“Wild swimming” di Giorgia Tolfo
nuotare negli abissi dell’inconscio
L’espressione wild swimming in lingua inglese indica una pratica sportiva sui generis che implica l’atto di nuotare in ambienti naturali come laghi, fiumi o in mare aperto. Letteralmente il termine potrebbe essere tradotto «nuoto selvaggio», ma non credo che la definizione gli renda propriamente giustizia: il significato profondo di questa pratica lo coglie Giorgia Tolfo che sceglie Wild swimming come titolo per il suo romanzo d’esordio, edito da Bompiani, in libreria dal 15 gennaio.
Si avverte da subito un’eco del principale modello letterario dell’autrice, più volte esplicitato nel corso del testo: la scrittrice britannica Deborah Levy, la creatrice della living autobiography o autobiografia in movimento, che nel 2011 scrisse un libro dal titolo simile Swimming home.
Il romanzo di Giorgia Tolfo segue l’analogo movimento fluido e frammentato della living autobiography di Levy per mettere a fuoco un presente dai contorni incerti che, a tratti, sfuma in un passato ancora irrisolto, il quale ha da tempo smarrito la facoltà di essere origine e radice. Entrando nella sfera simbolica della letteratura cogliamo anche il valore metaforico – e al contempo metamorfico – dell’espressione: Wild swimming, ovvero nuotare negli abissi dell’inconscio, smarrire le coordinate spazio-temporali, saper correre il rischio di perdersi, di affondare addirittura nelle parti più oscure e inospitali di sé, per poi ritrovarsi e quindi finalmente accettarsi nella propria fragile imperfezione umana.
Il libro si apre con un incontro («Ho incontrato J. sul binario del treno che da Kensal Rise porta ad Hackney») che riformula le coordinate esistenziali della protagonista come solo l’amore – che giunge sempre improvviso e inaspettato – sa fare. L’apparizione di J. mette in moto la storia; eppure i sentimenti e i pensieri di questa donna resteranno sempre un mistero per il lettore, impenetrabili ed enigmatici come i suoi occhi verdi. Sappiamo solo una cosa di lei, messa nero su bianco sin dalle prime pagine: che è infelice, l’unico indizio (o forse profezia) che lascia presagire il dramma che dal principio sembra minare l’atmosfera apparentemente romantica.
Era felice.
Sembrava felice.
Non era felice.
Ma questo, allora, non lo sapevo.
È un incontro destinato a cambiare i destini, questo lo percepiamo dall’incipit che non indugia nell’attesa ma ci catapulta nel cuore pulsante del racconto. Due donne si incontrano e tutto cambia, poiché entrano in contatto due storie ma anche due fragilità, due anime spezzate, irrisolte, che non è detto siano poi capaci di completarsi.
Wild swimming è una storia d’amore e disamore, è romanzo, saggio, ma anche memoir, perché nel cercare di decifrare il mistero di J. la protagonista si cala a capofitto nelle profondità di sé stessa, come durante un’immersione subacquea, riscoprendo il senso perduto della propria storia e del proprio passato. La scrittura segue dunque il tracciato disconnesso dell’inconscio, come durante una seduta psicoanalitica: il dettato confuso del proprio malessere viene narrato per frammenti allo scopo di ritrovarsi e, proprio in quelle pagine così simili a fotogrammi o zampilli fulminei di coscienza, troviamo ciò che salva. L’arte, in tutte le sue forme, assurge a una missione salvifica, come un quadro monocromatico di Rothko, le pagine di Mrs Dalloway di Virginia Woolf o Memoria di ragazza di Annie Ernaux e Autobiografia del rosso di Anne Carson. I libri svolgono una funzione orientativa, fungendo da bussola nell’intricato labirinto di possibilità dell’esistenza.
È difficile narrare una storia al presente senza parlare di una crisi, poiché la lontananza del passato e l’indecifrabilità del futuro ci pongono sempre in una situazione di incertezza. La protagonista, che ha diversi tratti in comune con l’autrice del libro, ha lasciato l’Italia per vivere a Londra. Sul suolo inglese ha concluso una relazione di lunga data perché l’amore ormai era sbiadito in abitudine e ora si trova a fare i conti con un forte senso di sradicamento. Ha lasciato il noto per l’ignoto, come un marinaio che abbandona la terraferma per seguire il proprio istinto salpando verso il mare aperto; eppure sente di non essersi ritrovata. La scrittura – ricca di riflessioni metaletterarie – diventa quindi la maniera di «ritrovarsi», intendendo il verbo nel suo significato etimologico: “tornare di nuovo a sé”, orientarsi, ricongiungersi, ricostruirsi.
E mi chiedo se il divertimento stia più nello scoprire l’immagine finale o piuttosto nel processo che porta a rivelarla. Pensando a come si possa raccontare la storia di una vita, mi chiedo se sia più interessante scoprire dove arriva o focalizzarsi sui passi che l’hanno condotta a quel punto.
