Culturificio
pubblicato 4 ore fa in Di parola in parola

Scisma – Ruol

o della separazione che origina dalla rigidità dei ruoli della società patriarcale

Scisma – Ruol

Lo scrittore Michele Ruol ci parla di “scisma”, parola chiave nella storia della famiglia protagonista del suo romanzo di esordio.


Scisma, scindere, scissione, schizofrenia: queste parole condividono tutte la stessa radice greca «σχίζω», dividere.

Il termine scisma si carica tuttavia di un significato storico, rimandando alla separazione avvenuta nel 1054 tra la chiesa cattolica e la chiesa ortodossa, in quello che è noto come scisma d’Oriente. Il termine scisma acquista quindi i contorni di una divisione irreversibile, non sanabile, che si configura come una contrapposizione di dogmi e valori: sono due visioni del mondo che si fronteggiano e rivendicano la verità.

L’ambito di applicazione della parola scisma non è tuttavia limitato alla sfera cristiana e più in generale descrive la separazione che avviene – altro elemento caratterizzante – tra persone appartenenti alla stessa comunità: religiosa, politica, artistica, sportiva.

E familiare.

Nel romanzo Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia la parola scisma compare in tutto due volte.

La prima racconta la frattura che avviene tra i due protagonisti, Madre e Padre. Madre affronta una depressione post-partum in totale solitudine, mentre il marito non solo non le è di sostegno, ma non si accorge nemmeno di cosa lei stia vivendo.

«Aveva cominciato così un percorso di supporto psicologico; Padre le aveva detto che faceva bene, che per ogni cosa poteva contare su di lui. E aveva considerato risolta la faccenda. […] Non ne avevano più parlato, Madre e Padre, non avrebbe avuto senso. In questa mancanza di senso stava l’inizio del loro scisma».

Questo scisma è la prima e irrimediabile crepa che attraversa la relazione tra Madre e Padre. È una fessura apparentemente sottile, al punto che inizialmente nessuno dei due se ne accorge, o le dà il giusto peso. È tuttavia una spaccatura profonda, destinata ad ingrandirsi sempre di più con il tempo. Attraverso questa incrinatura si fa spazio all’interno della casa un silenzio che con gli anni diventerà impenetrabile, e che nutrirà incomprensioni, frustrazioni e rimpianti.

Per quanto lo scisma faccia il suo ingresso in sordina, marca nella storia di Madre e Padre un prima e un dopo: segna un confine che una volta varcato non potrà più essere riattraversato. Da questo momento marito e moglie parleranno idiomi diversi, e la lingua comune sarà il silenzio.

Cresciuti in famiglie di stampo marcatamente patriarcale, entrambi finiscono per riproporre schemi conformi: Padre si assume l’onere di sostenere economicamente la famiglia, Madre rinuncia agli studi per accudire i figli. La violenza che viene perpetrata da parte di Padre è soprattutto psicologica: è il rimarcare quotidianamente questi ruoli, il negare che ci possano essere altre aspirazioni.

Quella che Madre mette in atto è una faticosa ribellione a queste regole imposte come dato di fatto. L’eresia che guida il suo scisma è che si possa essere madri e contemporaneamente lavorare, che si possa riservare del tempo per sé e nessun altro, che si possano coltivare sogni e ambizioni.

Il percorso con cui Madre arriva a rivendicare e poi a conquistare questi diritti è accidentato e doloroso, ma è la diretta conseguenza di questo primo scisma: tutto comincia con la realizzazione che Padre non è in grado di empatizzare con lei, non ha la capacità – o l’interesse – di mettersi nei suoi panni. Lo scisma è la consapevolezza che se Madre avrà bisogno di qualcosa, dovrà prendersela da sola, e che le parole non saranno più sufficienti a colmare lo squarcio che si è creato tra di loro.

La seconda volta in cui compare il termine scisma, gli attori coinvolti sono Madre e i suoi due figli, Maggiore e Minore.

Seguendo schemi tramandati di generazione in generazione, Padre è completamente assorbito dal lavoro e sostanzialmente assente in casa, per cui delega a Madre l’incombenza dell’educazione dei figli, onere che lei accoglie con determinazione e ostinazione. Riaffiorano tuttavia nel rapporto tra lei e i suoi figli tutti quegli schemi di comportamento autoritari e colpevolizzanti che Madre da ragazza aveva subìto – e detestato.

«[Madre] si sarebbe arrangiata, come aveva sempre fatto. Avrebbe continuato a soffocare il lato dolce e apprensivo del suo carattere e a mostrarsi rigida, autoritaria. Lo faceva per il loro bene – e nelle sfumature di quel bene stava l’inizio dello scisma anche tra Madre e i suoi figli».

Questo secondo scisma è ancora più doloroso del primo, e non solo perché finisce per isolare completamente Madre. Se la frattura con Padre era scaturita da un sostanziale egoismo e disinteresse da parte del marito, qui è la diretta conseguenza di un atto d’amore. Madre farebbe qualsiasi cosa per il bene dei figli, è disposta a sacrificare un pezzo di sé, ad amputare la propria tenerezza, pur di aiutarli.

La tragedia – banale e comune – di questo scisma è che più Madre si sforza di ottenere un effetto, più raggiunge il suo contrario; più desidera il bene dei propri figli, più rovina il rapporto con loro e se ne allontana. Di litigio in litigio si arriverà anche qui a un punto di non ritorno: Madre e figli diventeranno sostanzialmente stranieri, e per parlarsi da una parte all’altra della cortina che li separa bisognerà necessariamente urlare.

Padre e Madre sono quindi due personaggi incastrati nei propri nomi, o meglio nei ruoli che li identificano. Entrambi, pur in modo diverso, hanno assorbito dalle famiglie di provenienza, e dalla società che li circonda, un modo di essere genitori, coniugi, di essere uomo e donna, e a quegli schemi culturali continuano a rifarsi, loro malgrado.

Questi equilibri familiari vengono tuttavia travolti da un incidente che coinvolge i due figli.

Il lutto determina nelle vite di Madre e Padre un terreno bruciato che toglie senso a tutto, compresi i ruoli in cui si erano rifugiati fino a quel momento, compresi gli scismi che li avevano allontanati.

Ci sono domande che a lungo erano rimaste soffocate nella routine della vita domestica e che nessuno dei due era stato in grado di farsi, ma che adesso affiorano nitide nel silenzio della cenere.

In questo nuovo spazio, vuoto e disabitato, tutto va ricostruito da capo, a partire dal loro rapporto.


Michele Ruol, di professione medico anestesista, scrive per il teatro e ha pubblicato racconti in diverse antologie e riviste letterarie.

Ha esordito nel 2024 per TerraRossa Edizioni con il romanzo Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia, opera finalista al premio Strega 2025, vincitrice del premio Giuseppe Berto e del premio fondazione Megamark, attualmente in corso di traduzione in Spagna e Sud America, in Francia, in Slovenia e in Serbia.


Di parola in parola è una rubrica a cura di Emanuela Monti. Dalla nota introduttiva è possibile scaricare l’archivio della rubrica, uscita fino al 2019 in forma cartacea nella rivista «Qui Libri».