Culturificio
pubblicato 6 anni fa in Letteratura \ Recensioni

Canzone d’amore da un tempo difficile

Canzone d’amore da un tempo difficile

La riforma scolastica li obbliga a cambiar classe alla fine di ogni ora di corso e in questi intermezzi pieni di colpi d’occhio ci si ritrova in mezzo a folle di ragazzini esaltati nella Germania della guerra fredda insieme a b., il protagonista. Fumano sigarette, mangiano cioccolatini al rum, fanno chiasso. Vengono ammoniti da una circolare del preside inserita in mezzo al flusso dei pensieri veloci di b. Anche chi legge diventa parte di questo flusso: non ci sono coordinate precise, siamo in un piccolo paese dell’entroterra tedesco. Mancanti all’appello i trattini dei dialoghi, i caporali, le maiuscole. Come chi legge, il protagonista si perde tra le righe che compongono questo libro fatto di parole che sembrano casine basse, senza maiuscole che svettano. Si perde e oscilla in una narrazione che va a intermittenza dalla prima alla terza persona.
La personalità irruenta di b., dietro cui il lettore si nasconde e viene trascinato, non lascia spazio che a qualche accenno dei tratti di personaggi secondari tra cui Lea, la madre di b., giovane donna single lavoratrice che si meraviglia di fronte all’ingenua insensatezza delle norme morali e Leif, un ragazzino di famiglia borghese che b. sedurrà durante la gita a Berlino.
Quello di b. è un racconto sputato con la foga che appartiene a qualcuno che pensa a cosa dire da tempo. In uno scenario di scandalo pubblico in cui presto si traduce l’episodio avvenuto durante la gita

b. invece ride perché è sicuro della propria innocenza. è il mancato pentimento, signora massari, che rende particolarmente problematico per noi il comportamento di suo figlio, sostiene il preside, perché b. non vole soltanto godere, vuole amare […] (p. 66)

Le considerazioni di b. sulla sua sessualità sono infrequenti ma quando appaiono sono lucide, ragionate, maturate da tempo. Il protagonista si concentra piuttosto sulla lettura di ciò che accade attorno a lui e sul clima generale di ipocrita accettazione di facciata dell’omosessualità, si sofferma sul comportamento ambiguo di Leif, che prima si concede e poi ridefinisce b. come misero piccolo gay.
Quando b. telefona a un amico per chiedergli di aderire a una manifestazione di piazza e lui gli domanda se ci siano altri gay – perché egli vuole esserci come gay – b. riattacca, perché «non ha voglia di sentire battute sui fasci e sui loro bei muscoloni».
b. salta il passaggio della messa in discussione della sua identità perché non è un cruccio che lo affligge: la sua esigenza non è quella di definirsi bensì di leggere, comprendendola, una realtà che non lo riconosce perché è corrotta all’origine:

per abitudine i ragazzi esigono di essere serviti, quindi le ragazze si vestono nei modi più scemi per poter essere prese in considerazione, e lo stesso fanno anche i gay – con la certezza che però non ci riusciranno. b. si rimette seduto e pensa: non c’è niente di più autodistruttivo del patriarcato, il quale deride condizioni sociali che esso stesso ha prodotto. (p. 52)

La preziosa Canzone, nata dalle mani di Schernikau più di trent’anni fa e tradotta per la prima volta in Italia da L’Orma editore, è sorprendentemente in linea con le più recenti riflessioni di genere. In un ambiente sociale che chiama alla scelta, alla definizione del nostro io per tracciare i giusti confini del Noi e del Loro, b. è una voce solitaria. «Ho paura. sono femmina, maschio, doppio. […] non voglio essere doppio, chi sono? voglio essere io, maschio, femmina» dice b., riportando alla luce il terrore del doppio, il timore dell’indecisione, della scelta capace di uccidere il giusto «», e che esclude necessariamente una possibilità.

Dal mini-processo nel consiglio di classe con la madre e i professori alle prese in giro a scuola, tutto ciò che b. è tenuto ad affrontare dopo l’affaire Leif appare ostacolo irrisorio, incidente di percorso: dalla prima riga del romanzo si legge in nuce che il destino di b. è altro rispetto a ciò che la cittadina di provincia gli propina. b. è ora consapevole di se stesso, è una fortezza già liberata. È costretto, però, a cambiare città, partirà per Berlino. Ma nessuna sconfitta: dietro di sé lascia solo parole d’amore.

nuovi ruoli, nuova città. addio. saper dire di sì a se stessi e al proprio passato. saper dire di no a chi ha imparato il mondo in un’altra maniera. tolleranza? sì, ma con autostima. […] finché il rapporto delle persone con il lavoro, con i vicini e con se stesse sarà un rapporto che li distrugge, i gay non faranno eccezione. ho abbracciato leif, solo questo. l’abbraccio del mondo non è ancora escluso. non mi lascerò più abbattere da persone che hanno una propria storia esattamente come io ho la mia. cercherò sempre di amare, ancora e ancora. non cercherò più di sottrarmi agli abbracci. vivo negli abbracci, lo voglio. potrò vivere e lavorare solo quando cercherò di cambiare il mondo anziché evitare il suo abbraccio.

Ha diciassette anni ma la sua scrittura limpida e consapevole porta la casa editrice che nel 1980 pubblica per prima Canzone d’amore da un tempo difficile a diffidare della data di nascita di Ronald M. Schernikau, che all’epoca era poco più che adolescente. Nato nella Germania Est si trasferisce ancora bambino all’Ovest, in periferia. Poi, ancora, a Berlino Est, dove morirà di AIDS alla fine degli anni Ottanta.

Ronald M. Schernikau, Canzone d’amore da un tempo difficile, trad. di Stefano Jorio, L’orma editore, 2017, pp.120


Articolo a cura di Clorinda Palucci