Giulia Mattioni
pubblicato 8 anni fa in Arte

La bellezza della caricatura

Brutto ma bello. Un cambiamento di prospettiva.

La bellezza della caricatura

Chiunque di noi sarebbe disposto a farsi eseguire un ritratto quanto più verosimile possibile, magari da un buon artista, ma quanti di noi sarebbero disposti a farsi fare una caricatura?
La caricatura effettivamente è quel ramo delle arti figurative che tende ad “esagerare” a “caricare” appunto tutte quelle caratteristiche fisiche, ma anche psicologiche che fortunatamente ci rendono unici. Ciò che facciamo nella realtà, nella maggior parte dei casi, è di nascondere o quantomeno mascherare i nostri difetti, esattamente l’ opposto di ciò che fa la caricatura, in quanto tende a metterli in risalto. È stato dimostrato che identifichiamo una buona caricatura più rapidamente di un disegno lineare e preciso. Questo perché tendiamo a memorizzare particolari fisici delle persone, accentuati nella caricatura, ma non nel ritratto realistico.
Spunti caricaturali ci provengono dagli antichi Egizi, dai Babilonesi, dai Greci, come i “vasi fliacici”, che raffiguravano singoli personaggi o intere scene tratti dal repertorio delle commedie fliaciche, si tratta di rappresentazioni comiche di carattere popolare a sfondo caricaturale. Anche a Roma non mancarono elementi caricaturali a volte blasfemi, come la “testa asinina del Palatino” del III secolo d.C, un graffito che mostra un crocifisso con testa di asino con la scritta “ Alexamenos sebete theon” cioè “Alexamenos adora il suo dio”, probabilmente l’autore del disegno si prende gioco di un cristiano, Alexamenos, che prega un dio con testa asinina. Ma questa non era comunque arte ufficiale.

Leonardo da Vinci

Leonardo da Vinci

Nel Medioevo si diffuse il gusto del mostruoso, dell’orrido e del deforme, le scene pittoriche e le sculture di questo periodo sono piene di personaggi deformati in modo caricaturale, ma non si tratta di persone realmente esistenti ma perlopiù di allegorie di vizi e di peccati, di decorazioni scultoree, comunque frutto di fantasia.
Con Leonardo da Vinci abbiamo invece la volontà di rappresentare la “bruttezza”, la “deformità”, “l’imperfezione”. Nelle sue “Teste grottesche” ci dimostra tutta la sua abilità disegnativa. Queste “ teste grottesche” sono disegnate da Leonardo in contemporanea alla creazione dell’ ”Ultima cena”, infatti lo studio delle espressioni e l’esercitazione su queste nelle sue caricature fu determinante per quest’opera poiché l’affresco risultò innovativa proprio per la grande espressività dei personaggi . Tra le sue teste grottesche vediamo anche le caricature di Dante, Petrarca e Boccaccio.
È interessante notare come tanti degli artisti del passato, parallelamente alla produzione ufficiale, non disdegnassero una produzione privata, a mo’ d’esercitazione, in cui misero in risalto non la bellezza, ma la bruttezza, l’imperfezione, rappresentata sotto forma di caricatura.
Anche i Carracci furono dei cultori di questo genere, nelle loro pause dagli incarichi ufficiali, disegnavano i loro “ ritratti carichi”. Proprio i Carracci, famosi per i loro affreschi nella Galleria Farnese, uno dei simboli del Rinascimento italiano. Anche Guercino, Domenichino, Crespi alternavano al classicismo per le committenze questo gusto per il caricaturale.

Gian Lorenzo Bernini

Gian Lorenzo Bernini

La lista sarebbe ancora lunga, ma particolare attenzione va rivolta al Bernini, emblema del Brocco romano, che dimostra nei suoi schizzi (Biblioteca Apostolica Vaticana) un incredibile abilità di sintesi grafica , grazie alla quale riuscì a mettere in risalto caratteristiche fisionomiche e psicologiche dei suoi personaggi, riuscì a catturarne l’essenza rendendoli quindi riconoscibili. Famosa è la caricatura del Cardinale Scipione Borghese, rappresentato in un disegno esageratamente magro,scheletrico e malato, in contrapposizione al ritratto ufficiale che eseguì probabilmente in contemporanea.
Piranesi, personaggio visionario e in controtendenza, ostile all’accademismo e al filone neoclassico che seguendo le teorie di Winckellmann sosteneva che l’ideale di bellezza fosse solo quello raggiunto dai greci, affermò che quando vedeva uno storpio per strada gli pareva di aver visto un Apollo del Belvedere e correva subito a disegnarlo a dimostrazione del fatto che oltre alla bellezza anche la bruttezza ha una sua dignità di rappresentazione.