Pasolini e l’analisi linguistica di uno slogan
«Non avrai altro jeans all’infuori di me» campeggia su una foto che ritrae un ventre femminile con addosso dei jeans sbottonati, e poi ancora «Chi mi ama, mi segua» accompagna l’immagine di un sedere rivestito sempre dal sopracitato blue jeans. Due manifesti in cui il credo cristiano viene finalizzato alla promozione di uno dei tanti prodotti sponsorizzati dal nuovo credo borghese.
Nel 1973 proprio questa campagna pubblicitaria dei jeans Jesus diverrà la protagonista dell’articolo pubblicato sul Corriere della Sera Analisi linguistica di uno slogan di Pier Paolo Pasolini. Nella sua analisi non dedicherà alcuna attenzione alle immagini usate per i manifesti e quindi all’aspetto erotico del messaggio, pur essendo questo un campo frequentemente indagato e approfondito nelle sue opere, dando piuttosto estrema importanza alle parole utilizzate e ai plurimi messaggi veicolati da esse.
C’è un solo caso di espressività – ma di espressività aberrante – nel linguaggio puramente comunicativo dell’industria: è il caso dello slogan. Lo slogan infatti deve essere espressivo, per impressionare e convincere. Ma la sua espressività è mostruosa perché diviene immediatamente stereotipa, e si fissa in una rigidità che è proprio il contrario dell’espressività, che è eternamente cangiante, si offre a un’interpretazione infinita.
L’autore propone una riflessione innanzitutto sul linguaggio tecnico dell’azienda che mira a una funzione prettamente comunicativa e che concede un unico caso di espressività: lo slogan. Ma anche questa è un’espressività solo apparente, stereotipata e che diventa subito cliché, perché la nuova lingua tecnica non è altro che il riflesso del nuovo mondo formatosi, in cui ogni particolarità viene annientata a favore di una cultura omogenea e senza diversità. Fuori da ogni canonizzazione è invece ciò che accade con il lancio dei jeans Jesus. Infatti, l’uso dei comandamenti come slogan verrà ritenuto blasfemo e inaccettabile da molti, ma solo Pasolini saprà cogliere in esso il profondo cambiamento avvenuto nelle giovani coscienze e scorgere perfino un barlume di speranza per il futuro. «Un prodotto di consumo al limite dell’empietà» sarà definito da un articolista dell’Osservatore romano, quotidiano edito nella Città del Vaticano, con un tono che Pasolini definirà da indifeso innocente. Fondamentale quest’ultimo termine poiché lo scrittore non crede affatto che la Chiesa sia innocente, anzi la accusa di aver stipulato un patto col diavolo ovvero lo stato borghese.
Non c’è contraddizione più scandalosa infatti che quella tra religione e borghesia, essendo quest’ultima il contrario della religione […] il fascismo era una bestemmia, ma non minava all’interno la Chiesa, perché esso era una falsa nuova ideologia. Il Concordato non è stato un sacrilegio negli anni trenta, ma lo è oggi, se il fascismo non ha nemmeno scalfito la Chiesa, mentre oggi il Neocapitalismo la distrugge. L’accettazione del fascismo è stato un atroce episodio: ma l’accettazione della civiltà borghese capitalistica è un fatto definitivo, il cui cinismo non è solo una macchia, l’ennesima macchia nella storia della Chiesa, ma un errore storico che la Chiesa pagherà probabilmente con il suo declino.
La Chiesa è perciò colpevole di aver sottovalutato il neocapitalismo e di non aver saputo prevedere il carattere definitivo di tale cambiamento. Il nuovo potere infatti non si è limitato a depositarsi all’esterno ma si è insinuato nelle trame del tessuto sociale, modificandole e riuscendo lì dove anche il fascismo aveva fallito. L’autore riconosce nel particolare caso dello slogan dei jeans Jesus il sentore di un depotenziamento delle istituzioni sacre, le quali scuotono il capo davanti ai manifesti incriminati ma non hanno più il potere di mettere a tacere il nuovo spirito laico. La prospettiva delineata da Pasolini (un mondo futuro in cui la Chiesa avrà perso il suo ruolo di rilievo e sarà vestita soltanto dei suoi abiti cerimoniosi e folcloristici) si è pienamente realizzata.
