Non sarà la bomba atomica ad estinguere la razza umana ma il Museo
Non solo sui palazzi della politica si staglia l’ombra lunga delle critiche anti-sistema ma, spesse volte e a più riprese, anche i santuari della cultura sono stati e sono oggetto di polemiche e istanze di cambiamento.
Il fenomeno in effetti non è affatto nuovo: contro la museificazione dell’arte e la sua mercificazione polemizzarono le prime avanguardie fin dalla seconda metà dell’ Ottocento.
Fin da quando cioè l’arte cominciò, nel tentativo di andare contro il senso comune, a voler suscitare dibattito, anche violento, intorno a stili consolidati e questioni pubbliche.
In questo clima di contestazione, il museo, nato quale luogo della memoria per affermare l’identità della Nazione attraverso la raccolta e l’esposizione delle conquiste nel sapere, viene denunciato di
neutralizzare e cancellare gli intenti polemici delle opere d’arte destinandole a pura contemplazione estetica, vanificandone il messaggio di rottura e protesta.
La stessa opera di ricerca artistica e denuncia, insomma, rischia secondo gli esponenti delle avanguardie, di finire esposta nelle sale del museo oramai decontestualizzata e adattata ai gusti borghesi.
La storia sembra aver dato loro ragione visto che oggi ricche collezioni del Futurismo vengono ospitate nei musei di tutto il mondo nonostante il manifesto di Marinetti perentoriamente affermasse:
Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.
F.T.MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, a cura di L. De Maria,Mondadori, Milano 1983
La trasformazione che il museo ottocentesco realizza è insomma chiara: “i segni e le sopravvivenze che arrivano dal passato” sono piegati a “semplici oggetti documentari, accartocciati su se stessi che oggi non siamo più in grado di interrogare, ma solo di descrivere e contemplare, privandoli di ogni contestualizzazione di senso” (Decandia)
A dire il vero, la globalizzazione, oltre a trasformare definitivamente gli stati-nazione, ha poi modificato anche il volto del museo dell ‘800 a questi legato, così che c’è chi parla oramai di “post-museo” (Hall) : un’istituzione relativizzata che non è più percepita come luogo esclusivo dell’arte.
Ciò non ha tuttavia impedito di assistere ad una vero e proprio “ipermuseismo”: la frenetica fondazione di musei per ogni cosa ( perfino dell’Empatia nella Londra del 2015 !) nel tentativo di proteggere o celebrare tutto ciò che nella nostra epoca è ritenuto di valore.
Non sono dunque solo le conquiste, i documenti del passato o le opere d’arte a rischiare di essere imbalsamate, in quella casa di riposo che è il Museo, ma perfino lo stesso presente.
La “malattia storica”, denunciata da Nietzsche nelle sue Considerazioni inattuali, capace “solo di conservare e non generare vita” è portata così alle sue radicali e paradossali conseguenze.
Il museo infatti, da luogo di trionfo della “storia antiquaria”, fatta da chi “preserva e venera”, diventa un ordigno culturale capace di decretare la fine della Storia stessa.
Museificare il reale significa infatti letteralmente trasportarlo e rinchiuderlo in un altrove, un luogo di confinamento, una eterotopia nelle parole di Michel Foucault, dove si vive una separazione dal resto del mondo in quanto “luogo altro”
Invece l’idea di accumulare tutto, l’idea di fermare in qualche modo il tempo o, piuttosto, di farlo depositare all’infinito in un certo spazio privilegiato, l’idea di costruire l’archivio generale di una cultura, la volontà di rinchiudere in un luogo ogni tempo, come se questo spazio potesse essere definitivamente fuori del tempo, questa è un’idea tutta moderna: il museo e la biblioteca sono delle eterotopie proprie della nostra cultura
M. FOUCAULT, Utopie Eterotopie
Inutile dire che la separazione dal mondo avvenga proprio attraverso l’estetizzazione che, come già intuito dagli artisti delle avanguardie, annienta le capacità dialogiche del prodotto culturale.
A conferma Bodei afferma che
I musei costituiscono una specie di grande recinto templare (templum ha la radice di temno in greco, tagliare, separare) o di cornice che separa, come in un quadro, la zona di valore estetico da quella di valore non estetico
R. BODEI, Riflessioni su alcune premesse dell’arte interattiva, in S. Vassallo e A. Di Brino (a cura di), Arte tra azione e contemplazione
Il museo, con la sua aura autonoma rispetto alle opere che espone, relega dunque il prodotto culturale in una cornice celebrativa che di fatto gli ruba la scena.
Nello spazio museale, come brillantemente sottolineato dall’artista Serena Giordano, l’opera o il prodotto diventa invisibile in quanto indiscutibile.
È trasformata da “oggetto reale e unico in un’idea che lo accomuna e lo rende uguali ad altri oggetti”.
Il prodotto culturale, ormai ammutolito, assomiglia alla maschera di cera di un’opera ormai defunta, come poteva essere quella del Beato Carlo Borromeo con la quale dialoga il vescovo Bascapè, suo allievo e amico, ne La chimera di Sebastiano Vassalli ove si legge:
Ora sapeva. Quella Chiesa che lui e il Beato Carlo avevano voluto rifondare sulla fede, sul fervore morale, sulle grandi opere di devozione e di pietà, s’era invece bloccata e raggelata nel breve volgere di due decenni; era rimasta così, come la Babilonia delle antiche scritture: un monumento alle cose del mondo e alla politica del mondo. Una sentina di traffici e d’intrighi, che poteva anche sbarazzarsi dei suoi Santi, e di fatto se ne sbarazzava, nel più cinico e sfrontato dei modi: santificandoli ! Mettendoli nel calendario, cioè in soffitta!
Perciò lui, Bascapè, era ritornato a Novara lasciando tutto interrotto, in fretta e furia, e senza nemmeno prendere congedo da Palazzo; e perciò si era rifiutato di partecipare a quella festa della santificazione del Beato Carlo, che in quel momento e per chi la organizzava aveva uno scopo soltanto: quella di liberarsi dei morti ma anche dei vivi, di Carlo Borromeo ma anche di Carlo Bascapè…
S. VASSALLI, La chimera
Se vogliamo quindi che il nostro rapporto con la cultura del presente come del passato non assomigli ad una passeggiata tra “morti viventi”, il museo è chiamato a radicali trasformazioni: da luogo di semplice raccolta e conservazione a laboratorio critico in cui alla ricezione passiva dei significati sia sostituito un vero e proprio dialogo.
La folla davanti alla Gioconda, trepidante di scattarsi un selfie, mette soltanto malinconia.
Articolo a cura di Davide Zanoni