“Una donna promettente”

una vendetta dai toni pastello

“Una donna promettente”

“Essere accusato così è il peggior incubo di ogni uomo”.

“Sai qual è l’incubo peggiore di ogni donna?”

Prodotto da LuckyChap Entertainment, società fondata tra gli altri da Margot Robbie, Una donna promettente (2020) è stato candidato a cinque premi Oscar, vincendo quello per la miglior sceneggiatura originale.

Il film ha avuto una tormentata vicenda distributiva, soprattutto in Italia, dovuta ai rimandi causati sia dalla chiusura dei cinema sia al doppiaggio dell’attrice transgender Laverne Cox, a cui era stata associata una voce maschile. In seguito alle polemiche che questa scelta ha giustamente suscitato, la doppiatrice è stata cambiata e dopo più di un anno di attesa è arrivata anche da noi la pellicola che segna l’esordio alla regia di Emerald Fennell, nota per aver interpretato Camilla in The Crown (2016) e per essere tra le sceneggiatrici e produttrici di Killing Eve (2018).

La protagonista è Cassie, una ragazza che ha subito un trauma e più che vendetta cerca la redenzione. Si reca nei locali da sola fingendosi ubriaca, quasi priva di coscienza, e aspetta che un “bravo ragazzo” le si avvicini offrendole il suo aiuto. Peccato che dopo poco tempo si rivelino mossi da tutt’altro che buone intenzioni. È allora che li smaschera mettendoli di fronte alla loro meschinità. Il motivo di tutto questo è legato a una violenza subita, anni prima, dalla sua migliore amica Nina.

Il film risulta spiazzante, ma in maniera diversa da come ci si potrebbe comunque aspettare. Non si tratta di un tipico revenge movie che trova nell’uso della violenza una catarsi per la vittima.

Davanti a scene che fanno presagire il peggio lo spettatore rimane colpito da reazioni che spesso disilludono quel crescendo di ansia e voglia di vendetta.

La caratteristica principale di Una donna promettente sta proprio nel suo voler mostrare come sotto certe apparenze si possa nascondere qualcosa di completamente diverso.

Ciò riguarda sia la protagonista sia i ragazzi che incontra, interpretati da attori legati a un immaginario comico o romantico, come lo stand-up comedian Bo Burnham o Adam Brody, uno dei protagonisti del celebre teen drama The O. C. (2003-2007).

Tale scelta disturbante vuole rovesciare lo stereotipo che lega le scene di violenza all’idea di sconosciuti dall’aria minacciosa che sbucano dal nulla svelandosi da subito per ciò che sono. A volte, invece, è proprio dietro a un volto rassicurante che si celano uomini che approfittano di determinate circostanze per dare libero sfogo a un altro lato della propria personalità. Nonostante possa sembrare un ragionamento banale, non lo è affatto. Basti pensare a cosa succede quando viene accusato un personaggio noto e amato, come un attore o un regista di talento: l’opinione pubblica si dimostra restia a credere alla vittima ed è pronta a prendere le difese dell’uomo, preoccupata di salvaguardare la sua carriera.

Ed è questo il tema centrale di Una donna promettente, come sottolineato dal titolo e dalla stessa regista e sceneggiatrice in un’intervista:

I think that Promising Young Woman, for me, was always about allegiances and who you trust and to whom you’re willing to give the benefit of the doubt.

Anche Cassie indossa una maschera, fatta di smalti colorati, vestiti dalle stampe floreali, capelli biondi raccolti in una treccia che le conferisce un’area infantile, quasi principesca e forse un po’ ingenua. È una ragazza carina che lavora in una caffetteria, quella con cui è facile provarci, almeno finché non ti sputa nel bicchiere rivelando che i suoi modi non sono né dolci né accomodanti.

La sua vendetta passa proprio attraverso l’utilizzo di una serie di stereotipi, come l’infermiera sexy da invitare all’addio al celibato, o la ragazza in pericolo che ha bisogno di essere tratta in salvo da un principe azzurro (letteralmente, come evidenziano anche i vestiti) che però si dimostra un carnefice.

