Alessandro Foggetti
pubblicato 1 anno fa in Cinema e serie tv

I delitti di West Point (The Pale Blue Eye, 2022) di Scott Cooper

I delitti di West Point (The Pale Blue Eye, 2022) di Scott Cooper

«The boundaries which divide Life from Death are the best shadowy and vague. Who shall say where the one ends, and where the other begins?»

Edgar Allan Poe

Hudson Valley, New York, 1830. L’ex detective Augustus Landor (Christian Bale) viene ingaggiato dall’Accademia Militare degli Stati Uniti per risolvere un misterioso e macabro omicidio. Durante le enigmatiche indagini, chiede aiuto a un cadetto di nome Edgar Allan Poe (Harry Melling) per intrufolarsi nell’illusorio tessuto sociale dell’Accademia e cercare il colpevole.

Dopo Ostili (Hostiles, 2017) e Spirito insaziabile (Antlers, 2021) con I delitti di West Point il regista Scott Cooper affronta il genere cupo/investigativo all’interno di una narrazione di costume. Tratto dall’omonimo romanzo di Louis Bayard (La Nave di Teseo, 2023, traduzione di Tiziana Lo Porto) il titolo è disponibile sulla piattaforma Netflix da dicembre 2022.

Il bubolare dei gufi in sottofondo. Dalla fitta e spettrale nebbia emerge il possente tronco di un albero; appesa a un ramo, con un cappio intorno al collo e le punte dei piedi che sfiorano la fredda terra, pende la sagoma di un uomo.

Dissolvenza incrociata e compare sullo schermo un fiume con le sponde innevate, gli alberi scarni e il titolo del film rigorosamente in rosso: the pale blue eye. È così che si presenta I delitti di West Point. Uno stile che cerca di portare lo spettatore istantaneamente nelle tenebre dell’intera narrazione. Ma globalmente, riuscirà davvero a raggiungere questo obiettivo?

In una fotografia fredda quanto l’inverno newyorkese di inizio Ottocento, intervallata dalle luci calde delle candele e dei camini, i protagonisti si muovono nello spazio delimitato dall’Accademia Militare. Augustus Landor sembra incarnare il tradizionale detective tormentato dal passato – con i suoi flashback familiari struggenti, il bicchiere di whisky sempre colmo, i modi educati e le movenze dondolanti – che cerca di risolvere un oscuro delitto: il cadetto Leroy Fry è stato trovato impiccato al ramo di un albero con il torace aperto e senza cuore. Landor chiede aiuto al brillante Edgar Allan Poe – sì, il celebre poeta diventa una sorta di Watson sherlockiano – interpretato da Harry Melling (volto già noto per una superba dimostrazione attoriale, in uno degli episodi de La ballata di Buster Scruggs di Joel e Ethan Coen).

Loschi intrighi, amicizie fasulle e amori incompresi; ma anche crimini efferati, strane presenze ed elementi del mondo occulto. Sembrano esserci tutti gli ingredienti per una narrazione misteriosa e avvincente, peccato che le indagini dei protagonisti sembrano seguire una linea piuttosto piatta, senza riuscire a rappresentare quel macabro universo letterario che il regista cerca di mettere su pellicola – quello di Edgar Allan Poe, ovviamente.

I boschi tenebrosi, la nebbia fitta, l’ambientazione gelida, il gracchiare dei corvi, le locande illuminate dalle candele o la crudeltà dei delitti non bastano e non raggiungono mai un livello e un equilibrio tale da coinvolgere e trascinare lo spettatore in quel mondo tanto enigmatico quanto stereotipato.

Il risultato è una scarsa raffigurazione che cerca di omaggiare titoli come Il mistero di Sleepy Hollow (1999) di Tim Burton ma finisce per avvicinarsi a malapena alla serie tv Penny Dreadful – giusto per citarne alcuni. È tutto troppo palese e visibile: il mistero si sente, si vede e soprattutto si prevede – e questo lo spettatore lo patisce. Le scene sono un continuo cliché, e neanche le piacevoli interpretazioni di Christian Bale e Harry Melling sembrano riuscire a salvare la penuria stilistica e filmica.

Il cuore è un simbolo o non è nulla. Se togliete il simbolo cosa rimane? È un muscolo grande come un pugno, non più interessante di una vescica. Asportare il cuore di un uomo significa trafficare nel peccato. E per farlo, chi meglio di un poeta?

Uno degli aspetti interessanti, specialmente per gli amanti della letteratura e nello specifico della poesia, è il riferimento alle opere del periodo storico lette dai protagonisti. Il personaggio Poe, infatti, funge proprio da ponte tra la finzione e la realtà storica letteraria. Partendo dal presupposto che la presenza dell’oggetto libro è piuttosto marcata nelle scene – la libreria di Landor, di Marquis e quella del professor Jean Pépé ne sono l’esempio lampante – bisogna anche riflettere sugli spunti che i dialoghi seminano in alcune scene. Le opere anglosassoni del poeta Sir John Suckling e di Sir Thomas Gray; oppure i versi di George Gordon Byron e gli scritti di James Fenimore Cooper. O ancora le opere del magistrato e inquisitore francese Pierre de Lancre, utilizzate nella narrazione come elemento della pratica magica e del sortilegio.

Se il percorso narrativo segue un sentiero confortevole e pianeggiante, sicuramente la consistenza poetica di alcuni dialoghi, l’intensità di certi riferimenti culturali e la ricchezza scenografica cercano di aumentare la pendenza e andare oltre la banalità delle vicende.

Cottage dimenticati e animali uccisi nel bosco; il vecchio e stereotipato esperto di stregoneria, la bambinesca infatuazione tra Edgar Allan Poe e Lea Marquis (Lucy Boynton) e altri canonici pezzi del solito mosaico. Un grande calderone – termine non usato casualmente – dove le maschere di questo film incarnano personaggi ormai consumati. In questo lungometraggio, Scott Cooper purtroppo non è riuscito ad aggiungere nulla di memorabile. I delitti di West Point infatti si può paragonare, metaforicamente, alla ricetta di un piatto prelibato. Gli ingredienti sono quelli giusti, ma la preparazione, eseguita in modo approssimativo, rende il risultato finale piuttosto insipido.