Culturificio
pubblicato 3 anni fa in Di parola in parola

Mancanza – Angelo Di Liberto

ovvero l'eternità del dileguamento

Mancanza – Angelo Di Liberto

Lo scrittore Angelo Di Liberto ci parla di mancanza, che ha incarnato nella rarefatta protagonista del romanzo Confessione di un amore ambiguo.


Mi sono sempre identificato in ciò che manca, mancando a me stesso. È una condizione che ho accettato e che in qualche modo mi fa sentire vivo. Mancare è non bastare, venire meno, difettare, trovarsi senza, non saziarsi.

Paradossalmente, se venissi a capo delle mie mancanze avrei finito di consistere. E finché la mia vita è tale, lo è perché non si sazia mai abbastanza di presente, mancando di futuro. La mia è cecità di lontananza, deperibilità di sostanza, coscienza di spossessamento. Perché volendo la vita mi allontano inesorabilmente da me stesso e l’illusione d’amore è forse l’unica invocazione in grado di lenire quel mancarsi.

Ricordo l’impressione e la perdizione durante la lettura di Ossi di seppia e precisamente lo spossessamento nella lirica Non chiederci la parola che squadri da ogni lato. Leggevo e rileggevo febbricitante, soffermandomi sull’ultimo passaggio:

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti

Sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.

Codesto solo oggi possiamo dirti,

ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Il non essere come unica possibilità di riconoscimento di sé e in più l’impossibilità a definirsi per contiguo mutamento.

Negli anni a venire non ricordai più d’avere letto parole così emblematiche sulla condizione della mancanza.

Dovetti aspettare a lungo e immergermi nella Storia della Sessualità di Michel Foucault per ritrovarmi nella mancanza. La subordinazione al corpo come dispositivo senza il quale si deroga alla presenza. “Lottare contro i desideri e i piaceri significa misurarsi con se stessi”, dice il filosofo francese ne L’uso dei piaceri a proposito degli “Aphrodisia” di Plutarco, in contrapposizione con l’etica cristiana. Ecco la mancanza non più come privazione forzata e mortificazione ma come scelta consapevole. Una sorta di teoria dei vasi comunicanti in cui l’esserci espugna il desiderio. Se c’è il desiderio di sopravanzo scarseggia la presenza.

Nacque così la necessità di rimpicciolirmi nella mutabilità. Guardavo con diffidenza e orrore ogni definizione, la sicurezza intima dell’avventore e il suo impulso all’esaltazione. Ho cercato negli anni di lavorare in sottrazione, in levare, che era in divenire. Sfruttai la visione che via via sgorgava da chissà quale anfratto di me stesso secondo la quale l’arte, come la sua rappresentazione, non sono altro che una stampella della vita, una frustrazione dell’esserci a tutti i costi. Un tentativo fallimentare/fallito d’imposizione alla presenza. Dovetti affidarmi alla scrittura per cercare la sparizione. E ragionai su questo per costituire il nucleo fondativo di Confessione di un amore ambiguo, il mio romanzo del 2018, in cui tolsi di mezzo l’imbarazzo dell’esserci cercando l’osceno, cioè un personaggio che fosse fuori scena e che da quella postazione riflettesse il riverbero di un’esistenza. Per attuare ciò avevo bisogno di fare appello alla natura con le sue molteplici irruzioni. Disperdendo il personaggio in un equilibrio maggiore, il minore sarebbe cessato. Nacque Alma, questa figura femminile consustanziale pur nella privazione corporea. Volevo raggiungere la forma più rarefatta possibile per avvicinarmi alla mancanza.

La scrittura è miraggio di pienezza e al contempo l’atto più rilevante, a mio avviso, del mancare. Non è la solitudine il motivo ma l’incomunicabilità dell’esserci, l’ovvio rifiuto del prestabilito a figurare, l’ostinazione a mancare da e per sempre.

