Alessandro Foggetti
pubblicato 3 anni fa in Recensioni

“Resti” di Gianni Agostinelli

“Resti” di Gianni Agostinelli

Il padre di Massimo ha trascorso quasi tutta la vita sul trattore, lavorando come terzista per alcuni proprietari terrieri, insieme ad altri contadini del posto, e nei ritagli di tempo si occupava dei suoi quattro ettari di girasoli. Poi, in età avanzata, era arrivato quel figlio e l’aveva fatto crescere alla moglie, limitandosi a dare quello che lui chiamava “l’esempio”. Ogni volta che rincasava, batteva il carrarmato degli scarponi sulla parete all’ingresso e lasciava cadere insieme al fango accumulato anche le forze e la pazienza. Sapeva di dover mandare avanti la famiglia, come suo padre e suo nonno prima di lui. Nessuno gli aveva detto come fare, aveva osservato e poi li aveva imitati.

Resti di Gianni Agostinelli, edito da Italo Svevo Edizioni (collana Incursioni), è una lente di ingrandimento sulle vite, amare e smarrite, di tre ragazzi diventati presto adulti in un paesino della campagna umbra. Uno spaccato sulla realtà di provincia che passa dal duro lavoro nei campi al turismo estivo, divisa tra luci e ombre: passeggiate in bicicletta, feste di paese ma anche violenza, gelosia e prostituzione. 

La domenica di luglio in cui Massimo si sposa non c’è nessuna festa, giusto un piccolo banchetto tra parenti a casa della moglie, Sonia, l’unica davvero felice, nel suo abito bianco di pizzo, morbido sulla pancia per il bambino in arrivo. Sua madre la guarda entrare in chiesa e rimane a fissarla, senza concedersi nemmeno un sorriso, quasi a voler cogliere a tutti i costi un’incertezza della figlia che possa alimentare il cattivo presagio che lei avverte da tempo.

Massimo, Leo e Alceste, giovani adulti, crescono insieme tra bagni nel torrente e mascalzonate che sono quasi segni premonitori del loro problematico futuro.

Differenti situazioni economiche, dinamiche sociali, segni caratteriali e approcci affettivi. Ma sembra esserci sempre qualcosa che li lega. Un destino influenzato dai sacrifici delle generazioni che li hanno preceduti, un peso troppo grande per le loro spalle, trasformano una giornata di sole in una improvvisa grandinata su un raccolto potenzialmente redditizio.

Il romanzo è diviso in quattro parti: la prima descrive un aneddoto dell’infanzia del gruppo; la seconda, suddivisa in capitoli intitolati come i nomi dei protagonisti, narra le loro scelte di vita. La terza e la quarta sono quelle che (ri)uniscono e intrecciano con un domino di cause e conseguenze le diverse vicende.

Massimo non ha voglia di sporcarsi le mani e seguire le orme del padre diventando contadino, ma preferisce lavorare in un mattatoio così da avere più tempo libero per divertirsi tra scorribande notturne e conquiste dell’ultimo minuto nei piccoli bar del paesino. Menefreghista e sfacciato, è stato ed è il leader del gruppo; sentendosi sempre al di sopra degli altri, aggira la legge per saziare la sua ambizione:

vuole fare l’imprenditore. Una parola che ha a che fare con i soldi e la bella vita. Si convince che quello è il suo destino. Così il giorno del suo trentesimo compleanno si licenzia e passa la serata a festeggiare al night. A Sonia racconta che gli daranno una buonuscita enorme, maggiore delle aspettative, e con quella ha intenzione di mettersi in proprio.

Leo invece è stato costretto dal padre Raniero a diventare meccanico e lasciare il paesino di provincia per la città, Perugia. La difficoltà di trovare nuove amicizie e una compagna trasforma la stima del passato, nei confronti di Massimo, in fervida invidia. Impacciato e zoticone, è vittima della propria insicurezza, tramutata poi in rabbia e frustrazione:

 Leo ha imparato a conoscere Perugia molto lentamente. I primi tempi si sentiva smarrito e si muoveva solo in macchina. Appena usciva dall’officina, faceva scorta di birre e cibo in scatola e si chiudeva in casa a ingozzarsi davanti al televisore.

Alceste è l’unico personaggio buono, genuino, quello che sembra incarnare al meglio le radici simboliche della provincia e i sacrifici di quelle generazioni che solo con il sudore, con le mani rovinate dalla zappa e le unghie sporche di fango, sono riuscite a dare un futuro alle proprie famiglie. Sempre in cerca di lavoro si muove con la sua bici tra i sentieri e le vie del paesino, galleggiando tra l’inverno bucolico del posto e l’estate colorita e turistica in un agriturismo.

Nella narrazione è il solo che riesce ad aprire uno piccolo spiraglio per far entrare un leggero vento di speranza. L’unico, dei tre, che sembra avere un’etica e una morale, si inserisce nel romanzo come una coscienza fuori dal coro che tenta di cambiare le sorti della propria vita con le sue forze, senza prendere scorciatoie:

abbatte due vecchi cipressi grigi ormai secchi e poi alza un recinto intorno al mezzo ettaro di terreno dove coltiva l’orto. Prepara l’impianto di irrigazione, semina, zappa. Da metà ottobre aiuta nella raccolta delle olive la squadra che ha preso in affitto l’oliveto e quando piove passa i pomeriggi nella piccola rimessa, dove cerca di aggiustare e riutilizzare quello che gli serve per il suo lavoro, senza che Giulio debba spendere un solo centesimo. La lampadina nuda che pende dal soffitto basso resta accesa fino a tardi.

Gianni Agostinelli è abile nell’intrecciare armoniosamente le storie dei diversi personaggi, legando il contesto rurale e il cambiamento economico a quello strettamente sociale. Un quadro e un arco temporale – non espressamente dichiarati ma costruiti da numerosi indizi: le partite di calcio, i piloti di Formula 1, il passaggio dalle Lire all’Euro… – molto lunghi che manifestano la trasformazione di tutto ciò che ruota intorno alla vita dei protagonisti attraverso suggestioni frammentate e repentine: la mancanza di lavoro, la trasformazione di un agriturismo in una casa chiusa, l’incuria della politica e il turismo dilagante.

Resti consegna al lettore una visione cruda e amara della provincia che non sembra lasciare molto spazio alla soddisfazione personale e alla spensieratezza familiare. Rimangono solo dei resti, appunto, di qualcosa o qualcuno dettati dallo scorrere inesorabile del tempo e dai rapporti affettivi: un’amicizia, se così si può chiamare, quasi obbligata dovuta alla coincidenza di nascere nello stesso luogo e di trovarsi a pochi metri di distanza da casa. I resti sono il risultato di una semina fiduciosa fatta di sacrifici il cui raccolto è totalmente inconsistente: i protagonisti, forse, sono troppo deboli per sopportare il peso dei valori del passato, troppo supponenti per volerlo tramandare oppure troppo carenti d’affetto e di comprensione per costruire serenamente un futuro.