Martina Madia
pubblicato 5 anni fa in Letteratura \ Recensioni

Il denaro e gli interessi

ne L’Amica Geniale di Elena Ferrate

Il denaro e gli interessi

L’amica geniale racconta una realtà ben precisa: quella di un rione napoletano durante il dopoguerra in Italia. Il quartiere è un vero e proprio ecosistema basato su equilibri stabilitisi nel tempo e ora minacciati dalle nuove generazioni che lo abitano. Protagoniste indiscusse della storia Elena Greco e Raffaella Cerullo, soprannominate rispettivamente Lenù e Lila, entrambe figlie di questa quotidianità senza fronzoli e abbellimenti. Intorno alle due protagoniste orbita una molteplicità popolare di personaggi appartenenti alle fasce più umili della società, tutti legati tra loro da rapporti più o meno leciti. Per semplificare, possono essere divisi in due gruppi: il primo formato dalle famiglie Greco, Cerullo, Sarratore, Peluso, Cappuccio e dalla maestra Oliviero. Questi sono coloro che subiscono le leggi non scritte imposte dal secondo gruppo, composto invece da due sole famiglie: quella dei Carracci e quella dei Solara. Al vertice, esterna a ogni tipo di classificazione la figura di don Achille, usuraio iscritto al partito fascista e padrone assoluto del rione.  Don Achille è sempre presente sullo sfondo della narrazione e in grado di influenzare anche dopo la sua morte le dinamiche del rione. Nello stesso modo, c’è soltanto un altro elemento, che con la sua assenza, condiziona le decisioni di ogni personaggio fin dall’infanzia: il denaro.

«La ricchezza, in quell’ultimo anno delle elementari, diventò un nostro chiodo fisso. Ne parlavamo come nei romanzi si parla della ricerca di un tesoro. Dicevamo: quando diventeremo ricche faremo questo, faremo quello. A sentirci, pareva che la ricchezza fosse nascosta in qualche posto del rione, dentro forzieri che una volta aperti mandavano bagliori, e aspettasse solo che noi la trovassimo».

Elena e Lila vogliono diventare ricche per cambiare la situazione economica delle loro famiglie, ma paradossalmente il primo vero contatto che hanno con il denaro contante è legato alla figura di don Achille e alla nascita della loro amicizia. Il furto delle bambole intorno a cui ruota l’inizio del racconto, e per il quale le bambine accusano l’usuraio, rimanda a una serie di letture significative. Per prima cosa, Elena e Lila sospettano di don Achille e decidono di affrontarlo, quindi si sbarazzano del timore referenziale che gli adulti hanno sempre dimostrato nei confronti dell’uomo dimostrando di non avere paura. Inoltre, con i soldi ricevuti da don Achille, invece delle bambole perdute, decidono di acquistare il loro primo libro, Piccole donne, riabilitando il denaro sporco ricevuto e cambiando la loro concezione di ricchezza.

«Poi non so perché, le cose cambiarono e cominciammo ad associare lo studio ai soldi. Pensammo che studiare molto ci avrebbe fatto scrivere libri e che i libri ci avrebbero reso ricche. La ricchezza era sempre un luccicore di monete d’oro chiuse dentro innumerevoli casse, ma per arrivarci bastava studiare e scrivere un libro».

Il denaro diventa improvvisamente qualcosa che può essere guadagnato attraverso le proprie capacità. Non percorre più una strada opposta rispetto a quella dello studio, almeno nella mente delle bambine, ma diventa il fine da raggiungere attraverso l’emancipazione culturale. C’è però un impedimento, poiché i soldi possono essere contemporaneamente mezzo e fine, e Lila imparerà la lezione a sue spese, quando i suoi genitori si rifiuteranno di pagarle le lezioni private per affrontare l’esame di ammissione alle scuole medie. Ancora una volta, la concezione della persona come forza lavoro e non come mente su cui investire per il futuro avrà la meglio. Lila sarà costretta a percorrere la strada già tracciata dal padre e dal fratello, umili artigiani che riparano scarpe per mantenere la famiglia. La genialità di Lila consisterà però nel modo in cui, ancora una volta costretta ad accettare la realtà, trasformerà una rinuncia in una nuova occasione di distinguersi. Infatti, si butterà con dedizione nel progetto ambizioso di creare delle scarpe completamente disegnate da lei, scontrandosi con il rifiuto del padre.

