Mancanza – Alessandra Minervini
l’abracadabra della scrittura
La scrittrice Alessandra Minervini ci parla di “mancanza”, elemento cardine della sua narrativa.
La MANCANZA è il perno sentimentale di ciò che scrivo e (soprattutto) di ciò che non scrivo. È la parola che mi guida pure nella vita di lettrice. Quando un romanzo mi ipnotizza, ci vivo letteralmente dentro. E succede perché prima di leggerlo qualcosa mi manca e la trovo tra le pagine. Ho trovato la mancanza nei toni mondani di Modesta de L’Arte della gioia, quando sento che mi manca un pezzo di sfacciataggine mi rivolgo a lei, riprendo a leggerla, me la porto in grembo. La mancanza è il motore narrativo centrale del mio esordio, Overlove. La mancanza che prova una donna (e tutti i personaggi che popolano il mondo narrativo, con e contro di lei) che si chiede come si sopravvive alla fine. Di un amore, di un lavoro, della politica, dei soldi, di un’amicizia, dei propri genitori. A cosa serve una mancanza dentro una storia? Per me è il senso di qualcosa che – bello o brutto – smetterà di esserci pur essendoci per sempre. Cos’è la letteratura se non questa sparizione esiziale? Il tono mondano di Modesta: davvero è finito con la fine del romanzo? Se c’è mancanza, no. Mancanza è ciò che smuove la materia dei miei saggi sullo scrivere, perfino quando racconto sul giornale una scrittrice, lo faccio per ricongiungermi e riattaccarmi a un pezzo che mi manca. Mancanza non è perdita. La si prova pur non avendo perso nulla, la si sente senza rancore o tristezza. Perdere e mancare non sono sinonimi. Nel perdere si ipotizza un’idea di possesso, si perde ciò che si ha. Se non si ha niente, non si perde niente. Invece nella fine non c’è necessariamente un’idea di possesso in gioco. Possono finire delle storie che non sono mai state nostre, possiamo finire una relazione senza mai perderla. Possiamo assistere al cambiamento di una situazione, provare mancanza per la posizione precedente, eppure restare esattamente nello stesso posto dove si era. Mancanza è un punto di vista. Nell’idea di mancanza c’è uno spessore fondamentale che è legato alla trasformazione, può essere la fine oppure l’inizio. Non è questione di: mi piace ciò che non ho (più). Si possono avere delle cose, si possono provare delle emozioni e vivere delle esperienze, e sentirne la mancanza. Scrivere è mancanza. Non è un’assenza. È una parte intera a cui a un certo punto manca qualcosa, un graffio sulla pelle, una smagliatura nello spazio e nel tempo. Un luogo che non ha più quell’odore di cotone buono oppure uno smalto opaco su una mano amata. La mancanza è una privazione, un errore involontario, un fallimento endemico. La natura istintiva della scrittura è una forma di mancanza. Come può una persona intatta, amare? Come può una persona senza frammentarsi, scrivere? Se non mi mancasse niente non scriverei, e quando non mi manca niente non scrivo; se non mi mancasse niente non amerei e quando niente mi è mancato pochissimo ho amato. Quando diciamo ti amo a qualcuno a chi non lo stiamo dicendo? Per me la mancanza è questa. Una verità intima. Mi rendo conto che può essere un sentire puramente letterario. In parte è così. C’è un filo rosso che lega la mia narrazione e quella del mio lavoro: chi mi cerca per raccontare la propria storia lo fa perché gli manca qualcosa o qualcuno. Chi mi cerca attraversa una verità che gli manca. Per ovvi motivi, è l’aspetto più mancante della vita. Specie di quella letteraria. Mi viene in mente Jeannette Winterson, il suo libro meraviglioso “Perché essere felice quando puoi essere normale?” Lo considero un libro fondamentale, non solo per la raffinatezza della trattazione autobiografica. È un involontario manuale di scrittura che attraversa il sentimento di mancanza. Per esempio, quando scrive: «La verità è molto complessa per tutti: per chi scrive le omissioni rivelano quanto le cose dette. Che cosa si cela oltre il margine del testo? Le storie sono una forma complessa di compensazione alla mancanza. Il mondo è ingiusto, iniquo, inconoscibile, incontrollabile. Nel raccontare una storia esercitiamo il controllo ma lasciamo uno squarcio, un’apertura. È una versione possibile, non è mai quella definitiva. E forse speriamo che i silenzi vengano ascoltati da qualcun altro, che la storia possa continuare, essere raccontata da qualcun altro. Quando scriviamo offriamo una storia e un silenzio. Le parole sono la parte della storia che può essere espressa. (…) Forse è questo il motivo per cui scrivo così, raccogliendo frammenti, dubbiosa di una narrazione continua.»
