti gli altri. Nemmeno Martino, il suo mentore, napoletano dispensatore di consigli, quasi un padre, che è anche un raccoglitore di segreti ed elargitore dei loro frammenti. Lui è il collante che rende unito l’equipaggio, ma anche Martino ha un passato triste che lo perseguita. Solo che lui, da buon napoletano, lo affronta col sorriso. E quando a circa metà romanzo decide di raccontare la sua storia, le sue parole si trasformano in poesia. Mentre si legge, le lettere sembrano diventare colori gettati su pagine che si tramutano in tele bianche. Fino a quando, ammaliati, non ci si ritrova tra le strade di Napoli, tutto è divenuto tridimensionale. Gioie, dolori, amori e delusioni si intersecano in vicoli antichi pieni di panni stesi sui terrazzi e sotto le finestre, che scorrono sui fili in cerca di piccoli sprazzi di sole e caldi aliti di vento. Si odono voci sguaiate e canzoni melodiche, urla di bambini e confusione. Gli odori impregnano le narici.

Prende vita nel narrare di Martino una Napoli magica, chiassosa, incantatrice e poetica, di una musicalità che accompagna pagina dopo pagina. La sua è una descrizione colorata e viva di una città e delle sue genti, talmente divertente e commovente da sentirla reale, da far cadere ’namurato ogni lettore. Come Savina Dolores Massa sia riuscita a fare questo è un segreto che custodisce nella sua mente, e che è a malapena visibile nel riflesso dei suoi occhi. Ma che non è intenzionata a svelarci se non tra le righe della sua scrittura, dove prendono vita anche altre città presenti nel libro, da Veracruz al Messico intero, con le sue Mambo e le sue tradizioni, le sue genti e la loro storia. E poi Gibilterra, Bergen e Amsterdam.

Ci sono poi gli altri membri dell’equipaggio del Casta Diva: Cormorano, il cuoco bruciato dalla vita, che si è imbarcato sul mercantile per farsi rimescolare dalle onde, in modo da lenire il dolore delle sue bruciature. Questo mare dalla linfa benefica, salvifica e obliante, è il brodo primordiale in cui cuociono le vite di tutti. Anche Ruben si avvale di questo fluido per cancellare il suo passato fatto di violenza. La sua infanzia è finita troppo presto trasformandosi in durezza. Solo il mare è riuscito ad ammorbidirla. C’è poi Andreas, il norvegese dalla pelle troppo bianca, che si fa rosea e poi rossa al sole, che si squama e poi si sfoglia strato dopo strato. E c’è il giovane irlandese Ruben, che studia per diventare un ufficiale. Troppo fresco alla vita e per certi versi inconsapevole ed egoista. In ultimo, un capitano assente in presenza e presente nell’attimo dell’abbandono. Tutti loro nascondono un passato che solo il vecchio Martino conosce per intero.

Le vite di questi uomini cambieranno drasticamente quando Notturno incontrerà Agata. Ci saranno stravolgimenti, nuovi dolori ma anche uno spiraglio di speranza per tutti, uno spiraglio che prima pareva impossibile.

Ma questa è solo una parte della storia raccontata nel libro – descritta in modo vago per non svelare nulla, o quasi, della trama – l’altra parte del romanzo ruota invece intorno a Izta e Robert.

In una Veracruz che festeggia il carnevale, Robert entra in un misterioso bazar in cui si vendono istantanee di mondi effimeri. Effimeri perché la loro creatrice, Izta, li disfa ogni martedì, per crearne uno nuovo. Perciò durano più le foto vendute ai turisti, di quei mondi. Ogni settimana lei elegge un tema e dopo la mezzanotte trasforma il suo negozio riempiendolo di strani oggetti, di colori dominanti e di un racconto da intuire.

Non potevano essere più diversi lei e Robert. Lui, dotato più di raziocinio che di fantasia, è un archeologo che studia il misterioso passato del Messico. Lei, legata alla tradizione magica messicana, è una venditrice di istanti congelati nel tempo. Nello scontro incontro con Izta, per non impazzire Robert è costretto a lasciarle il senno da riporre in un barattolo.

Per tutto il tempo, incombe su di loro un lampadario a gocce, di quelli con tanti prismi appesi. Ogni prisma ha due facce, da una parte si evolve la storia di Izta e Robert, e dall’altra quella di Notturno, di Agata e dell’equipaggio del Casta Diva. Ogni prisma rappresenta una storia di uno dei due filoni principali e In ogni sfaccettatura c’è una delle sottostorie del romanzo, o anche una microstoria. Tutto è disposto con una precisione matematica e retto dal lampadario, dalla sua struttura metallica, affusolata e artistica. Quel lampadario è Savina Dolores Massa che tesse la storia, le dà un ordine e ne dispone le parti. Per questo il lampadario è presente per tutto il libro e non può essere scisso dalla più piccola sfaccettatura di prisma raccontata.

Lampadari a gocce è il grande e sublime affresco di un frattale, con un ordine che si ripete in ogni porzione più piccola partendo da quella superiore. Come un quadro di Pollock. Ognuna di queste porzioni è unica e si distingue dalle altre. Eppure, si può identificare un disegno comune, una stessa matrice, una tragedia analoga; un amore per la vita e un esorcizzare il dolore con il canto, come solo riesce a fare Savina Dolores Massa con le parole e il suo nome. Ma il denominatore comune che si ripete in ogni più piccola storia del romanzo, e il quelle più grandi, sta al lettore scoprire qual è.

Savina Dolores Massa in questo romanzo sposta la sua narrazione in diverse aree geografiche della Terra, la Sardegna non appare. Un po’ com’era successo in Undici, il suo fortunato esordio letterario del 2008 che arrivò finalista al Calvino del 2007. Anche i temi trattati qui sono molto diversi da quelli affrontati negli altri suoi romanzi. Siamo di fronte a una grande autrice che ha dato vita a capolavori come questo, come Il carro di Tespi (2016) e Mia figlia follia (2010), e a romanzi coraggiosi come A un garofano fuggito fu dato il mio nome (2019), dove l’autrice scava nell’animo di uno dei suoi personaggi fino a denudarlo di fronte al lettore, fino a far sentire nudo persino lui, per quella capacità di far immedesimare chi la legge fin nel più marginale dei suoi personaggi. Anche l’epopea familiare narrata in Cenere calda a mezzanotte (2013) meriterebbe una lettura attenta. Poi ci sono le poesie, Per assassinarvi – Piacere siamo spettri (2016) in cui l’autrice crea in ogni componimento più voci, lavora su più livelli di pensiero e di significato, crea mondi variegati, proprio come Izta. Ma dopo aver detto tutto questo, non dobbiamo dimenticare che l’autore non è mai colui di cui scrive, è semplicemente tutto ciò che ha scritto.

di Claudio Piras Moreno