«Fare le scarpe a mano» le diceva, «è un’arte senza futuro: oggi ci stanno le macchine e le macchine costano soldi e i soldi o stanno in banca o dagli usurai, non nelle tasche della famiglia Cerullo».

I soldi non si guadagnano con i mestieri artigianali che appartengono al passato, ma con le macchine e la modernità, un mondo nuovo nel quale non c’è spazio per lunghi tempi di lavorazione e cura dei particolari. A questa logica dominante ben radicalizzata negli adulti non si piegheranno Lila e il fratello Gennaro, dando alla luce il primo paio di scarpe con marchio Cerullo, a insaputa del padre. 

La morte di don Achille, assassinato nella sua casa in un giorno di agosto, chiude la parte del romanzo dedicata all’infanzia di Elena e Lila. È accusato dell’uccisione Alfredo Peluso: il falegname, oramai rimasto senza bottega, era l’unico che nel rione esternava in pubblico il suo odio per don Achille senza paura, probabilmente perché non aveva più nulla da perdere a causa del gioco. Negli anni successivi, durante i quali Elena frequenta la scuola media e Lila si interessa di scarpe e latino, le cose nel rione cambiano a poco a poco. Il bar della famiglia Solara si amplia diventando una fornita pasticceria, e Michele e Marcello, figli di Silvio Solara, fanno sfoggio delle loro ricchezze. Quello che avviene è un vero e proprio spostamento del denaro: i Solara riempiono il vuoto lasciato da don Achille e si sostituiscono all’istituzione illegale che era venuta a mancare, diventando i nuovi usurai del rione. 

«Lo sai perché i fratelli Solara si credono di essere i padroni del rione?».

«Perché sono prepotenti».

«No, perché hanno i soldi».

La differenza sostanziale, che si può notare a quest’altezza del romanzo, è che le protagoniste ora riescono a comprendere i meccanismi interni al quartiere e non sono più vittime di un prima ignoto che incomprensibilmente faceva temere don Achille a tutti. Adesso, Elena e Lila, come anche gli altri giovani, comprendono da cosa deriva la spavalderia dei figli di Marcello Solara, manifestatasi con l’arrivo delle macchine nuove e un’attività di famiglia più grande. Il denaro rappresenta quindi la giustificazione massima di ogni azione, quella che comanda è la legge del più forte economicamente. 

«Di conseguenza, o facevamo i soldi anche noi, più dei Solara, o per difenderci dai due fratelli bisogna fargli molto male.»

Ancora una volta, la violenza sembra essere l’unica risposta possibile ai soprusi generati dal denaro. La giustizia si può realizzare soltanto con la violenza: è questo l’insegnamento massimo appreso da Elena e Lila, così Peluso si era riscattato uccidendo don Achille. Da questa uccisione nasce, almeno in apparenza, la volontà di rivalsa della famiglia Carracci. Dopo la morte del capo famiglia, i Carracci aprono una nuova attività e si distanziano dagli affari sporchi di cui avevano vissuto fino ad allora. Soprattutto, il figlio maggiore Stefano si impegna ad allontanare il fantasma del padre dalla sua immagine con modi cordiali e affabili nei confronti di tutti, per essere reintegrato in fretta nella collettività. Tuttavia, questa si dimostrerà essere soltanto una manovra ben studiata per spostare la disapprovazione del rione nei confronti dei Solara, nuovi rappresentanti del male.

La ricchezza concreta e i modi affabili di Stefano fanno dimenticare a Lila tutto ciò che sa sulla sua famiglia e sui traffici illeciti del padre defunto. Improvvisamente, Stefano diventa soltanto colui che vuole aiutarla a realizzare il suo sogno, creare una linea di scarpe firmata Cerullo, e in più vuole sposarla. 

