Alessandro Foggetti
pubblicato 2 anni fa in Cinema e serie tv

“Ascensore per il patibolo” di Louis Malle

Bresson, Hitchcock e il potere della macchina da presa

“Ascensore per il patibolo” di Louis Malle

Io non resisto più. Ti amo.

Inizia con queste parole Ascensore per il patibolo (Ascenseur pour l’échafaud, 1958), pellicola d’esordio di Louis Malle tratta dall’omonimo romanzo di Noël Calef (1956). Un capolavoro del cinema francese che a più di sessant’anni dalla sua uscita nelle sale parigine ha ancora qualcosa da raccontare, con il suo linguaggio moderno e pieno di raffinata suspense.

Se qualcuno leggendo queste prime righe sta pensando al perché oggi si debba guardare Ascensore per il patibolo, la risposta è molto semplice: non ha età. Il linguaggio di Louis Malle è talmente visionario e avvolgente che, anche con il passare del tempo e delle tecnologie, le inquadrature e l’atmosfera ricreata non perdono la loro efficacia. Ma cerchiamo di andare per ordine.

Florence Carala (Jeanne Moreau) e Julien Tavernier (Maurice Ronet) sono una coppia di amanti che decidono di uccidere il marito di lei, Simon, imprenditore di successo e ricco affarista. I due protagonisti architettano un piano apparentemente infallibile, pensando a ogni dettaglio per farlo sembrare un suicidio. Ma quando Julien tenta di lasciare l’edificio in cui ha appena compiuto il delitto, il custode disattiva il contatore generale dell’energia elettrica, bloccando l’ascensore  in cui si trova.

La trama della pellicola è composta da tre vicende che procedono in contemporanea. Nella prima, la macchina da presa segue la vicenda di Julien, rimasto intrappolato nell’ascensore,  che cerca in ogni modo di fuggire da quella trappola metallica. Nell’altra vediamo Florence che per Parigi cerca disperatamente il suo amato – non ha ricevuto sue notizie e inoltre le è parso di vederlo scappare in automobile con un’altra donna. Quest’ultimo passaggio porta alla terza e ultima storia: quella dei due giovani fidanzatini che rubano la macchina di Julien e corrono verso il destino in una rocambolesca fuga d’amore.

Quando realizzai Ascensore per il patibolo scelsi deliberatamente di partire da un libro che era un thriller, consapevole di fare qualcosa che sarebbe stato venduto all’industria cinematografica come un film di serie B. Naturalmente, ero molto ambizioso, e il fatto di lavorare con Roger Nimier, anziché con gli sceneggiatori che mi erano stati raccomandati, rivelava tutte le speranze che riponevo nel film. Adesso, quando rivedo il film, mi rendo conto che riuscii – poiché esisteva una trama, che però era solo una specie di ossatura – a introdurre certi temi che, senza dubbio a livello inconscio, erano per me così importanti da ricomparire in seguito nel mio lavoro (Louis Malle).

Il fatto di aver collaborato per un breve periodo a fianco di Robert Bresson, durante le riprese di Un condannato a morte è fuggito (Un condamné à mort s’est échappé, 1956), ha profondamente inciso sullo stile di Malle, soprattutto nelle scene, e nelle inquadrature, di Julien all’interno dell’ascensore. Il silenzio e l’ambientazione claustrofobica, i dettagli sul volto e i particolari sull’accendino che utilizza il protagonista per fare luce in quello spazio buio rimandano a Fontaine – protagonista della pellicola di Bresson – e a quella suspense costante che lacera lo spettatore, nell’attesa di vedere la scena successiva. Come ammesso dallo stesso Malle, anche il germe cinematografico di Alfred Hitchcock – e i pochi dialoghi che prendendo spunto dallo stile di Jacques Tati – ha dato un apporto fondamentale alla riuscita di questa suspense stilistica. Se lo spazio di movimento per il protagonista è ridotto, di certo lo spazio immaginario dello spettatore diventa quasi infinito: come farà a scappare il protagonista? Arriverà qualcuno a salvarlo?

L’intreccio di queste tre vicende frammentano l’opera e diversificano l’ambientazione parigina. Se per uno dei protagonisti lo spazio è limitato all’ascensore per quanto riguarda Florence e la giovane coppia invece è proprio il girovagare ad attrarre l’attenzione della macchina da presa. Se una coppia è divisa dall’imprevisto, l’altra cerca di cogliere l’attimo senza pensare alle conseguenze.

I due giovani innamorati infatti corrono verso un destino incerto con l’automobile di Julien finché non si fermano in un hotel, dove conoscono un aristocratico tedesco. Da questi presupposti il regista tocca con mano tematiche come la guerra, i contrasti sociali e aggiungere elementi, o meglio tracce, per la risoluzione del caso da parte della polizia. Un cerchio di elementi costituiti dalla causa, dal fatto e dalla conseguenza che alimentano una nuova indagine e si intrecciano a quella principale: l’omicidio di Simon.

In questa panoramica spazio-tempo, il vagare di Florence per la città alla ricerca di Julien, ma soprattutto alla ricerca di sé stessa, è un punto di rottura della narrazione. La sfilata notturna di Jeanne Moreau e la colonna sonora jazz di Miles Davis restituiscono tutta l’inquietudine della protagonista e la poetica cinematografica di Louis Malle.

Una lunga camminata ipnotica, fiera e alienante, dove la macchina da presa segue Florence – mentre parla da sola – con i passanti in secondo piano che la scrutano e la fissano come se stessero vedendo un fantasma. Le luci della viva e notturna Parigi, lo scuotere la testa della protagonista come in preda alla follia e la musica in sottofondo che spezza questi suoi movimenti, le automobili che le sfrecciano vicino mentre attraversa la strada, gli occhi lucidi e lo sfiorare le automobili parcheggiate mentre cerca di trovare quella del suo amato Julien hanno trasformato questa sequenza in una delle più favolose ed emblematiche di tutta la storia del cinema. La melodia dettata dalla tromba di Miles Davis sembra andare quasi in contrapposizione alle immagini, non le enfatizza, crea una sorta di distacco con esse e da origine a una nuova e diversa atmosfera: i pensieri di Florence trafiggono lo spettatore in maniera malinconica e ritmica allo stesso tempo – inutile dirlo ma necessario: grazie anche alla straordinaria interpretazione di Jeanne Moreau.

La musica è sempre presente in Ascensore per il patibolo, ma nel complesso non dura molto, neanche diciotto minuti, che è poco. Ciò che Miles Davis riuscì a fare fu eccezionale, il film si trasformò. Ricordo benissimo com’era senza la musica, ma quando attaccammo il missaggio finale e aggiungemmo la musica, sembrò subito decollare (Louis Malle).

Con la fotografia di Henri Decaë, Ascensore per il patibolo si direziona verso quella nuova ondata del cinema francese, detta appunto Nouvelle vague, che ha tracciato linee indelebili per le future generazioni di cineasti. Un noir che racchiude un elegante esercizio di stile, una panoramica su Parigi e sulla vita borghese della fine degli anni Cinquanta. In questo contesto storico e sociale, Malle ha indirizzato le sue molteplici influenze cinematografiche e realizzato con la sua pellicola d’esordio un’opera moderna e brillante, da vedere e rivedere.