Eleonora Reggiori
pubblicato 3 anni fa in Recensioni

Rappresentazione e diversità: “Latte arcobaleno” di Paul Mendez

Rappresentazione e diversità: “Latte arcobaleno” di Paul Mendez

Una delle ultime uscite di Atlantide Edizioni, nella collana Blu Atlantide, è Latte arcobaleno (traduzione di Clara Nubile) di Paul Mendez, classe 1982, nato e cresciuto in Inghilterra.

La storia è quella di Jesse McCarthy, di origini giamaicane, cresciuto in una comunità di Testimoni di Geova dalla quale viene immediatamente allontanato una volta che, sballato e ubriaco, si lascia sfuggire qualche indizio sulla propria omosessualità.

Il libro, però, prima di concentrarsi su di lui, offre una panoramica degli anni Cinquanta nella Black Country, e promette subito una narrazione sopra le righe.

Questa è la meglio estate da quando siamo venuti in Inghilterra tre anni fa. Fa caldo, non caldo caldo come in Giamaica, ma oggi non sento una sola nuvola che sorpassa il sole, ed è un sacco di tempo che non cade pioggia. Sto sul prato davanti casa, e respiro. Il cespuglio è gorgoglioso di rose profumate. Mio figlio Robert, gli piace gironzolare qua attorno con l’annaffiatoio, che è grande quasi come lui. Io riesco a sentire quanta acqua butta sopra ogni radice, non so come fa lui a non sentire l’acqua fredda che gli piangiucchia sul piede.

Le parole sono quelle del nonno di Jesse, Norman Alonso, al quale viene affidata la prima parte del romanzo, una sessantina di pagine di altissima qualità. Mendez dà prova di una notevole capacità di mimesi linguistica, perfettamente resa dalla traduttrice.

Dalla Giamaica Norman e la moglie si sono trasferiti in Inghilterra, seguendo i consigli degli amici già espatriati negli anni precedenti. Presto si rendono conto che la vita europea non è neanche lontanamente simile a ciò che si erano prefigurati. La realtà è quella di un paese sempre cupo, triste, ancora troppo acerbo per accogliere i nuovi arrivati: «Avevano lasciato il giardino dell’Eden per la Terra di Latte e Miele e avevano trovato Sodoma e Gomorra».

Le discriminazioni vissute dai nonni appena arrivati, culminate nel lancio di un mattone contro la loro finestra, si riflettono in quelle subite da Jesse, nei primi anni Duemila. Se Norman e Claudette avevano dovuto interfacciarsi con «poveri bianchi che non hanno le informazioni giuste, perché il sistema ha paura che loro bianchi possono unirsi a noi neri», per stessa ammissione del narratore, Jesse vive un tipo diverso di discriminazione.

Paul Mendez pone l’accento sull’orientamento sessuale del protagonista, che si rende conto di essere gay in concomitanza con l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Jesse assiste al crollo di tutte le proprie certezze contemporaneamente al crollo delle certezze dell’Occidente: la presa di coscienza avviene quando i due modelli di pensiero entrano in collisione. Jesse è stato cresciuto da una madre sola (poi risposatasi con un uomo bianco) in una comunità religiosa opprimente: per questo la tensione tra chi sente di essere e il modello al quale crede di dover tendere si fa sempre più insopportabile, fino allo strappo che sancisce il discrimine tra il prima e il dopo che Latte arcobaleno racconta.

In seguito all’allontanamento dalla comunità, a poco più di diciannove anni, Jesse a Londra si ritrova solo, con un libro di James Baldwin a segnare il suo ingresso nel mondo della capitale, opposto rispetto a quello a cui era stato abituato fino a quel momento.

Latte arcobaleno non è un romanzo pieno di letteratura: i libri che vengono citati sono pochi, accuratamente scelti da Paul Mendez per richiamare una serie di suggestioni letterarie: Jesse di cognome fa McCarthy (ma non è il cognome del padre naturale) e vuole fare lo scrittore, ma ha una conoscenza parzialissima della letteratura mondiale, anche perché non ha mai frequentato l’università come avrebbe voluto, osteggiato dagli adulti della sua comunità. È la musica a essere onnipresente in Latte arcobaleno, da Jay-Z a Eminem e alle Sugababes.

