Il valore effimero della Land Art
Entrare nel processo evolutivo della natura e attendere che l’azione dell’uomo venga fagocitata dal cambiamento naturale, questo è il diktat di artisti come Walter De Maria o Robert Smithson. Questo è quello che Gerry Schum nel 1969 indicherà con il termine Land Art.
Le origini di questo movimento affondano le proprie radici in un’America che sposta l’attenzione verso la dimensione dello spazio ambientale, diventando quest’ultimo parte integrante dell’elaborazione creativa, dove assumono un’importanza decisiva le relazioni che gli elementi del lavoro instaurano con il luogo di esposizione. Gli anni ’60 vedono in contemporanea l’affermazione della Minimal Art dal cui ambito provengono molti dei futuri land artist che approfitteranno delle vastità naturali presenti sul territorio statunitense per elaborare i loro progetti. Spazi incontaminati come laghi, deserti, praterie si pongono ideologicamente e oggettivamente in contrapposizione con l’artificialità e la staticità della metropoli. Sono gli anni della “doppia faccia” americana; la nazione patria dell’arte Pop in cui l’opera diviene oggetto del consumo di massa, con Warhol come capofila, e dall’altra parte la ricerca quasi ancestrale di ristabilire un contatto con la natura.
Come agiscono, quindi, questi artisti?
L’operazione che si prestano a compiere non sarà quella di collocare delle sculture nell’ambiente, bensì di utilizzare lo spazio e i materiali naturali come mezzi per realizzare l’opera, producendo interventi imponenti che possano lasciare lo spettatore a domandarsi se questa sia opera dell’uomo o parte già integrante del territorio. Le strutture realizzate tramite accumulazioni, scavi e tracce su terra vivranno il tempo imposto dal volere della natura; piogge, smottamenti, l’innalzamento dell’acqua porteranno questi interventi a scomparire. Cosa ci resterà allora di queste azioni? Fotografie, video e documenti sostituiranno questi lavori effimeri; questo porta lo spettatore a riflettere su quanto poco l’uomo possa di fronte alla forza degli elementi naturali.
Tra i pionieri di questo movimento troviamo Robert Smithson che nel 1970 realizza un intervento a prova d’uomo; la Spiral Jetty. Si tratta di una banchina a forma di spirale nel Great Salt Lake nello Utah, costruita accumulando 60.000 tonnellate di terreno circostante. Oggi l’opera è stata completamente riassorbita dal lago, realizzando quel processo entropico tanto caro all’artista.
Molteplici sono state le operazioni da parte dei land artist come Turrell che intervenne sulla cima di un vulcano spento nel deserto o Richard Long il quale creò sul terreno lunghe tracce lineari pestando l’erba dei campi e delle radure, o raggruppando gruppi di pietre in fila, in quadrati o in cerchi.
Nonostante le difficoltà dell’arte contemporanea a prender piede in Italia, la culla del Rinascimento presenta alcuni esempi di Land Art. Ha circa un anno la Cattedrale Vegetale, realizzata sul progetto di Giuliano Mauri a Lodi. Si tratta di una struttura in divenire ossia che cambierà aspetto nel corso degli anni a seconda del tempo di crescita di ogni albero. L’opera appare composta da 42 colonne di legno che al loro interno sostengono la crescita di altrettanti faggi: cinque le navate per una trentina di metri di lunghezza e 24 metri di larghezza. I pilastri si sollevano in alto formando un arco ogivale, sottraendo la sacralità alle chiese gotiche e aggiungendo la perfezione della natura. Si cammina in navate che niente hanno da invidiare alle strutture medievali, donando un senso di pace e di equilibrio.
Di recente, la struttura è stata al centro di polemiche per un crollo di alcuni pilastri lignei a causa delle cattive condizioni climatiche. Non era forse questo il senso entropico di cui ci parlava Smithson?
Tutto in divenire, tutto sottoposto al volere inoppugnabile della natura. Il pensiero che questa struttura possa conservarsi al passare delle stagioni, forse non rispecchia ciò che è alla base del concetto artistico della Land Art.
L’opera sarà destinata a scomparire oppure l’intervento dell’uomo fermerà questo declino?
Ciò che sappiamo è che la Spiral Jetty continua a incantare nonostante ora, nel lago dello Utah, non sia rimasto niente di più di qualche sasso.
Articolo a cura di Chiara Tondolo
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