Gli autoritratti di Rembrandt
Nessun altro artista ci ha lasciato un numero di autoritratti così vasto quanto Rembrandt; il suo volto è noto da almeno trenta acqueforti, dodici disegni e da oltre quaranta dipinti, non commissionati né destinati a facoltosi protettori, ma eseguiti per sé stesso. Uomo di profondissime e complesse riflessioni, Rembrandt si interrogò precocemente anche sul proprio ruolo di pittore, consegnandoci un’immagine sorprendente e di emblematica autoconsapevolezza e di pronunciata individualità. Anche i molteplici e coevi autoritratti in cui Rembrandt si mostra con abiti di fantasia o con costumi storici sono stati interpretati come fiere dichiarazioni di unicità, della raggiunta maturità e indipendenza professionale, nonché della consapevolezza del proprio ruolo sociale. Ispiratosi probabilmente ai ritratti di artisti celebri, modelli diffusi nelle stampe del Cinquecento e significativamente abbigliati con vestiti inconsueti, Rembrandt si raffigurò nel 1629 in abiti militari, mentre in un successivo autoritratto a figura intera egli indossa una tunica di raso lucente legata alla vita da una fusciacca, un mantello e un turbante, sfoggiando, con una mano sul fianco e l’altra sul bastone da passeggio, un portamento solenne e virile. Abbandonati poi lentamente gli atteggiamenti ostentati e i ritratti in costume, dismesse armature, catene d’oro e cappelli piumati che caratterizzano gli autoritratti del quarto e quinto decennio, l’artista cominciò a concentrarsi esclusivamente su se stesso: nell’imponente Autoritratto di Vienna compare con i semplici abiti da lavoro esibendo una posa insolitamente energica, che non rintracceremo più nelle effigie successive. I numerosi ed emozionanti ritratti della maturità e della vecchiaia rivelano infatti una grande intimità e un’indagine introspettiva: lo sguardo penetrante e indagatore lascia talvolta trapelare una malinconica e velata inquietudine, agitazioni verosimilmente riconducibili alle tragiche vicende che segnarono la vita dell’artista dopo il 1656. Nei dipinti successivi egli si ritrae invece in atto di dipingere, con la tavolozza, i pennelli e il reggipolso alla mano, manifestando un intenso raccoglimento ed una massima concentrazione. Quando operava non avrebbe data udienza neanche al primo Monarca del mondo, a cui sarebbe bisognato di tornare e ritornare, finché lo avesse trovato fuori dalla faccenda; un aspetto quest’ultimo che impone una breve considerazione sul suo temperamento scostante, indipendente e anticonformista. I rapporti intrattenuti da Rembrandt con i propri mecenati non furono mai pacifici. I tempi di posa inaccettabilmente lunghi, le numerose proroghe nella consegna delle opere, la talvolta deplorata dissomiglianza dal modello, o la mancanza di decoro di alcuni suoi ritratti compromisero negli anni maturi e della vecchiaia il suo successo presso i contemporanei. Di fatto Rembrandt non fu un artista rapido; egli procedette con estrema lentezza, e questa caratteristica aumentò alla fine degli anni Quaranta, quando la sua tecnica pittorica si indirizzò verso risultati di eccezionale e disinvolta modernità: le superfici terse e luminose che caratterizzano i ritratti degli anni Trenta vennero sostituite da densi strati di colore, stesi a larghi colpi di spatola e spesso elaborati con le dita. La tecnica esecutiva dell’artista lo fa diventare il massimo artefice della pittura materica prima dell’avvento della scuola impressionista. Un artista misterioso, incompreso dai critici del suo tempo, all’avanguardia e anticonformista, insicuro dell’immagine di sé che avrebbe voluto lasciare ai posteri. Noi oggi lo consideriamo un grande rivoluzionario della tecnica pittorica e uno dei primi artisti impegnati ad elevare l’arte non per i loro mecenati, ma per loro stessi.