Grazia – Elisa Ruotolo
la domatrice del “lato feroce” del mondo
La scrittrice Elisa Ruotolo ci parla di “grazia”, che nella sua opera equivale all’esercizio della comprensione.
Ci sono molte parole che ricorrono con una certa ossessione nella mia scrittura poetica e narrativa. Spesso mi rendo conto di utilizzarle come se stessi tracciando un percorso ben definito, in cui loro diventano il filo a cui mi tengo per evitare di smarrirmi. La scrittura, per me, è spesso il tentativo di trovare un puntello in una realtà senza argini affidabili. Fatico ad abitarlo, questo mondo senza grazia, allora tento ora di ammansirne il lato feroce stondando gli spigoli, ora di aggravarne la visibilità. Attraverso le parole provo a concedermi uno spazio ulteriore, e siccome scrivendo ho un potere che mi manca nel vivere, io costruisco, immagino (quindi permetto che esista) un mondo capace di concedersi alla grazia. Non inseguo utopie, non vado epurando l’evidenza del reale. So che il dolore, la perversione, il male, il bene, la serenità possono essere raccontati senza temere le derive del compiacimento, del voyeurismo o della banalità, solo se si riesce a esercitare la comprensione. Essa, per me, coincide con la grazia. Ogni storia che ho scritto, ogni ipotesi di verso, si è sempre misurata con questo sforzo. Si sta al mondo con questo bisogno e si scrive con la stessa intenzionalità: capire. Eppure molte volte ho pensato che tutto questo fosse terribile, oltre che estremamente difficile. Che persino la santità, più dell’arte, potesse essere alla portata di chiunque. Un dio ti chiede non di capire ma di credere ciecamente, senza verifica, senza riscontro; l’arte – invece – domanda di restare vigili: di tenere gli occhi fermi su Troia mentre brucia. Nel mio ultimo romanzo (Quel luogo a me proibito, Feltrinelli 2021) ho raccontato un microcosmo familiare sgraziato, in cui il controllo esercitato per amore finisce col produrre vite innaturali, mutilate quanto possono esserlo i bonsai. Per descrivere con onestà la mia protagonista ho dovuto incontrarla nei suoi luoghi più inesplorati e nascosti, fino a calarmi in lei come potrebbe fare un minatore. Credo di averla corteggiata (o meglio: covata) per anni, questa donna, ma solo quando ho educato il mio sguardo, solo nel momento in cui ho imparato a comprenderla nella sua nudità (restando al contempo fuori da qualsiasi forma di giudizio o pre-giudizio), ho avuto il diritto di darle voce. Forse per aver trovato il giusto peso di grazia. Essa, non è solo una privata aspirazione, ma anche desiderio di ogni personaggio che ho raccontato. Come se stare al mondo non implicasse l’intromissione in quel perimetro che va desiderato, forse costruito con pazienza, perché non originario.
da Quel luogo a me proibito (Feltrinelli 2021)
La domenica è un giorno come tanti. Un tempo avrei voluto fosse sempre domenica, mentre ora desidero una ferialità eterna, forse perché non so più pregare. L’ho fatto per anni ed era quasi una violenza: ogni domanda lo è, ogni richiesta che costringa il gesto. Pensavo che se un bene potesse venirmi non sarebbe arrivato spontaneamente, ma dall’invito: il miracolo andava preteso, o saremmo rimasti senza grazia. Convinta che le sole forze non bastassero, raccoglievo la mente e domandavo senza ritegno, fossero piccolezze oppure enormità. Posso dire di non essere mai stata ascoltata dagli uomini, tantomeno da Dio, però mi accompagnavano. Stendevo la mano e sentivo che il mio fianco non era libero e la nuca si chinava sotto un peso invisibile. L’occhio degli altri mi seguiva e in quella folla, in quell’ingombro, c’era anche Dio mescolato al pettegolezzo. Dio che nel tempo divenne altro da me, e a un certo punto fu mio padre quando criticava gli amici che portavano la famiglia in vacanza o a divertirsi nel fine settimana; divenne mia madre la volta in cui mi parlò di una ragazza della mia età che aspettava un bambino – senza preoccuparsi di chiarire che questo poteva accadere per eccesso e disordine d’amore, non necessariamente per brutalità. Sarebbe stato anche mia sorella quando teneva il conto degli adulterî del vicinato, senza comprendere la difficoltà del restare fermi nel sentimento che si è giurato. Ecco, mia sorella diventava Dio quando giudicava e castigava usando un’asta di ferro contro un mondo che andava in briciole, e vi andava perché la sua legge era il mutamento, non la fragilità. Io assorbivo ogni pensiero e parola. La mia fede si riduceva a un impegno pronto a guidare il resto, che altrimenti non avrebbe retto. Era qualcosa a cui mi piegavo come in avvenire, davanti a un uomo, mi sarei inchinata ad altro.
Elisa Ruotolo è nata nel 1975 a Santa Maria a Vico (Ce) dove vive tuttora. Con nottetempo ha pubblicato nel 2010 il suo libro d’esordio, la raccolta di racconti Ho rubato la pioggia (Premio Renato Fucini e finalista al Premio Carlo Cocito; tradotto in Francia e Stati Uniti) e nel 2014 il suo primo romanzo Ovunque, proteggici (Selezione Premio Strega 2014 e Finalista al Premio Internazionale Bottari Lattes Grinzane). È del 2018 il suo primo testo per ragazzi intitolato Una grazia di cui disfarsi. Antonia Pozzi, il dono della vita alle parole (edizioni RueBallu), cui fanno seguito, nel 2019, la curatela del volume Mia vita cara. Cento poesie d’amore e silenzio di Antonia Pozzi (Edizioni Interno Poesia), e la raccolta poetica Corpo di pane (edizioni nottetempo). Il suo ultimo romanzo è Quel luogo a me proibito (Feltrinelli, 2021).
Di parola in parola è una rubrica a cura di Emanuela Monti. Dalla nota introduttiva è possibile scaricare l’archivio della rubrica, uscita fino al 2019 in forma cartacea nella rivista «Qui Libri».