La prosa di Wild swimming segue il movimento vorticoso dell’acqua: la narrazione del presente e della relazione con J. viene intervallata a zampilli di coscienza che conducono l’autrice a ricostruire sé stessa e la propria storia – dalla nascita prematura all’infanzia vissuta a casa della nonna, dal coming out al trasferimento in un’altra città – il tutto costantemente rovesciato dal movimento ondivago dei pensieri che fanno capolino sotto forma di riflessioni sulla letteratura, la linguistica (la relazione ambigua tra significante e significato quando si parla in una lingua diversa da quella di origine), la scrittura. L’acqua simboleggia lo specchio attraverso cui guardare sé stessi e gli altri, la libertà ma anche la fatica di chi cerca di nuotare o semplicemente stare a galla nel mare tempestoso del mondo.
L’elemento dell’acqua è centrale nella narrazione di Giorgia Tolfo; in una delle scene più intensamente liriche la protagonista avverte, navigando il Tamigi, una comunanza tra la vita a Londra e le sue origini venete: ecco che la capitale inglese si trasfigura in Venezia, come in un quadro di Canaletto, e in una sorta di epifania si rivela «la continuità dell’acqua».
Per un breve istante avevo sentito col corpo, prima ancora che con la mente, che tra la mia origine veneta e la città in cui mi trovavo, tra il passato e il presente, c’era una continuità che superava ogni frattura e che questa continuità era la continuità dell’acqua.
Impossibile non percepire, in questo breve estratto, l’eco letteraria del nostalgico cantore di Venezia, ovvero Iosif Brodskij che in Fondamenta degli incurabili (1989) stabiliva la relazione «acqua uguale tempo» e cercava di cogliere il proprio riflesso – di ritrovarsi – scrutando i canali attraversati dall’acqua limacciosa. Anche Brodskij viveva il medesimo senso di sradicamento provato dall’autrice: anonimo, solo in una città straniera, si lasciava trasportare dal moto lento e costante dell’acqua nel viaggio attraverso il subconscio. La scrittura diventa quindi una possibilità di immersione, il tentativo di guardare oltre la superficie delle cose. Giorgia Tolfo dedica il suo libro «A chi mi ha insegnato a guardare»: un esergo toccante che, in fondo, contiene in sé un’implicita chiave di lettura.
Wild swimming è narrato in prima persona eppure ci immerge in un movimento collettivo, in bilico tra realtà e sogno, tra immaginazione e memoria, formulando domande valide per chiunque abbia avvertito, almeno una volta nella vita, la necessità di ritrovarsi. Non possiamo definirlo un romanzo di formazione, questo genere appare quasi sorpassato: del resto è ancora possibile scrivere “romanzi di formazione” nel ventunesimo secolo? Lascio aperto l’interrogativo, osservando che la scrittura di sé oggi sfuma i propri contorni alimentando una narrazione che tende a inglobare il lettore: la crisi interiore vissuta dalla protagonista è il riflesso di un sentire sociale, si fa testimonianza di una generazione che da tempo ha perso le coordinate e i punti fermi. Le domande che attraversano la mente della protagonista – una donna adulta, istruita, colta, dichiaratamente lesbica, che ha il coraggio di vivere una vita indipendente secondo la propria volontà – rispecchiano i dubbi di una società in evoluzione la quale ha da tempo mollato gli ormeggi.
Wild swimming ci ricorda che la crisi è necessaria e non deve essere evitata, ma accolta, perché in fondo è ciò che ci permette di guardare la realtà scoprendone il vero volto. Nuotare nelle acque inquiete dell’inconscio può essere pericoloso, si corre il rischio di smarrirsi, ma una volta riemersi si può finalmente accogliere una nuova versione di sé. Leggendo non possiamo fare a meno di accostarci a quell’io in movimento che circumnaviga la vita tentando di trovare un approdo.
Questo libro pone molti interrogativi e, attraverso il misterioso personaggio di J., ci fa toccare con mano anche un’infelicità che non può essere sanata: non è una storia d’amore, né di formazione, né di salvezza, ma come tutte le storie ci insegna a guardare e a lasciarci ammaliare dalle «molteplici possibilità dischiuse dalla scrittura».
Come scopre la protagonista grazie a un bizzarro incontro con un vagabondo, definito con un eufemismo «poeta da metropolitana»: tutte le storie finiscono con la morte, ma cosa ci spinge ad andare avanti? Non è la meta il vero approdo, ma il segreto sta nel viaggio, ovvero nella capacità di nuotare a stile libero attraverso le acque torbide della memoria, del desiderio, in una costante re-invenzione del concetto di felicità.
Wild swimming è un’opera coraggiosa – che non teme di narrare fragilità e mancanze – ma soprattutto è uno splendido omaggio alla parola nella sua accezione più pura e letteraria, ciò che ci permette, in fondo, di riscoprire il nostro potere immaginativo e creativo.