Serie tv e letteratura: una storia infinita
Turn around
Look at what you see
In her face
The mirror of your dreamsMake believe I’m everywhere
Given in the light
Written on the pages
Is the answer to a never ending story
Never Ending Story, il brano tratto dall’omonimo film degli anni Ottanta e ritornato in auge grazie all’altrettanto iconica scena della terza stagione di Stranger Things, esprime perfettamente quel rapporto tra letteratura e serie tv fatto di riflessi e continue contaminazioni analizzato da Gian Mario Anselmi nel suo White Mirror. Le Serie TV nello specchio della letteratura (Salerno Editrice, 2022).
L’autore ripercorre la relazione tra queste due forme d’arte e d’intrattenimento, una lunga storia forse destinata davvero a durare in eterno, soprattutto in una società sempre più crossmediale in cui c’è un dialogo costante tra parola scritta, immagini, musica, social.
Tutto è legato alla natura dell’uomo, definito da Anselmi un eterno bambino, o homo ludens,riprendendo l’espressione dello storico Huizinga. Abbiamo bisogno di viaggiare con la fantasia «non per mera evasione ma all’opposto per ansia di libertà, per poter riaffermare il nostro diritto al sogno, all’utopia, alla memoria».
I miti e le leggende di fondazione dimostrano questo nostro desiderio che ci accompagna dalla notte dei tempi: conoscere dove tutto ha inizio, cercando talvolta di rispondere alle domande del presente. Una smania che continua ancora oggi e ci porta in epoche lontane, come dimostra il successo dei romanzi di Madeline Miller, La canzone di Achille e Circe, che grazie all’eco social hanno avuto vasta risonanza tra i più giovani, e che si riflette nella serialità televisiva anche in produzioni nostrane come Romulus.
Un racconto del passato che trova soprattutto nel Medioevo un’inesauribile fonte. Un periodo caratterizzato da contrasti, a cui lettori e spettatori si sentono vicini, e ricco di storie che hanno alimentano il genere fantasy e le sue relative trasposizioni, come Games of Thrones o la recente serie tratta dal capolavoro di Tolkien, Il Signore degli Anelli – Gli anelli del potere, tra quelle più celebri.
A proposito di testi antichi e fondanti, non è un caso che sia proprio il Vangelo a ispirare la trama dell’ultima stagione di Boris, che dopo anni ritorna a raccontare il dietro le quinte di un set (molto) italiano alle prese con i nuovi modi di fare televisione. L’avvento dello streaming, la centralità della promozione sui social, il famigerato algoritmo che impone l’applicazione di alcuni topoi narrativi, tra le ormai immancabili storie d’amore teen e un cast che rispetti i criteri di diversity e inclusion.
Dietro questa estremizzazione caricaturale si intravedono alcune caratteristiche proprie della serialità evidenziate anche da Anselmi, che sottolinea come la televisione abbia permesso di avere personaggi sempre più diversificati, privilegiando protagoniste femminili e, negli ultimi tempi, anche membri della comunità queer.
Tutto questo nel caso di Boris si mescola a una narrazione dalle radici antiche e consolidate, soprattutto all’interno della tradizione di un Paese come l’Italia. E così anche la vita di Gesù si ritrova a essere riletta parodisticamente secondo i criteri moderni sopracitati.
Una reinterpretazione del passato e dei classici spesso, ma non soltanto, in chiave ironica, tipica della contemporaneità, che ripesca trame antiche in cui in qualche modo ci si continua a rispecchiare. Storie ancestrali che riportiamo alla luce nella nostra ricerca di risposte alle domande di sempre, nella speranza che possano dirci qualcosa di nuovo.
Del resto, l’arte di raccontare storie e il piacere di ascoltarle fanno parte della nostra essenza oggi più che mai. «Narro per vivere, non vivo più per narrare», ci ricorda Anselmi, e per poter godere di questo bisogno troviamo mezzi sempre diversi, che coesistono e sono intrinsecamente connessi.
Da una parte i contenuti snackable di social come TikTok, brevi pillole che ci intrattengono per qualche decina di secondi, dall’altra narrazioni letterarie e televisive che si dilatano sempre di più.
Tornando a Stranger Things, è emblematica in tal senso l’ultima stagione, che aumenta sensibilmente la durata delle puntate fino a farle assomigliare a film, anche piuttosto lunghi, come per le quasi due ore e mezza del finale.
Un’estensione che di per sé porta alle estreme conseguenze la natura stessa delle serie tv, che possono approfondire la narrazione lungo il corso di vari episodi e stagioni, riprendendo una struttura tipicamente letteraria, con una divisione in capitoli caratteristica del racconto seriale dei romanzi d’appendice ottocenteschi.
Un modo di esplorare nuovi universi narrativi che a sua volta ha influenzato il cinema, con l’aumento nell’uso dei cliffhanger e il proliferare di saghe.
