Culturificio
pubblicato 2 anni fa in Di parola in parola

Bellezza – Concetta D’Angeli

ovvero l’altra faccia della gloria

Bellezza – Concetta D’Angeli

La scrittrice Concetta D’Angeli ci parla di bellezza femminile e nel suo ultimo romanzo sovverte il mito, mostrandone i risvolti esiziali


Avrei voluto scrivere un romanzo sulla bellezza femminile.

Da tempo mi chiedo quanto l’appeal fisico incida nel determinare o almeno orientare la psicologia delle donne e anche i loro successi/insuccessi professionali; e non mi posso levare dalla testa (eppure sono passati decenni) la frase brutale di un notissimo, stimatissimo, raffinatissimo (tale veniva considerato), potentissimo docente universitario che, in pieno consiglio di facoltà, interruppe l’intervento di una giovane collega sbraitando, “La Tale non voglio sentirla parlare, è troppo brutta!” Risero (quasi) tutti, come per uno scherzo; del resto, il femminismo era alle prime battute e dominava ovunque il maschilismo più spudorato, che veniva accettato come condizione naturale e spesso veniva condiviso dalle donne. Le quali erano (sono?) le prime a sentirsi in colpa se prive d’un aspetto gradevole: la bellezza rientrava (rientra?) tra i doveri femminili.

Che cos’è insomma la bellezza? Come variano i canoni estetici in rapporto alle culture e ai periodi storici? Chi giudica l’aspetto fisico delle donne? Quanto in tali giudizi interferiscono gl’interessi economici più vari, dalla cosmesi all’abbigliamento al fitness alla dietologia (ce ne sono migliaia)? Hanno fondatezza artistica le misure prescritte nelle elezioni delle Miss? Le domande sul tema sarebbero innumerevoli, a me ne premeva soprattutto una: che cos’è la bellezza quando s’incarna, quando cioè diventa uno degli ingredienti che costituiscono l’identità personale, uno dei più importanti – per le donne forse il più importante – fra quelli che servono a dare una rappresentazione di sé al mondo esterno?

Pensai di rispondere a questa e a qualche altra domanda scrivendo la storia di una donna bellissima, che grazie alle sue attrattive fisiche all’inizio ottiene ricchezza e riconoscimenti; poi non si sa come va a finire perché la storia non l’ho scritta – sebbene, in parte, tale sia stato l’argomento del mio primo romanzo, Tempo fermo. Lì una ragazzina orfana, poverissima, dotata di splendida voce da soprano si trasforma in un’avventuriera disposta a tutto pur di cantare in teatro e raggiunge un successo enorme grazie, sì, al suo talento, ma anche grazie al suo seducente fisico. Io però volevo affrontare il tema dall’interno, volevo cioè mostrare le conseguenze che la bellezza provoca nella psiche della donna che la incarna. Non m’è riuscito di realizzare il mio proposito come l’avevo pensato; tuttavia il mio terzo romanzo, Le rovinose, usa il tema della bellezza come fil rouge, della bellezza rappresenta la gloria e la rovina, ne sottolinea la precarietà e l’inconsistenza se essa non si accompagna alla consapevolezza e, a forza di restare solo sul piano dell’apparenza, non s’aggancia alle dimensioni più profonde della psiche e dell’intelligenza, che è l’unica condizione per diventare una componente importante della personalità. Voglio dire che il trattamento e il riconoscimento e insomma la gestione della bellezza non si possono affidare solo alle mani delle estetiste e dei magnaccia.

Se n’è occupata moltissimo anche la letteratura, è vero, ma il mito della bellezza femminile che ci ha consegnato è costituito da eroine eternamente giovani e perfette, scolpite in una momentaneità che diventa eternità, in una fissità che ne impedisce la degradazione; un mito che, in modi più materiali e tecnici, la chirurgia estetica ha rafforzato e, almeno in potenza, messo alla portata di quasi tutte le donne, anche le meno dotate – purché ricche, s’intende; un mito che, celebrando la perfezione dei corpi e dei volti, dovrebbe sconfiggere il tempo, far dimenticare la morte. Nelle Rovinose ho voluto sovvertirlo e l’ho incarnato in una donna che, per buona parte del romanzo, esiste soprattutto nel ricordo dell’amica che di quella bellezza s’era innamorata e per quella bellezza aveva sofferto; quando la bella donna prende la parola in prima persona è per raccontare la rovina: della sua vita e della sua bellezza. Di un dono tanto mitizzato ho voluto mostrare come possa diventare opprimente per chi lo possiede, condizionante per le sue scelte, soprattutto pericoloso per gli espropri a cui espone chi ne è portatrice: anche Biancaneve rischia di morire per l’invidia delle fate, anche Madre Courage di Brecht sporca di cenere il bel viso della figlia per sottrarla agli stupri di guerra.