È questa la colonna sonora dell’ingresso nel mondo di Jesse, che a Londra scopre, oltre a una libertà – anche sessuale – che non aveva mai avuto, di essersi sempre pensato come un ragazzo bianco.

Ammise che se fosse stato un ragazzo bianco, alto e biondo, sarebbe stato tutto diverso. Ammise anche che si era sempre considerato come un ragazzo bianco e biondo. Non si era mai considerato un ragazzo nero, né si era mai paragonato ad altri neri.

Paul Mendez inserisce una riflessione raffinatissima sulla concezione di sé del personaggio principale, che parte dalle considerazioni di Doreen, l’amica della madre già Testimone di Geova, che «Era fedele a Geova sin dagli anni Sessanta, quando una donna nera e una donna bianca che lavoravano insieme bussarono alla sua porta e predicarono la parola di Dio, e la portarono in una congregazione dove bianchi e neri si mescolavano liberamente perché uguali al cospetto del Signore».

Nella comunità di Jesse, con il pretesto che tutti gli uomini sono uguali di fronte a Dio, le differenze vengono appianate in ragione dell’unico aspetto che conta davvero: l’essere dei buoni religiosi. Le peculiarità del Jesse individuo non emergono – non possonoemergere – e il protagonista scopre a posteriori di aver sempre recitato un ruolo, non solamente per quanto riguarda la repressione della propria omosessualità, ma anche per aver ignorato le sue origini in favore di una presunta attinenza a un complesso sistema di regole.

L’arrivo a Londra è quindi simbolo di una rinnovata coscienza di sé, che si collega alla scoperta del proprio corpo e del piacere, condotta fino all’estremo. È facile, quasi automatico per Jesse finire a lavorare come sex worker, prediligendo clienti bianchi e molto più grandi di lui senza sapersi spiegare perché.

Latte arcobaleno è sicuramente un libro di una certa importanza (benché non mi piaccia parlare dei libri in termini di importanza o, peggio, necessarietà), perché riesce a trattare argomenti anche molto difficili con straordinaria semplicità, senza mai cadere nel patetismo. Nel romanzo si parla di precarietà – sentimentale e materiale – e di malattie sessualmente trasmissibili; si può forse parlare di coraggio da parte di Paul Mendez, che in Latte arcobaleno punta a sdoganare il discorso sul sesso e sul sex working, presentando questa realtà senza nessun filtro, ma l’impressione è che avrebbe potuto spingere ancora di più, essere maggiormente audace, perché il libro – e non lo si dice con commiserazione, né per criticare – è meno scomodo di quanto le battute iniziale facciano presagire.

Paul Mendez si inserisce nello stesso filone di cui fa parte anche Bernardine Evaristo, omaggiata nel testo in quanto autrice femminista insieme a Roxane Gay, ed è immediatamente chiaro quale sia l’obiettivo di un libro come il suo, ancora di più se messo di fianco a un’opera come Ragazza, donna, altro (Sur, 2020). Con l’espediente dei libri di Baldwin, inseriti come fossero scalini di un immaginario percorso dal protagonista, Mendez parla del potere dei libri e della letteratura, potere che ha a che fare, sembra, con la possibilità di sentirsi rappresentati.

Jesse, prima di arrivare a Londra, non aveva nemmeno le parole per definirsi; è con il possesso e la lettura de La stanza di Giovanni che capisce e analizza la propria situazione ed è questo che Latte arcobaleno, credo, vuole fare. Così come Ragazza, donna, altro è un libro del 2020 (anche se ormai siamo nel 2021) perché serve adesso, in questo momento, anche Latte arcobaleno è da leggere ora e non tra qualche anno, perché serve dare una rappresentazione della diversità e serve ora.