Tutto questo deriva da un bisogno famelico di storie che durino il più possibile, tenendoci compagnia non soltanto per mesi ma anni.
A fornire ispirazione per le trame è stata da sempre la letteratura, che diventa importante nella creazione stessa alle serie tv grazie alla centralità delle sceneggiature, a cui in alcuni casi collaborano scrittori, sia per le serie tratte dai propri libri, sia per le nuove.
Ciò sembra riaffermare il primato della parola e l’efficacia di regole narrative che hanno una storia antica e comprovata.
Non a caso le prime serie tv andate in onda erano principalmente la trasposizione di grandi romanzi della letteratura, una tendenza che, come spiega Anselmi, in Italia è legata anche all’intento educativo attribuito alla televisione, che riprendeva i classici facendo affidamento per la regia a maestri del cinema o del teatro.
Ancora oggi, alcuni dei racconti tv di grande successo derivano dai più amati bestseller contemporanei: basti pensare, tra le opere non ancora menzionate, al successo internazionale, letterario e televisivo, della tetralogia de L’amica geniale, di Gomorra o di The Handmaid’s Tale.
Prodotti di qualità che cercano di porre fine a quell’odioso cliché per cui «è sempre meglio il libro».
Questo narrare per immagini, inoltre, trova nuova linfa da forme di letteratura come le graphic novel,delle quali Anselmi cita Strappare lungo i borghi di Zerocalcare. Un caso particolare perché non si tratta della trasposizione di un fumetto, ma di un racconto nuovo dove sono ben riconoscibili le tematiche care all’autore e la sua cifra stilistica, come sottolinea la scelta di fargli doppiare tutti i personaggi con il suo inconfondibile accento romanesco.
Spostando il nostro sguardo a livello globale, incredibile poi la fanbase su cui possono contare i fumetti nati dalla casa editrice Marvel. Dapprima con film suddivisi in saghe decennali, che richiamavano una natura seriale, e adesso con l’avvento della piattaforma Disney+, trovano ulteriori spinte produttive con il lancio di nuove serie tv, che si intrecciano e mescolano alla narrazione già affermata, continuando a espandere universi narrativi sempre più complessi.
Un bisogno di eroi e di fantascienza che si affianca e contrappone al gusto per narrazioni che invece rispecchiano crudamente la realtà, soprattutto quella più oscura; è il caso di docuserie come SanPa, Vatican Girl o Wanna. Fatti di cronaca radicati nella cultura di massa che mostrano un riflesso della società in cui sono avvenuti, attirando la curiosità degli spettatori alla ricerca dei retroscena e del dietro le quinte di quelle che altrimenti sarebbero rimaste notizie del TG.
Una tendenza che trova grandi appassionati anche nei racconti di serial killer – emblematico il seguito ottenuto da Elisa True Crime, che con i suoi video ha conquistato un pubblico vasto ed è arrivata a collaborare con Netflix nella creazione di contenuti per il canale YouTube della piattaforma, approfondendo le storie delle serie tv.
Questo genere, nota Anselmi, deriva da quella tendenza alla biografia e all’autobiografia che è alla base dello storytelling social di cui la maggior parte di noi fa parte. Un racconto della “realtà” che rielabora il “vero” per riconfezionarlo tramite strutture e tecniche narrative ben collaudate.
A volte sono anche le opere in versi a essere d’ispirazione. L’immaginario sanguinolento della Commedia ha influenzato tanta serialità legata all’horror e al thriller, a cui l’autore del saggio dedica uno dei capitoli finali.
Tornando invece alla contemporaneità, il libro di poesie Dolore minimo (Interlinea, 2018) della scrittrice Giovanna Cristina Vivinetto, per esempio, è diventato lo spunto, combinato a un genere di largo successo qual è appunto il racconto di formazione, per parlare di temi come l’identità e le sue infinite sfumature in una delle serie tv italiane più riuscite di Prime Video, Prisma.
Altre volte, la letteratura è spunto anche per raccontare storie di scrittori e scrittrici, come nel caso della serie di Apple TV+ su Emily Dickinson, che rielabora la vita della poeta in chiave teen e moderna, soprattutto nella scelta della colonna sonora.
Quello tra letteratura e serialità televisiva è dunque una storia di contaminazioni reciproche: non soltanto le serie sono debitrici della parola scritta nella riproposizione di topoi, tecniche e generi, ma anche i romanzi si ispirano alle nuove forme di narrazione per raccontare storie in modo diverso.
Prendendo in prestito le riflessioni di Anselmi, attraverso la narrazione sveliamo quello che si cela dentro il nostro profondo, a cui cerchiamo di dare una voce e una forma, e ciò che è fuori di noi. Un’attività che ci permette di attribuire un senso alla vita, o almeno provarci, ma soprattutto di essere liberi, in questo viaggio continuo verso un altrove che ci rende tutti degli eterni Ulisse.