Arianna Fontanot
pubblicato 4 anni fa in Altro

Distanziamento sociale e mancate sepolture: o del perché sarebbe utile leggere l’Antigone in questi giorni

Distanziamento sociale e mancate sepolture: o del perché sarebbe utile leggere l’Antigone in questi giorni

In questi mesi, di concitazione e difficoltà mi è tornato spesso in mente il tragediografo greco Sofocle, nella fattispecie l’Antigone, suppongo per due ragioni. In primo luogo, da un punto di vista tematico, per il fatto che l’esclusione e il “distanziamento sociale” costituiscono la caratteristica fondativa e fondamentale della statura degli eroi sofoclei. In secondo luogo, da un punto di vista storico, sociale e antropologico, per via dell’eccezionalità delle sepolture che si sono purtroppo susseguite nell’ultimo periodo.

Antigone costituisce la tragedia conclusiva delle vicende del “ciclo tebano”, nonché il culmine di una vicenda, quella dei Labdacidi, destinata a una grande fortuna nelle letterature dei secoli successivi, al punto che il filosofo tedesco Hegel le riconobbe il valore paradigmatico di exemplum assoluto. In realtà egli esprimeva il punto di vista dell’intera cultura romantica, che vi individuava il paradigma del conflitto tra le due forze maggiori della storia: famiglia e stato, personificate in Antigone e Creonte, sovrano di Tebe.

La vicenda ha inizio con un discorso di Creonte che commemora la morte di Etèocle e Polinice: i due fratelli si sono uccisi reciprocamente affrontandosi alle porte di Tebe ma, mentre il primo ha combattuto a difesa della città, il secondo ha fatto ritorno dall’esilio per compiere la propria vendetta e riacquisire il potere. Pertanto, decreta Creonte, il primo può avere una sepoltura come si conviene, con rito e onori dedicati, mentre il secondo dev’essere lasciato insepolto alla mercé delle bestie selvatiche.

È a questo punto che entra in scena Antigone: a capo chino e scortata dalle guardie che l’hanno colta sul fatto, deve rispondere ad un’accusa di vera e propria disobbedienza civile, poiché ha preferito onorare la legge di famiglia e disonorare quella dello stato, imposta dal sovrano. Ha deciso di seppellire le spoglie del fratello Polinice contravvenendo all’esplicito divieto del sovrano. La fanciulla viene allora sottoposta a processo ma, a differenza del suo accusatore, non procede ad una requisitoria nei confronti dello stato. Antigone afferma l’incontrovertibile correttezza morale della propria azione che si solleva al di sopra delle leggi umane perché disposta dalle leggi divine.

I due protagonisti si scontrano sul terreno di un’incongruenza semantica: entrambi mantengono come orizzonte concettuale di riferimento il nòmos che, tuttavia, assume una connotazione differente a seconda del punto di vista di ciascuno. Come suggerisce il passo di Hegel già citato – Lezioni sulla filosofia della religione II 3, a – da un lato «l’amore per la famiglia, la santità, l’interiorità», dall’altro l’autorità di governo che deve essere rispettata, pena la morte. Estrema conseguenza di questa incomunicabilità è raggiunta sul finire della vicenda: entrambi rimangono avviluppati nelle spire della propria solitudine e dolore; sul finire del giorno, dopo che Antigone si è tolta la vita, infatti, si compie la profezia dell’indovino Tiresia; la contaminazione ha colpito l’intera città e Creonte, che moglie e figlio hanno abbandonato attraverso il suicidio, si ritrova preda di un’assoluta solitudine.

Creonte e Antigone si ritrovano, dunque, su poli opposti e inconciliabili: questa nella sua scelta di isolamento volontario dalla comunità attraverso l’atto di disobbedienza; quello nella convinzione che la legge dello stato debba essere applicata senza deroghe. La tragedia sembra restituire un senso di angoscia e malessere connesso al fatto che il mondo degli uomini risulta percorso e governato da forze oscure e incontrollabili; è solo nell’esercizio della ragione che l’uomo può raggiungere la pienezza della dignità. Tuttavia, la dimensione raziocinante mortale si sgretola nel momento del confronto con una verità assoluta inesistente, dunque nel confronto con il nulla-vuoto, cui consegue una desolazione totale; contemporaneamente crolla anche un’altra dimensione, ovvero quella comunitaria con cui l’individuo non ha più speranza di identificarsi.

I punti di contatto con l’attualità e con il comune sentire di questo periodo “sospeso”, mi paiono piuttosto riconoscibili. Il motivo è da ricercare, con tutta probabilità, nel fatto che il contesto storico e sociale su cui la tragedia sofoclea s’innesta è di una pervasiva incertezza, destinata ad acuirsi incredibilmente negli anni successivi con l’arrivo della guerra del Peloponneso. Pertanto ritengo che l’Antigone possa offrirci, se non un insegnamento, almeno un conforto in questo momento drammatico –anche se, dato l’immobilismo cui siamo costretti, fatico a definirlo un dramma. Ad ogni modo, così come gli eroi del tragediografo di Colono, anche la società attuale si ritrova ad affrontare una generale esclusione dell’individuo dalla propria comunità di riferimento e, in casi estremi, dalla propria famiglia, con cui non può ricongiungersi nemmeno per celebrare il rito funebre; la sofferenza che ne consegue sembra totalizzante e insormontabile, l’isolamento diviene via via meno tollerabile.

Tuttavia, la vicenda di Antigone insegna, è questo il messaggio sofocleo, che la libertà – che in questo momento agogniamo – non ha senso assoluto e assume tanto più valore quanto più l’individuo s’impegna a conciliare razionalmente i valori propri con le regole generali della comunità. In questo senso Sofocle propone una soluzione al contrasto tra l’azione del singolo, arroccato nel proprio invincibile individualismo, e la struttura di una comunità che, inevitabilmente, viene messa in dubbio.

Sofocle, con sguardo compassionevole, ci ammonisce che l’intera esistenza umana è aggiogata e condotta da forze imperscrutabili, oscure e prevaricanti, causa di sofferenze e contraddizioni insanabili, di verità il cui raggiungimento pare impossibile.

Tuttavia, dinnanzi alla desolazione che questo comporta esiste un’unica, definitiva, soluzione: la scelta della dignità attraverso la ragione. Possiamo scegliere di cedere ad una dimensione istintiva e irrazionale, oppure, dopo aver preso atto dell’insensatezza e dell’ineluttabilità, possiamo ricorrere al dominio di ciò che è in nostro potere, onorando la nostra capacità di raziocinio per il bene comune.

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