Anita Orfini
pubblicato 5 anni fa in L'angolo russo \ Recensioni

Stalin

Il minotauro e la cipolla

Stalin

Cosa c’entrano una figura mitologica e un ortaggio con il maresciallo Giuseppe Stalin? Ce lo raccontano Virginia Pili, Guido Carpi e Pilade Cantini che, in sole centoventotto pagine (Edizioni Clichy, 2019), riescono nell’ardua impresa di tracciare un disegno sintetico ma esaustivo di un uomo la cui vita si intreccia inesorabilmente con quella di un popolo, quello russo, e con la storia mondiale.

Il libro è diviso in tre parti e caratterizzato da altrettanti tipi di approcci: biografia, intervista e materiale documentario vario.

La prima parte, biografica, è curata da Virginia Pili (Dottoranda in Slavistica presso l’Università degli Studi Roma Tre con un progetto di ricerca, ironia della sorte, su Lev Trockij) e ripercorre tutte le tappe della vita di Iosif Vissarionovič Džugašvili aka Stalin: dai tempi dell’infanzia in Georgia, agli studi in seminario fortemente voluti dalla madre, per passare poi alla fase rivoluzionaria fino all’ascesa politica e alla morte. Ogni parte è scandita da un titolo che reca uno dei vari soprannomi con i quali il vožd’ veniva chiamato: “Soso”, nomignolo datogli dalla madre; “Koba”, l’eroico protagonista del romanzo Il parricida (1882) di A. Kazbegi nel quale si identificava da giovane e infine il più famoso “Stalin”, “l’uomo d’acciaio”, che lo accompagnerà per tutta la vita.

Questa prima parte, del tutto essenziale al fine di una maggiore comprensione dell’enigma Džugašvili, riesce a dare una panoramica generale della parabola biografica staliniana raccontando eventi storici e personali in maniera estremamente limpida e concisa, focalizzandosi sulle lotte interne al Partito e cercando di fare luce sul ruolo svolto da Stalin sia nella rivoluzione del 1917 che durante gli anni della sua dittatura. Pili racconta con precisa abilità i rapporti fra Stalin e Lenin, la lotta agli avversari politici e la loro repressione – il contrasto con Trockij e la mal sopportazione degli “specialisti borghesi” – i piani quinquennali, la collettivizzazione delle campagne e gli arresti dei kulaki, il patto Molotv-Ribbentrop e il secondo conflitto mondiale, l’affare dei medici e la morte del dittatore avvenuta il 5 marzo 1953.

La seconda parte è dedicata all’intervista condotta da Pilade Cantini (cantore toscano in ottava rima) a Guido Carpi (Professore di Letteratura russa presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”).

Insieme ci si reca a Corazzano, al bar I’ Leccio, dove c’è una saletta austera e luminosa, perfetta per una chiacchierata su Giuseppe Stalin. Son le undici passate, si può principiare anche a bere. E, in netto contrasto con l’argomento dell’intervista, ci si piglia un americano a testa.

 La chiacchierata, avvenuta il 3 novembre 2018, rappresenta un ulteriore e indispensabile tassello per cercare di capire meglio la figura di Stalin, così piena di luci e di ombre. L’intervista e la parte biografica si completano così a vicenda in un rapporto di sincretica (e sintetica) complementarietà.

In questo secondo blocco si scende più in profondità sia nella vita che nel contesto storico. Carpi ci fornisce un ritratto dell’uomo d’acciaio che risulta essere un Giano Bifronte fra grande carisma ma altrettanto grandi ossessioni, fra capacità tattiche e operative ma scarsa raffinatezza oratoria (che risulta però efficace perché in grado di arrivare alle masse). E poi il suo lavoro all’interno del Partito negli anni Venti, la sua militanza fra i dirigenti della Čeka (la polizia politica), la Grande guerra patriottica e il Grande terrore, gli orrori del gulag e la repressione dei nemici del popolo, lo stalinismo e il realismo socialista e la costruzione del radioso avvenire.

Ma torniamo al titolo del libro: perché “minotauro”?

“Prima o poi ognuno di noi, in un modo o nell’altro, deve pur attraversare quella sala centrale del labirinto, fare i conti con quella figura per poi proseguire oltre in questa o quella direzione”.

E perché “cipolla”?

Possiamo definire lo stalinismo anche come un’equazione a molte variabili, o forse come un carciofo o una cipolla fatta di tanti strati: noi via via tentiamo di sfogliarla per approssimarci a un nucleo centrale che alla fine non raggiungiamo mai del tutto.

A chiusura del libro troviamo una appendice in cui fotografie e manifesti sono correlati da citazioni di Stalin, come quella che apre la galleria: “Non ci sono al mondo fortezze che i lavoratori i bolscevichi non possano conquistare”; o su Stalin, come le parole di disprezzo del poeta  Osip Mandel’štam (che troverà la morte in un gulag): “Le sue tozze dita come ermi sono grasse, e sono esatte le sue parole come i pesi di un ginnasta; se la ridono i suoi occhiacci da blatta e i suoi gambali scoccano neri lampi”.

Altro dirvi non vo’ se non che vi consiglio la lettura di questo libro perché non si tratta né di un’apologia né di un’accusa ma un tentativo di scavare e capire l’ambiguità di un personaggio come Stalin tramite un approccio diverso.

Vi fiderete?