La maggior parte dei giovani oggi si professa laica o addirittura atea, questa è la prova di come negli anni la Chiesa abbia perso consensi e soprattutto il ruolo privilegiato posseduto per secoli. Una sentenza della Corte europea dei diritti umani del 2012 ci mostra il compimento di quell’evoluzione che era stata intuita dallo scrittore quarant’anni prima in Italia e che successivamente si è estesa a tutta l’Europa. La Corte ha legittimato e difeso l’uso di simboli religiosi nelle pubblicità. L’azienda lituana che aveva utilizzato l’immagine di Gesù e Maria al fine di sponsorizzare la nuova linea d’abbigliamento, aveva ricevuto una multa che la sentenza ha ritenuto come lesiva della libertà d’espressione dell’azienda stessa. Il Jesus cristiano esce definitivamente sconfitto dallo scontro col Jesus capitalista, e diventa a tutti gli effetti un prodotto di massa al pari di un qualsiasi altro personaggio pubblico.
Lo spirito blasfemo di questo slogan non si limita a una apodissi, a una pura osservazione che fissa la espressività in pura comunicatività. Esso è qualcosa di più che una trovata spregiudicata (il cui modello è l’anglosassone «Cristo super-star»): al contrario, esso si presta a un’interpretazione, che non può essere che infinita: esso conserva quindi nello slogan i caratteri ideologici e estetici della espressività.
Ancora una volta la fama di ‘veggente’ attribuita a Pasolini viene confermata, ma si può dire la stessa cosa riguardo alla possibilità da lui avanzata di un linguaggio espressivo anche nel futuro mondo capitalista?
Lo scrittore, fino ad allora molto scettico e pessimista, intravede nello slogan dei blue jeans Jesus un’eccezione, un possibile primo passo verso una sorte diversa da quella negativa e disperata che si prospettava. A mio avviso entrambi gli scenari ipotizzati dall’autore si sono verificati, dal momento che la società odierna ha proceduto su due fronti diversi. Da una parte troviamo un modello linguistico stereotipato e omologato che ha messo a tacere ogni tipo di diversificazione sociale e culturale, in modo da poter essere universale e fruibile per tutti.
Contemporaneamente notiamo anche un altro tipo di comunicazione che non si è lasciata appiattire, un modo d’esprimersi aperto a infinite interpretazioni e anticonformista. Ancora una volta possiamo utilizzare un esempio esplicativo che ha al centro la figura di Gesù. In tale frangente abbiamo a che fare con lo spot pubblicitario ideato dal Partito Socialista nel 2008. «È lui il primo socialista della storia!» afferma una voce fuori campo mentre sullo schermo scorrono immagini di vari attori che recitano il ruolo del Messia estrapolate da tre film differenti, tra cui anche il Cristo del Vangelo secondo Matteo di Pasolini. Quanto è diverso l’utilizzo dei comandamenti per la promozione di una linea di jeans, rispetto a quello del personaggio di Gesù come capostipite del partito socialista? A mio avviso non molto. Infatti, questo slogan del gruppo politico va oltre la funzione prettamente comunicativa e sfocia in quell’espressività che Pasolini temeva sarebbe andata perduta.
Quarant’anni dopo quindi esistono ancora delle eccezioni, opposizioni al linguaggio tecnico e volto a impressionare e convincere con il solo fine della vendita. Queste eccezioni portano sempre molto scompiglio, poiché la massa consumistica è assuefatta ai messaggi lanciati dai media e ha talmente fatto proprio il linguaggio propagandistico da riconoscere come estranea qualsiasi altro tipo di comunicazione. Ovviamente l’impostazione di questi nuovi modelli è avvenuta per mezzo della televisione, additata da sempre da Pasolini come strumento del potere e distruttrice della differenziazione storica del paese. Quel nuovo spirito che nel 1973 si annidava dietro uno slogan all’apparenza soltanto provocatorio, oggi campeggia su ogni schermo o manifesto, con qualche rara eccezione, e rappresenta il nostro nuovo sistema di valori.