Leonardo Ostuni
pubblicato 4 anni fa in Arte \ Letteratura

L’arte provocatoria di Maurizio Cattelan

L’arte provocatoria di Maurizio Cattelan

L’arte è spesso una causa di malinteso, perché la gente può farne qualsiasi cosa desideri. C’è un malinteso quando si desidera davvero dire qualcosa, e le persone non lo comprendono. Per me il malinteso è molto più forte dell’idea da cui ero partito.

In questa famosa dichiarazione di Maurizio Cattelan, artista italiano contemporaneo (nato nel 1960) tra i più quotati al mondo, c’è un po’ tutta la sua visione di arte. Realizzare opere concettualmente lineari e accessibili all’intera comunità non si può considerare il marchio di fabbrica dell’artista. Al contrario, fin dagli esordi si è sempre distinto per il sottile gioco condotto tra ironia e provocazione, e per l’attesa della reazione del pubblico, caratteristiche profondamente permeate nei suoi lavori. Cattelan ha sempre avuto le idee chiare: aspettandosi sempre qualcosa in cambio, ha dedicato la sua vita al successo dell’arte e non alla passione per la stessa. È per questo motivo che, ormai tra gli artisti più costosi, in seguito all’ultima retrospettiva All (2011) a New York, ha deciso di ritirarsi per un po’ di tempo dalla scena artistica.

La sua infanzia padovana piuttosto povera, economicamente e scolasticamente parlando, Cattelan non l’ha mai dimenticata:

È dai tempi della scuola che vado avanti così: la mia maestra si arrabbiava perché non avevo neanche la furbizia di copiare dagli studenti più bravi. Come vedete, sono un pessimo modello

recita nel discorso di ringraziamento per la Laurea Honoris Causa in Sociologia conferitagli il 30 Marzo 2004 presso l’Università degli studi di Trento. Le prime opere, databili tra la fine degli anni ’80 e gli inizi del decennio successivo, mettono in luce già alcuni aspetti che diventeranno poi pilastri, sulla base dei quali verterà la sua produzione seguente. Torno subito (1989), affrontando il tema del vuoto, è una sana presa in giro al mondo dell’arte, alle sue strutture tradizionali e alla sua visibilità. La forza dell’opera sta tutta nella reazione del pubblico, incredulo inizialmente alla vista del cartello con la scritta (anche titolo dell’opera) apposta sulla porta sbarrata della Galleria Neon di Bologna, poi consapevole della precisa scelta dell’artista di lasciare vuoto lo spazio a sua disposizione.

Strategie (1990) aggiunge alla componente provocatoria/contestativa dell’artista anche l’elemento della furbizia; dopo aver acquistato 500 numeri di Flash Art, tra le riviste più influenti di arte contemporanea, Cattelan costruisce un castello di carta con una serie di copie della stessa rivista. Quest’opera diventerà poi il soggetto della copertina di Flash Art in un numero dell’anno 1994. Strategie dimostra la straordinaria capacità di Cattelan di capire il funzionamento dell’intero sistema dell’arte con i suoi organi, in questo caso strumentalizzando uno degli “attori” del sistema dell’arte senza aspettare che qualcuno lo pubblicizzi dall’esterno.

Nel 1992 Cattelan ha un’intuizione formidabile, che probabilmente spiana la sua strada verso il successo artistico. Egli raccoglie la cospicua cifra di 10.000 $ da privati e associazioni, inizialmente con l’intenzione di destinarli a un artista che abbia deciso di sospendere la sua attività per un anno. Ipotizzando un rifiuto generale di molti addetti ai lavori, Cattelan ne approfitta e utilizza questo denaro per finanziare il suo primo viaggio a New York, non dimenticando in seguito di “ringraziare” i contribuenti esponendo i loro nomi nell’installazione Fondazione Oblomov (1992). Proprio questo fondamentale viaggio negli Usa consente all’artista di incontrare per la prima volta il noto critico e curatore italiano Francesco Bonami, il quale lo inserisce alla Biennale di Venezia del 1993. Anche in questa occasione Cattelan stupisce tutti e dà prova di una grande conoscenza dell’arte contemporanea, così da minare e manipolare i complessi meccanismi strutturali alla base; la sua prima partecipazione alla Biennale è ricordata, infatti, per Lavorare è un brutto mestiere (1993), in cui l’artista affitta semplicemente il proprio spazio a un’agenzia di pubblicità.