La mancanza è il segreto che non colgo e che mi spinge a scrivere, la parola che mi ossessiona e che non ripeto mai, il ritornello fuori sincrono di una monodia.
Da Una bella fetta di torta, Progetto Apri, 2023
Due amiche che scrivono; una (la voce narrante della lettera) ha avuto successo ma si è persa in una fama che non riconosce più; l’altra (a cui la lettera è rivolta) ha vissuto soprattutto all’ombra della sua vocazione letteraria. Troppo coraggio in un caso, troppo poco in un altro. La storia ora si inverte. Una bella fetta di torta, titolo che cita Silvia Plath, è un racconto epistolare dove la mancanza è il sentimento prevalente, senza per questo essere continuamente nominata come dovrebbe essere per tutte le cose importanti in una narrazione: mostrarle senza dirle.
Come fai a giurare che non ci sia una briciola di te nelle storie che racconti? Un po’ ti invidio. Un po’ ho l’impressione che sia una miopia, una diffusa bassa considerazione della scrittura viva (i sentimenti) contro la scrittura morta (tutto il resto). Come se anche scrivere di un sasso non sia un modo per raccontarsi, e per farsi amare. Amica mia, i sassi per esempio mi parlano di te. Nella cassetta della posta ne ho infilato uno a forma di cuore matto. Prendilo. È tuo. Non lo sai ma l’abbiamo trovato insieme, anche se tu eri troppo indaffarata ad ascoltare le conversazioni di chi ci stava intorno; eravamo al lago, io stavo scrivendo “Festina lente”, era il luglio 2012. Il mio secondo romanzo non se l’è filato nessuno. Secondo te era complesso per i lettori, secondo me sono i lettori a essere complessi; sono come le persone che amo, mi feriscono ma va sempre a finire che a offendersi poi sono loro. Ho i modi sbagliati nel cuore. Il mio cuore è come quella pietra, è un cuore matto, un ramoscello secco che le parole travolgono. Un romanzo sfrontato, una scrittrice che non conosce ciò di cui parla. Te lo ricordi, cosa hanno scritto di me quell’anno? Max si era ormai sposato, era in attesa della sua prima figlia. Io ero rimasta sola, a parte te. Cosa avrei fatto senza la tua intelligenza, senza quella saggezza da cuore indomito che riusciva a dare il massimo, a rigenerarsi in poche ore. A cosa serve la letteratura se non a renderci sfrontate, mi hai risposto quando ti ho detto: basta, non scrivo più non perché non voglio ma perché non ci riesco. Se lo sono stata, sfrontata, lo devo ai libri e a te, amica taciturna che sa amare. Io no, io non so amare. Io voglio amore, poi il resto lo scrivo. Se penso all’amore, sento ancora l’odore di cloro. Lo sentivo già quando ho dedicato a Leopardi “Amore disperato” e ho scritto a Salinger dicendo che non riesco a dimenticarlo, anche se onestamente se la crede un po’ troppo.
Perché scrivi, quante volte me lo hai chiesto? Amica, io non lo so perché scrivo. Boh. Invento ogni volta una risposta diversa. Quando si scrive, si smette di sapere. Non scriverò mai una poesia per i lettori. Lo faccio ora per te, solo per una volta e solo per una persona (tu), la mia insana poesia:
Soffocarsi
di
mancanze.
Alessandra Minervini è nata a Bari. Suoi racconti sono apparsi su diverse riviste. Ha pubblicato il romanzo Overlove (Liberaria 2016); Bari, una guida (Odòs Libreria Editrice 2020); Una storia tutta per sé (Les Flaneurs 2021); Una bella fetta di torta (Progetto Apri, 2023), Scrivere Storie Fantastiche (Les Flaneurs 2023), A Bari con Lolita Lobosco (Giulio Perrone Editore). Scrive di libri per «la Repubblica Bari» e tiene una rubrica dedicata agli esordi su Exlibris20. Da freelance lavora come editor e svolge corsi di scrittura. Il suo sito è https://www.alessandraminervini.info/.
Di parola in parola è una rubrica a cura di Emanuela Monti. Dalla nota introduttiva è possibile scaricare l’archivio della rubrica, uscita finora in forma cartacea nella rivista «Qui Libri».