«È ricco» le dissi infine. Ma già mentre dicevo quella frase mi resi conto di come si stava ulteriormente modificando la ricchezza sognata da bambine. I forzieri pieni di monete d’oro che una processione di servi avrebbe depositato nel nostro castello quando avremmo pubblicato un libro come Piccole donne erano definitivamente sbiaditi. Il tratto fondamentale che ormai stava prevalendo era la concretezza, il gesto quotidiano, la trattativa.»

Elena e Lila avvertono un’ulteriore trasformazione della ricchezza ai loro occhi, non più da raggiungere con lo studio e un libro da scrivere, ma da associare a qualcun’altro: qualcuno fatto di carne, ossa e attività commerciali. Stefano rappresenta i soldi veri, quelli concreti che tutti bramano, e promette di trasformarli nei sogni della ragazza. Quando per Lila è il momento di scegliere tra i suoi pretendenti, non ha dubbi. Sul fronte opposto, c’è Marcello Solara che fa sfoggio del suo denaro per averla. Quest’ultimo rappresenta al meglio l’uomo che si è arricchito e che può essere rispettato soltanto in funzione della ricchezza che ostenta. Ma, mentre Marcello tratta la ragazza come una delle tante macchine che può permettersi, Stefano, in maniera più furba e subdola, acquista il suo sogno per arrivare a lei. In entrambi i casi assistiamo a dei tentativi, neanche troppo velati, di comprare l’amore di Lila. A questo punto, al cambiamento della concezione di ricchezza segue anche una trasformazione del personaggio stesso di Lila. Colei che ancora bambina aveva sfidato don Achille accusandolo di furto, e che crescendo aveva voluto comprendere tutti i meccanismi illeciti che si nascondevano dietro la borsa nera dell’usuraio, adesso sposa un componente di quella stessa famiglia e di conseguenza anche i suoi soldi.

Attraverso il punto di vista di Elena, si avverte tutta la disapprovazione del rione nei confronti di questo matrimonio di convenienza: Lila desidera sistemare economicamente la sua famiglia e si è venduta per farlo. 

«Cioè tu stai dicendo che Lina non si è innamorata, non s’è fidanzata, non si sposerà presto con Stefano, ma si è venduta?»

Pasquale disse cupo:

«Sì, si è venduta. E se n’è fottuta della puzza dei soldi che ogni giorno spende.»

Il giudizio negativo del rione rappresenta soltanto una delle letture che si possono e si devono dare all’epilogo del romanzo. L’autrice condanna, dando voce ai pensieri di Pasquale e degli altri amici di infanzia, la scelta di Lila ma, allo stesso tempo, la giustifica facendo emergere la speranza della ragazza di poter vivere una vita felice che la allontani dalla povertà e dall’insoddisfazione. La scrittrice non si schiera in alcun modo ma dà voce a tutti i valori in campo, filtrandoli attraverso il punto di vista di Elena. Il tradimento che Lila sta compiendo nei confronti del quartiere, in realtà rappresenta soprattutto il tradimento dei suoi ideali. Le critiche espresse dagli altri non fanno altro che dare voce alla Lila del passato, e mettono sulla scena un enorme conflitto fatto di sentimenti e interessi. È evidente, nelle ultime pagine del racconto, la lotta interiore che Lila sta vivendo, soprattutto quando scopre che Stefano ha scelto come suo compare di fazzoletto proprio Marcello Solara. Ancora una volta, è Elena a mostrarle tutte le sfumature presenti nel nero dei suoi pensieri e a convincerla che a volte bisogna scendere a compromessi. Elena rappresenta il ponte di collegamento tra il rione e tutto il resto del mondo, lei che durante il ricevimento dell’amica teme che la realtà del rione fatta di denaro ostentato e risate sguaiate l’abbia contaminata per sempre. Alla fine, Lila si lascia convincere, vuole che la realtà sia diversa da quella che lei crede e nasconde sotto al tappeto le paure e i dubbi. Ma, purtroppo, i fatti le dimostreranno quanto questi ultimi fossero fondati nel momento in cui, durante il ricevimento, abbracciata al marito vedrà entrare Marcello Solara con ai piedi il primo paio di scarpe fatto da lei e acquistato da Stefano come pegno d’amore.

Sarà quello il momento in cui capirà che quell’unione, come tutto il resto, era soltanto una questione di soldi.