D’altra parte non è un caso che l’inizio e il termine delle Rovinose siano ambientati a Siena, città meravigliosa e però immobilizzata nel suo passato, incapace sia di stargli all’altezza sia di tenere il passo con la contemporaneità; una città rarefatta, deprivata di vita, trasformata in preziosissimo museo da ammirare, condannata all’esibizione della sua assoluta, immutata, statica bellezza; fuori dal tempo e perciò salva, imperitura e tuttavia esanime.

La bellezza infine m’interessa perché ha a che fare con l’arte, anche quella che io pratico, fatta di parole, la letteratura, dove lo stile non è di secondaria importanza. Però mi sembra inadeguato definire “bello” un modo di scrivere affascinante, incantevole, ammirevole, ma dove è evidente che lo stile è considerata una faccenda tecnica e l’impegno d’autore si è limitato al piano tecnico. Per me i modi formali diventano bella scrittura se sono strettamente legati, e funzionali, a ciò che vogliono esprimere; solo in questo modo realizzano un’idea di bellezza che non si ferma all’apparenza e non si limita ad agganciare nient’altro che sé stessa.

In questa totalità sta, secondo me, la vera bellezza, che si tratti di donne, di città, di arte. Nel tempo, le componenti che la costituiscono sono state chiamate in tanti modi: forma e contenuto, apparenza e sostanza, materialità e spiritualità… Sono comunque dimensioni antitetiche del nostro essere e non possono essere separate, pena una mancanza irreparabile.


da Le rovinose, Il ramo e la foglia edizioni, Roma 2021 

Quando stavo a Sassetta ero piena d’attese, ogni libro che leggevo, ogni persona che incontravo mi faceva sognare. Però ero anche pigra e irresoluta, se tentavo una strada m’accorgevo dopo pochi passi che era superiore alle mie forze e tornavo indietro, ne pigliavo un’altra e dopo poco la lasciavo, e così via e così via […] franavano tutti i miei tentativi d’occupare un posto preciso nel mondo, a poco a poco mi svuotavo d’illusioni e finii per sentirmi quello che ormai credo di essere: una scatola vuota. Ma presto scoprii qualcosa che mi segnò: la scatola era bella, e attraeva! Majate crasivaja, majate milenkaja, il tesoro mio, la mia bellissima, mi diceva la mamma. La più bella bimbina di Sassetta, mi ripeteva la tata Cesira. Che aspetti a trovarti un marito bella come sei, m’ossessionava il babbo. La Bella Morona mi chiamavano in paese, la Bell’e Grulla qui a Siena […] Conclusi che la bellezza fosse il mio destino e lo accettai, che dovevo fare? Sono bella, punto e basta. O nient’altro che bella, purtroppo. Purtroppo, sì: la bellezza apre molte porte, e altrettante ne chiude. All’inizio approfittai senza scrupolo dei vantaggi, perché sforzarmi e darmi da fare, mi dicevo, se per ottenere quello che voglio mi basta comparire? Sicché cedetti alla mia natura pigra, smisi di percorrere strade e sperimentare possibilità, lasciai perdere progetti e infatuazioni e mi misi in attesa del padrone.


Concetta D’Angeli ha insegnato all’Università di Pisa.  

Come ricercatrice, ha studiato autori e autrici del Novecento (Pasolini, del quale ha curato l’edizione di Amado mio e Atti impuri, Garzanti 1982; Morante, Testori, Simone Weil). Ha scritto Il comico. Contro la morale, la ragione, la morte, Il Mulino 1999 (con Guido Paduano); Leggere Elsa Morante, Carocci 2003; Forme della drammaturgia, UTET 2004. 

Come narratrice, ha pubblicato i romanzi Tempo fermo, Pacini, Pisa 2016; I gatti ci guardano, ivi 2020; Le rovinose, Il ramo e la foglia edizioni, Roma 2021. 


Di parola in parola è una rubrica a cura di Emanuela Monti. Dalla nota introduttiva è possibile scaricare l’archivio della rubrica, uscita fino al 2019 in forma cartacea nella rivista «Qui Libri».