La reazione di molti uomini quando scoprono che in realtà non è ubriaca e Cassie comincia a metterli di fronte alle loro colpe, nella maggior parte dei casi è stizzita, se non arrabbiata. Si comportano in maniera grottesca e infantile, non accettano di essere accusati di essere dei predatori, affermano con fermezza di non essere persone violente. Questo atteggiamento evidenzia quanto siano normalizzati certi comportamenti, tanto che chi li compie non associa sé stesso a una cattiva persona e di conseguenza molto raramente è disposto a chiedere perdono.

Sempre Emerald Fennell ci tiene a precisare:

For me, in the movie and I think in life, forgiveness is, I hope, always available to those who ask for it. But no one asks for it [in the movie], except for one person.

A ciò si aggiunge l’omertà del branco che protegge l’aggressore. La protagonista è consapevole che tutto ciò è reso possibile non soltanto a causa di singoli individui, ma è un intero sistema che va punito. Sa anche che la vendetta fine a sé stessa non cambierà nulla, vuole innanzitutto che gli uomini si prendano la responsabilità delle loro azioni e del male che hanno causato, o che avrebbero potuto fare. Non tollera giustificazioni.

Il film attinge a una simbologia di carattere mitico-religioso. Il nome della protagonista, Cassandra, rinvia al celebre personaggio della mitologia greca, la profetessa condannata da Apollo, a cui non si era voluta concedere, a predire sciagure destinate a rimanere inascoltate. Un parallelismo con le tante donne vittime di violenza ma che non vengono credute.          

Sono presenti anche elementi legati all’iconografia cristiana. In un’inquadratura Cassie sembra avere attorno al capo un’aureola, in altre il mobilio alle sue spalle crea l’effetto di un paio d’ali che la fanno assomigliare a una sorta di angelo vendicatore, o infine alcune posture mentre finge di essere ubriaca ricordano l’immagine di un Cristo crocifisso, una vittima sacrificale appunto.

La storia si divide in quattro atti, ognuno dedicato alla ricerca di qualcuno legato alla violenza accaduta anni prima: gli altri ragazzi che non hanno creduto a Nina, anzi l’hanno colpevolizzata, come la compagna di corso; coloro che hanno potere ma non hanno fatto nulla, come la rettrice dell’università; il sistema giudiziario che ha trasformato la vittima in imputato grazie alle “prove” raccolte dall’avvocato della difesa; e per ultimo lo stupratore.

Una donna promettente mostra bene due meccanismi molto diffusi quando si parla di violenza: il victim blaming e la deresponsabilizzazione del colpevole.

Spesso si sentono frasi come “sei tu che ti sei messa in pericolo, hai bevuto troppo”; “avevi un atteggiamento ambiguo, provocante, se non ti fossi comportata così non sarebbe successo nulla”; “ti sei resa vulnerabile è normale che qualcuno si sia approfittato di te”; “sei stata tu la causa della tua rovina, prima lo volevi ma poi ti sei pentita”. E ancora: “loro erano soltanto dei ragazzini, non vanno puniti troppo severamente, non puoi rovinare la loro vita e il loro futuro per un errore”.

In alcuni casi le azioni del colpevole vengono minimizzate perché non ha agito facendo ricorso a una violenza bruta. Come se insistere e ignorare la mancanza di consenso dell’altra persona, pur di ottenere ciò si vuole, sia considerato accettabile.

Tutti non fanno altro che ripetere che sono “bravi ragazzi”, hanno tutta la vita davanti, una carriera brillante che li aspetta, e a nessuno invece sembra importare che hanno rovinato il futuro di giovani donne, altrettanto se non più brillanti e promettenti di loro.

