Marco Miglionico
pubblicato 8 anni fa in Altro

I culti arborei della Basilicata

persistenza rituale della relazione tra maschile e femminile oltre il Cristianesimo.

I culti arborei della Basilicata

Nell’Uomo non c’è un Corpo distinto dall’Anima; il cosiddetto Corpo
è una parte dell’Anima che i cinque Sensi, maggiori antenne dell’Anima in
questo evo, discernono1

I riti arborei sono una celebrazione piuttosto diffusa soprattutto nell’area meridionale dell’Italia e in alcune zone del Lazio. Generalmente la festa si svolge recuperando i medesimi temi di un repertorio culturale che è mediterraneo prima ancora che italiano.
il-parco-di-gallipoli-cognato-piccole-dolomiti-lucane[1]Nel parco di Gallipoli Cognato (MT), immerso nelle Piccole Dolomiti Lucane, si svolge ancora il rito che porta con sé le radici e i tratti di un paganesimo ancestrale e pre-cristiano. Ad Accettura, comune della provincia materana, come in altri paesi della stessa area, è in uso celebrare la festa del Maggio.
Dedicata a San Giuliano oppure coincidente con la celebrazione di Sant’Antonio da Padova, la festa primaverile parte dal sabato precedente la Pentecoste fino al martedì successivo sulle orme di un antico rito propiziatorio: in paese la Cima, un agrifoglio portato a spalla per 15 km dal bosco di Gallipoli, incontra il Maggio, un cerro di oltre 30 metri che viene trasportato da coppie di buoi. E in paese avviene l’unione, l’unione del maschile e del femminile, la fecondazione. Secondo il folklorista Paolo Toschi, il Maggio sarebbe per etimologia riconducibile alla dea Maja, «una delle più antiche e venerate divinità laziali che Accettura_May_festivalpersonificava il rigerminare della vegetazione al ritorno della primavera, e la fertilità della terra in maggio».
La liturgia del rito è simile ad altre che appartengono al repertorio folkloristico mediterraneo, e nelle quali James Frazer intravedeva il rinnovato spirito fecondatore, animato dalla primavera. Tutto il mondo contadino partecipava e partecipa a quella comune e pànica visione della natura: al Maggio ci si avvicinava con tutto il bestiame o con gli strumenti del proprio lavoro. Nella domenica del Corpus Domini il gran cerro viene buttato a terra con le stesse corde che per giorni lo hanno mantenuto in piedi nel paese. Il lavoro dell’uomo nei campi non è scandito infatti lungo un asse, ma segue un andamento ciclico, laddove vita e morte ovviamente coincidono. Il Maggio diventa allora legna da ardere per il prossimo aspro inverno, quasi la sua vita si possa rinnovare nella combustione, come la fenice.
La persistenza nei riti arborei attuali è la declinazione folkloristica di un’idea più ampia, secondo la quale la coesistenza tra elemento maschile e femminile è nell’anima di tutti. Carl Gustav Jung individuò e definì due parti Carl-Gustav-Jungnella psiche di ciascuno: una componente razionale, il logos, che è maschile; una componente più irrazionale che è in relazione con l’eros, ed è femminile. I due archetipi, rispettivamente chiamati Animus e Anima, fondano l’inconscio collettivo e costituiscono il tema dei miti appunto, delle favole e delle religioni. L’Anima, femminile, aggraziata, feconda come la terra, accogliente come una madre, sacra come una donna; l’Animus, maschile come un seme, forte come un padre, sicuro come un uomo.
Esiste infatti una relazione tra il culto in sé e il tema dell’incontro tra l’elemento maschile e quello femminile che appartiene all’ampio bacino culturale del mondo mediterraneo, tanto da essere preso in considerazione da alcuni antropologi, tra i quali Giovanni Battista Bronzini che al rito dedicò un saggio dal titolo “Accettura: il contadino, l’albero, il santo”, nel 1977. Proprio l’elemento femminile dei riti arborei rimanda a una radice comune che si riscontra nella mitologia di tanti altri popoli del Mediterraneo. Risalgono al Paleolitico le cd. “Veneri”, ovvero statue dai caratteri sessuali evidentemente pronunciati, che rappresentano la femminilità. Generalmente indicata come la“Grande Dea”, la sua figura ha assunto varie accezioni nella storia dei popoli. Il corpo femminile, considerato sacro, esprimeva la visione della Terra come unità vivente. Dalle immagini delle kourotrophos (statue rappresentanti la donna nutrice) hanno probabilmente origine i miti dei parti delle vergini di cui Maria è solo l’ultima manifestazione.
17_maggiodiaccettura-2A un certo punto l’antica sovranità della verginità partenogenetica non venne più tollerata. Zeus, il Re degli Dei, si appropriò della maternità per partorire prima Atena e poi Dioniso. Il potere generativo e creatore, che in origine era attribuito solo alla Dea, diventò esclusività del maschile. Il Dio scacciò la Dea. Prima ancora che l’avvento del Cristianesimo conferisse il potere di creazione all’unico Dio non più attraverso il corpo ma attraverso il Verbo, nella cultura greca il diritto di generare e di creare venne tolto alla donna/madre e venne riconosciuto solo all’uomo/padre. Ciò rese lecito quel che i guerrieri già facevano da tempo: i vincitori s’impadronivano delle fanciulle dei popoli sconfitti rendendole schiave o mogli forzate. Si affermava così il potere del guerriero sul corpo femminile. Quel corpo femminile che dal paleolitico all’età del bronzo era stato onorato e rispettato in quanto origine del mistero della vita e quindi anche del mistero della morte/rinascita e del potere della generazione/fertilità/creatività, per ritornare alla medesima ciclicità che è nei ritmi vitali del contadino. Parallelamente nacquero allora i racconti degli stupri degli Dei, Zeus in testa. Lo stesso Ade con il suo rapimento sancisce il diritto di proprietà su quella divinità femminile che in epoca pre-ellenica era dominante.
Oggi però la festa ha chiaramente abbandonato la patinatura di rito magico, anche perché è stato cristianizzato e ha rinsaldato i valori precedenti con la fede e la devozione. Ha abbandonato e poi condannato la relazione con l’albero della libertà, per quanto i moti risorgimentali in Basilicata trovarono proprio attorno agli alberi e nei boschi luoghi non più sacri, ma essenziali per rinsaldare la comunità contro i soprusi dei Baroni. Eliminate le relazioni con la magia e la storia, si è imposto un efficace valore catartico di socializzazione. Gli abitanti del posto ripropongono ancora il rito perché lo celebravano i propri antenati e nella reiterazione ritrovano e condividono la propria storia, cultura, tradizione: tutto quanto fonda la loro personalità collettiva. La festa di Accettura non è un episodio, ma un momento essenziale, un gesto qualificante l’esperienza umana che recupera così i propri valori. Valori riconducibili a una realtà che del magico conserva l’estraneità dal mondo di oggi, è lontana dall’individualismo esasperato e raggiunge, veicolata dai suoi simboli, una cultura antica e primigenia. E perciò resiste.

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W. BLAKE, The marriage of Heaven and Hell, 1790, trad. it. di G. UNGARETTI