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pubblicato 9 anni fa in Altro \ Cinema e serie tv

Gilles Deleuze e la filosofia del cinema

Gilles Deleuze e la filosofia del cinema

Quello proposto da Gilles Deleuze nel 1984 è uno dei paralleli filosofici più azzardati ma a mio avviso tra i più affascinanti: l’incontro tra la filosofia e il cinema.

maxresdefault2Il mondo della filosofia e quello del cinema, sono solo apparentemente lontani anni luce, infatti l’una è creatrice di riflessioni astratte e complesse, l’altro è invece portatore di immagini chiare, dirette e prevalentemente di immediata lettura. La premessa di questo ragionamento è che non viene messa in dubbio ne’ l’importanza del il cinema ne’ quella della filosofia stessa. La filosofia infatti non è soltanto un’attività riflessiva, contemplativa, ma anche una continua creazione di concetti (come diceva Deleuze “avere un idea è sempre una festa, soltanto che è raro avere idee, anzi è una cosa che non capita spesso…”). Allo stesso modo il cinema è una continua creazione di immagini. Quello che viene proposto da Deleuze infatti è un parallelo, un intreccio tra le due pratiche: una concettuale, la filosofia, l’altra artistica, il cinema.La geniale intuizione di Deleuze consiste proprio nell’abilita’ del mettere in contatto queste due pratiche, facendo si che l’una si sveli e si strutturi grazie all’altra. I due volumi in cui il filosofo della “differenza” si cimenta in questo ragionamento sono “L’immagine movimento cinema 1” e “L’immagine tempo cinema due”.

Nel primo libro, vengono presentati i tre stadi in cui lo spettatore pratica “il transfert” dalle immagini ai concetti, cinema1_coverovvero l’immagine- azione, l’immagine- percezione, e l’immagine affezione. Questo è il cinema tipico della narratività classica in cui le percezioni senso motorie dettano la trama del film, e i nessi causali all’interno della storia sono espliciti e ben chiari agli occhi dello spettatore. Questo primo tipo di cinema è anche chiamato “organico” in quanto lo spettatore in esso riesce ad orientarsi grazie all’organicità dell’azione dei corpi che vede scorrere nelle immagini sullo schermo.

Nel secondo volume, troviamo invece l’esplicazione del rapporto tra tempo e movimento: vi è un inversione, qui è il tempo a dettare le regole dello svolgimento del film in cui vi è la subordinazione dell’azione. E proprio come il cristallo appare nella sua costitutiva doppiezza, così il tempo si propone nellacinema2_cover sua costitutiva virtualità ed indiscernibilità. In questo contesto cinematografico i nessi sono interrotti, il narrativo è spezzato, discontinuo, proprio perché è il tempo in persona che fa la sua comparsa: a creare il cristallo è l’operazione fondamentale del tempo, che si scinde continuamente in passato che si conserva e in presente che passa tendendo verso il futuro.

Ogni film ha una trama concettuale che è la struttura ossea: la semplicità del concetto unita all’immagine diventa una figura che si imprime nella mente dello spettatore. Attraverso la musica, i colori, le figure, le trame, le immagini e i concetti infatti l’uomo può raddoppiare la propria esperienza, e riflettere sul mondo e su se stesso.

Il nesso fondamentale che unisce il filosofo al cineasta è il fatto di avere in comune l’urgenza di creare e rappresentare: per elaborare teorie, come per girare un film, non basta avere buona volontà ma bisogna essere sommossi e commossi da un messaggio da comunicare al mondo intero. Paradossalmente, domandarsi cos’è il cinema vuol dire domandarsi cos’è la filosofia.


 

Articolo a cura di Tommaso De Leo