Ci si preoccupa più di salvaguardare i carnefici, mentre il destino delle vittime non desta la stessa apprensione. In questo caso sono due le ragazze che sono state segnate dalla violenza, non soltanto chi l’ha subita ma anche Cassie che ha abbandonato gli studi insieme alla sua migliore amica per aiutarla durante un periodo buio, in cui al dolore per lo stupro si aggiungeva la mancanza di appoggio da parte degli amici. Costrette a convivere con quello che è successo: anni dopo quasi nessuno sembra ricordarsi più di loro.

Cassie era una donna promettente, una studentessa modello che avrebbe fatto carriera diventando un medico, ma è rimasta ancorata al trauma, al senso di colpa per quello che avrebbe potuto fare e non ha fatto. Una vita di possibilità che non si sono mai realizzate, mentre i colpevoli sono andati avanti, hanno ottenuto la vita che sognavano, senza nessuna conseguenza e nemmeno rimorso. Soltanto la protagonista sembra ancora interessata a ottenere una qualche forma di giustizia.

Una donna promettente inizialmente sembra collocarsi a metà tra il thriller e la classica commedia romantica, con tutti gli stereotipi del caso, una protagonista dai tratti delicati e dal look zuccheroso, con le unghie dai toni pastello – su cui più volte si sofferma la macchina da presa – e spesso una caramella tra i denti.

La divisione in quattro parti, però, sottolinea la mancanza di organicità nella struttura complessiva della sceneggiatura. Manca una costruzione delle scene che permetta di arrivare in maniera graduale, più spontanea e naturale, al punto che si vuole analizzare. Alcuni momenti della storia si susseguono per mostrare determinate dinamiche, risultando artificiosi.

Anche i personaggi incontrati nei veri atti diventano il simbolo di certi comportamenti, funzionali esclusivamente a dimostrare una tesi che seppur giusta, ovviamente, rischia di essere presentata in maniera schematica. Per riprendere l’immaginario utilizzato dal film, la sensazione a volte è quella di una caramella dall’aspetto invitante ma artificiale che lascia un retrogusto eccessivamente stucchevole.

L’intento del film è chiaro, e lodevole, ma fin troppo esplicitato. Emerald Fennell ha scritto e diretto una pellicola che spiega cosa significa vivere in una società dove vige la cultura dello stupro, in cui le donne vittime vengono colpevolizzate e gli uomini colpevoli vittimizzati.

Purtroppo, però, l’elemento didascalico che mostra allo spettatore la tossicità di alcuni atteggiamenti più volte rischia di prevaricare sulla scorrevolezza della narrazione. Mentre la colonna sonora e un’estetica ammiccante donano potenza al film.

A tal proposito, in uno dei momenti di maggior tensione a fare da sottofondo alla protagonista che si prepara per la sua vendetta finale è proprio un riarrangiamento del celebre brano di Britney Spears, Toxic. A questa scena si contrappone la scena romantica in cui il personaggio di Cassie e quello interpretato da Bo Burnham cantano insieme Stars are Blind di Paris Hilton. Un contrasto che ben rappresenta la duplice anima di Una donna promettente.

Non si tratta degli unici brani pop presenti nella colonna sonora, al contrario sono molte le canzoni di artiste che accompagnano le scene clou rendendole ancora più d’impatto.

I colori tenui, in particolare il celeste e il rosa, danno vita a un prodotto che appare confezionato come fosse una rom com, e che in certe parti sembra quasi esserlo. Ma alcune musiche in sottofondo e gli sprazzi di rosso sangue, che emergono in quello che sembra un quadro dai toni confetto, suggeriscono che al suo interno si nasconde qualcosa di molto diverso. La sua natura ambigua è una delle caratteristiche migliori del film, ma l’essenza resta comunque quella di un revenge movie, ed è questa sempre pronta a prevalere.

Nel complesso la pellicola offre momenti incisivi, che sembrano creati per diventare iconici, specialmente nella parte iniziale e in quella finale.

Ha fatto discutere una conclusione agrodolce, decisamente più amara che soddisfacente, che Emerald Fennell ha difeso in nome di una maggior verosimiglianza, perché in fin dei conti «there’s no happy ending in any revenge».