Sin dai primi anni di attività Maurizio Cattelan non ama mostrarsi. Il documentario Maurizio Cattelan: be right back (2016), diretto dalla statunitense Maura Axelrod, insiste molto sulla personalità di questo artista controverso, e dunque sul suo isolamento. Nel film, come nella vita reale, è il critico Massimiliano Gioni a impersonarlo: lo sostituisce abitualmente per interviste e conferenze, o in qualsiasi altra occasione in cui l’artista è invitato a parlare in pubblico della propria esperienza e delle opere. Nonostante la delusione di molti, è fermamente convinto di questa scelta perché ha sempre in mente l’obiettivo di stupire e far discutere attraverso la visione delle sue opere “inappropriate” e concettuali, e non tramite le sue dichiarazioni. Al contrario, ama lavorare in solitudine e decide di scappare spesso in occasioni di confronto con la gente, preferendo di gran lunga l’invisibilità e il rifugio dietro le sue opere. A dire il vero ha già affrontato nel corso della sua carriera il tema dell’identità, spesso autorappresentandosi parodisticamente in numerose sculture in cera, ma di fatto più in un’ottica di riflessione sul ruolo dell’artista (Mini-me 1999, Untitled 2001) e sulla moltiplicazione dell’io (Spermini 1997), senza mai prestare attenzione all’aspetto puramente fisionomico o narcisistico.

Tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio Cattelan è sulla cresta dell’onda, le sue opere sono materia di discussione in Italia e all’estero. Risale al 1999 A perfect day, nella quale in una geniale inversione di ruoli è il gallerista di fiducia Massimo de Carlo ad essere “esposto” dall’artista, quasi fosse una vendetta personale, sulla parete con tanto di scotch; nello stesso anno con La nona ora Cattelan capisce di aver realizzato qualcosa di sensazionale: il suo papa Wojtyla con il crocifisso in mano colpito da un meteorite subisce spietate accuse di blasfemia, soprattutto in Polonia, ma tutto ciò inorgoglisce l’artista, memore della citazione duchampiana

più la critica è ostile, più l’artista dovrebbe essere incoraggiato.

Nel messaggio dell’opera la constatazione che non c’è mai un potere assoluto che non possa essere messo in discussione, e Cattelan lo dimostra con un atteggiamento irriverente. Nel 2001, invece, fa molto parlare di sé soprattutto per Him e Hollywood: la prima, scultura in cera e pezzo record dell’artista, rappresenta un inquietante Adolf Hitler inginocchiato in preghiera; la seconda, opera di denuncia come evento collaterale alla Biennale di Venezia 2001, consiste nella gigantesca scritta HOLLYWOOD, installata sulla collina di Bellolampo, sopra la discarica di Palermo. Alla vista di queste opere per un attimo sorridiamo senza sapere il perché, lo facciamo forse perché almeno una volta abbiamo immaginato quella situazione che Cattelan pone, in maniera paradossale, sotto i nostri occhi. Ma dopo questa prima reazione scatta la fase della riflessione: alcune immagini non riusciamo ad accettarle perché trasmettono qualcosa di perturbante o ci mettono fortemente a disagio. Il loro sembrare vere per un momento può portare a reazioni sconsiderate, anche grazie all’influenza mediatica che eccita notevolmente i desideri della gente.

Nel 2011 l’artista ha scelto un proprio modo di ritirarsi momentaneamente dalla scena artistica (prima di ritornare alla ribalta nel 2016 con il water d’oro America). La famosa mostra All al Guggenheim di New York è, infatti, una doppia sfida al famoso museo statunitense: la retrospettiva, che espone tutte le opere dell’artista appese a una solida struttura metallica tramite corde molto resistenti, occupa per la prima volta nella storia del museo l’ampia rotonda centrale anziché le pareti oltre la rampa a spirale per i visitatori. In questa occasione Cattelan ha addirittura azzardato (parola che sta particolarmente a cuore all’artista) la sospensione di tutti i suoi lavori, nonostante per molti di questi fosse quasi impossibile, servendosi di pareri di illustri ingegneri per calibrare ogni misura. Questo “autoritratto” finale dell’artista chiarisce perfettamente l’importanza che il rischio ha per Maurizio Cattelan: l’arte più potente e che resta maggiormente impressa nella testa e nei discorsi della gente è forse quella che supera i propri limiti, che non accetta il conformismo e che ci mostra il mondo da un’altra prospettiva.