Se avessi dissipato sangue e fluidi corporei di Alma avrei guadagnato l’eternità del dileguamento. Avrei gabbato l’esserci perché nella sottrazione del corpo avrei affermato un “cospetto” fantasmatico. Lauri, il marito di Alma, cerca ciò che non può trovare. Ecco che incorre nell’errore di volere fare coincidere l’affermazione di una presenza con una fisicità. La donna che mi ostino a sostanziare nel romanzo è tale perché non esiste, rinnegando l’invito a presentarsi, ad addivenire a una significante discesa in uno spazio che non può contenerla. Dunque esiste un contenitore che s’illude di possedere un contenuto. Il protagonista maschile della storia si sobbarca la condanna di una sua esistenza in sostituzione perenne. È in Alma perché lei non c’è. E così corroboro la mia teoria degli amori. L’impossibilità d’amare perché quel sentimento coincide con la mancanza. Solo mancando Alma, Lauri incarna l’amore declinandolo in sentimento esautorante. È il complesso di Orfeo, che ha bisogno di togliere di mezzo Euridice. Bufalino scrive ne L’uomo invaso:

Allora Euridice si sentì d’un tratto di sciogliere quell’ingorgo nel petto, e trionfalmente, dolorosamente capì: Orfeo s’è voltato apposta.

Orfeo non poteva che mancare a sua volta nel punto esatto in cui aveva deciso di evidenziarsi, di esserci. La sua esistenza non poteva che coincidere con un’assenza. L’amore manca, l’amore mancato. Il dissidio è l’anima del sentimento amoroso, la specularità della divergenza. Vano il tentativo di far corrispondere due presenze in un’unica soluzione sentimentale. L’amore nella sua impossibilità è la natura ambigua di cui intesso ogni parola del libro. Nella smisurata ambizione di un ribaltamento corre buona parte della mia indocile presenza/impellenza narrativa, certo di non venirne mai a capo.


da Confessione di un amore ambiguo, Centauria 2018

Metto i passi uno dietro l’altro sul bianco compatto fino a perdere l’orientamento. La roccia ha il suo corrispettivo nel cielo. Due lastre eburnee scorrono parallele. Gli strati della tua epidermide si sono sdoppiati. Sono base e altezza. Se mi trasformassi in un matematico traccerei un grafico in cui io e te saremmo funzioni variabili di una stessa iperbole. Ics e ipsilon, donna e uomo. Quel braccino mancante a farmi te senza essere te. Il mio segno distintivo è la mancanza, quasi fosse genetica, ereditaria, come se me la portassi dentro di generazione in generazione. Mio padre perse mia madre, io te. Mi siedo su un minuscolo ritaglio di prato. Aspetto di sentire la tua mano tra i capelli. Se occorrerà resterò così fino alla prossima glaciazione.


Angelo Di Liberto tiene una rubrica settimanale di approfondimento letterario sulle pagine di Palermo de «La Repubblica» e in rete ha fondato la comunità di lettori consapevoli Billy, il vizio di leggere – il gruppo, seguita attivamente da oltre venticinquemila persone. Dal 2016 ha dato vita a Modus legendi, l’iniziativa che ha portato in classifica nazionale autori e libri di qualità, e nel 2019 a Exordium, per sostenere il miglior esordio letterario dell’anno.
Nel 2017 ha pubblicato Il Bambino Giovanni Falcone (Mondadori), da cui è stato tratto il cortometraggio U Muschittìeri (di cui è sceneggiatore), coprodotto da Rai Cinema con sostegno di Apulia Film Commission. Nel 2018 ha pubblicato Confessione di un Amore Ambiguo (Centauria Libri). I suoi racconti sono apparsi in quotidiani e antologie (l’ultimo nella raccolta Nuvole Corsare, CaffèOrchidea).


Di parola in parola è una rubrica a cura di Emanuela MontiDalla nota introduttiva è possibile scaricare l’archivio della rubrica, uscita finora in forma cartacea nella rivista «Qui Libri».